TRUMP E IL DECLINO DEGLI USA

Parlare di Seconda Repubblica è, lo ammettiamo, una provocazione – di certo in un paese in cui una vera guerra civile in fondo c’è già stata. Ma la secessione fu lo spartiacque formativo di una nazione in ascesa. L’insurrezione trumpista invece è un trauma più probabilmente associato al suo declino. Il punto è che dopo l’esperienza nazional populista l’America si ritrova schiacciata sulla propria storia. Trump ha riesumato molta narrazione proprio di quella spaccatura originale.

Lo sbandieramento di bandiere confederate nel campidoglio vandalizzato e sui pickup carichi di manipoli armati incolonnati sulle strade; la difesa dei monumenti sudisti; lo scontro frontale con Black Lives Matter (Blm); il tentativo (non del tutto riuscito) di sopprimere ancora una volta il voto dei neri e delle minoranze… Trump è andato a riaprire quelle ferite mai rimarginate cui, soprattutto gli ultimi 60 anni avevano tentato di porre parziale rimedio. La sua ascesa è dipesa dalla polarizzazione e la sua caduta non poteva non esplicitarla in modo icastico.

SI È TRATTATO SOLO di una simulazione di golpe, un parco a tema dell’eversione? All’atto pratico non è rilevante. La presidenza Trump è stata berlusconianamente post-politica ed essenzialmente performativa, si è sviluppata 240 battute alla volta su Twitter, nei comizi-show, nei video kitsch simil-nordcoreani postati sul canale della Casa Bianca – non sul terreno della policy o delle iniziative legislative. Al di là del taglio delle tasse corporative e della deregulation messe al sicuro dall’ala neoliberista del partito e dei giudici reazionari regalati alla base teocon, non esiste in senso prettamente politico una dottrina Trumpista, semmai un teatro della crudeltà. In ogni frangente – raffiche di missili, torture di immigrati, costruzione del muro, ambasciata a Gerusalemme – Trump ha interpretato l’idea – il personaggio – di presidente macho, come tratteggiato nel canovaccio di un incontro di wrestling, di cui è patito.

In questo reality il messaggio è la postura, non la sostanza, rivolto sempre alla base di adepti che come in un match WWE è galvanizzata dalla rappresentazione non dai fatti. Quindi aver rappresentato l’eversione la rende in un certo senso un fatto compiuto. Non c’è bisogno di carri armati sulla spianata del mall di Washington – il colpo di stato è già avvenuto nelle menti di 50 milioni di fedeli, emotivamente votati alla battaglia epocale che immaginano definitiva.

COSÌ COME UN COMPLOTTISTA non ha bisogno di dimostrare le proprie tesi – deve solo insinuare il dubbio – lo spauracchio dei brogli inesistenti equivale a una insinuazione compiuta di illegittimità: del prossimo governo quanto dello stesso processo democratico. Un’idea che durerà ben oltre il suo ideatore. Per la prima volta il passaggio democratico delle consegne non è stato scontato, ma in prospettiva insediare Biden rischia di essere il meno rispetto al ripristino di una parvenza di mