GIUGNO con i suoi proverbi

 

«D’aprile non t’alleggerire, di maggio non te ne fidare, di giugno fa’ quel che ti pare» sentenzia un celebre proverbio. . Ma un altro ammonisce:

«Di giugno levati il cuticugno e se non ti pare tornalo a infilare». Il cuticugno è una specie di sopravveste di una volta.

Effettivamente nella prima quindicina di giugno il tempo può essere capriccioso e piovoso.

Completamente superati sono invece due proverbi che risalgono al Medioevo: «Per San Barnabà il più lungo della ‘sta» e «San Zaccaria, la giornata più lunga che ci sia». La festa di San Barnabà cade il 9 giugno e quella di San Zaccaria il 10. Il giorno più lungo è quello del solstizio d’estate che, tra la fine del Medioevo e il Cinquecento, a causa del calendario giuliano che anticipava rispetto all’anno solare, era regredito prima al 10 e poi al 9 giugno. Col nuovo calendario gregoriano, che entrò in vigore nel 1582 e che usiamo ancora adesso, il solstizio venne riportato al 21 giugno.

Giugno è il mese delle ciliegie, tant’è vero che si dice: «Di maggio ciliegie per assaggio, di giugno ciliegie a pugno». Ma, nell’ultima decade del mese, bisogna essere prudenti perché nelle ciliegie potrebbe nascondersi il baco che i toscani chiamano il marito, l’amico oppure Gigi e noi piemontesi il Giuanìn, il Giovannino, in onore di san Giovanni Battista la cui festa cade il 24. In Veneto, dove sono ancora più prudenti, sostengono che a «San Vito le sarièse ga el marìo», le ciliegie hanno il marito. E san Vito, il patrono di Mazara del Vallo, si festeggia il 15.

Questo è anche il mese della mietitura, come ricorda il proverbio «Giugno la falce in pugno». I contadini sperano che non piova troppo perché «Quando il grano ha la resta [la resta è la punta filiforme con cui terminano le glume delle graminacee] non vuoi acqua sulla testa».

Una volta, prima che scomparissero le lucciole distrutte dai pesticidi, vedendole numerose in questi giorni, si diceva: «Bel lucciolaio, bel granaio».

 

ALFREDO CATTABIANI

Da LUNARIO,   –  Mondadori

 

ORSOMARSO

Ad Orsomarso nel tempo contadino circolavano questi proverbi:

 

Giugno, pigghja i panni e jettali a funno

Quannu chiova ‘nta tridicina si perdono grano e bino

Acqua a sant’Antonio ristrugge vino, pane e olio.

L’acqua ri giugno ti manna ‘nfunno

Giugnu friddinu, povuru cuntadinu

Pi santu Luigino (21 giugno) ogni ciraso tena l’animalino

 

ALTRI DETTI

U cane muzzica a cu teniri u cauzunu scigato

Chjichiti   jungu ca  chjina  passa.

A gatta ‘mbressarola ficiri i figghi cicati

I macchji nun tenini ucchji e birini, nun tenini ricchji e sentini

 

COSECUSEDDE

 

Nun tena bucca e parla,

nun tena gammi e camina,

figghju ri re cu c’annummina.

(La lettera)

 

E’ tunno e nun è munnu,

è acqua e nun è funtana,

è birdo e nun è eriva,

è russu e un è fucu.

Chi j’è?

(U muluno)

 

FILASTROCCA

(Usata come conta)

 

Un due e tre

s’è maritata a figghia ru re.

S’ha pigghiato a ‘Ntonio u vascio

E si l’è purtato raintra a ‘na cascia.

Quattro cinco e sia

Tu aspetta ca cuntu io.

Sette otto e nove

Mastro Ciccio si cocia l’ova,

si li fa alla tianella

e si li mangia cu sette friselle.

 

CREDENZE

Quando, per fare il pane, ci si scambiava il lievito tra vicine, lo si poteva fare solo fino al tramonto. Superato quel limite, si rischiava che l’impasto andasse a male.

Porta fortuna trovare un ferro di cavallo; va appeso in casa.

Mai utilizzare in tre lo stesso fiammifero, il più giovane patirà sventure.

Se le forbici cadono a terra, prima di raccoglierle bisogna posarvi il piede sopra, per annullare il cattivo presagio.

 

LE PRIMIZIE

Quando il contadino mangiava una primizia (un frutto o un ortaggio), prima di farlo diceva

“Gesù Cristo”.

Era un gesto di ringraziamento. Avvertiva che il raccolto dei campi non era solo frutto del suo lavoro. Sentiva, possenti, le superiori forze della natura: l’energia del seme, delle gemme, dei fiori; le misteriose risorse della terra; il ciclo delle stagioni e l’imprevedibile mutare del tempo atmosferico.

Ma c’era anche qualcosa che lo legava al divino, che tutto ha creato e tutto governa.

E lui, ultimo anello della scala sociale, ringraziava. Quando le cose non promettevano bene o l’esito era incerto, si affidava lo stesso a Dio:

“Come Dia vò”.

 

PRESAGI

Quannu Ascinziuna chiova, accattiti ‘na cascia nova (ci sarà un raccolto ricco)

PREVISIONI METEREOLOGICHE

Quannu a gatta si lava la faccia (Si accarezza la testa con la zampina) u timpi si mittiri a chiovi

 

MEDICINA POPOLARE

  1. La vita del contadino era dura. Il corpo doveva sopportare lavori pesanti. La lombalgia era frequente e poteva avere varie cause. Non disponendo di medicine, per curarla si applicava  un mattone (o un pezzo di tegola) scaldato al fuoco e avvolto in un panno alle reni.
  2. PROVERBIO

Quann’è di San Giuvannu si cogghia a calummedda pi tuttu l’annu

Questa pianta era un toccasana per il mondo contadino. Se ne facevano impacchi per combattere gli arrossamenti degli occhi, tisane per il mal di pancia o per facilitare il sonno. Fatta a mazzetti secchi si bruciava nella brace del camino per purificare l’aria dalle malattie. Qualche mamma metteva un mazzetto di camomilla anche nella naca del bambino per proteggerlo dalle malattie.

GIUGNO,

tempo di mietere e pisare

 

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SCORPARI – – Anno-1974 – In primo-piano-Attilio-Laurito-Amedeo-Taddio-Cosimo-Laurito-(figlio-di-Attilio)                  Vincenzo-Fortunato-papà-di-Franca

 

Per i contadini il tempo tra giugno e luglio era quello per mietere e trebbiare (pisare). Partivano la mattina presto e tornavano la sera stanchi e cotti dal sole. Gli uomini mietevano, le donne legavano i covoni (gregne) e li raccoglievano in piccoli mucchi (vurriddi). Le “gregne” rimanevano così per giorni a seccarsi bene.

 Prima dell’arrivo delle trebbie meccaniche il grano veniva trebbiato nelle aie (arie). 

Le aie erano ampi spazi preparati apposta per la trebbiatura. Si trovavano in genere in prossimità dei paesi, delle masserie o delle case coloniche. Avevano dimensioni diverse e forma circolare; dapprima in terra battuta in seguito selciate con pietre dure e malta, talvolta delimitate da una cordonatura di pietra. Erano quasi sempre collocate su terreno lievemente elevato e ben esposto al sole e al vento.

L’aria dell’Ulivaro oggi è così. Vi hanno trafficato tanti contadini per pisare il grano


Vicino al paese ce n’erano tre importanti: una era u Pastizzu, due alla Campanara, dai Console e dai Sangiovanni. Altre si trovavano a Scorpari, Bonangelo, Ulivaro,  Gaccale, ecc.

Per trebbiare si slegavano le “gregne” e le spighe venivano disposte in forma circolare nell’aia.
Poi si ricorreva ad  una grossa pietra che, trainata da buoi, da muli o da asini, veniva fatta strisciare sul grano.

pisara
Questa pietra di circa trenta chili, in genere di forma ovale o triangolare, aveva un foro in prossimità del vertice, per essere legata, attraverso il bilancino e le tirelle, al collare dell’animale.

 

Buoi al lavoro nell'aia

Buoi al lavoro nell’aia


Per evitare che la povera bestia soffrisse di capogiro. veniva bendata o dotata di un paraocchi; alla bocca invece si attaccava una museruola. La guidava qualcuno nel percorso circolare sull’aia.

Intanto con le forche uomini e donne rivoltavano la massa, raccoglievano le spighe sparse oppure aggiungevano altri covoni.

Quando la “pisatura” era terminata si separava la pula e la paglia dal grano grazie al vento.
A sera si caricavano i sacchi sugli asini o sui traini e si portavano a casa

Ventilazione per separare paglia e pula dal grano

Ventilazione per separare paglia e pula dal grano


Foto: RETE

Foto: RETE

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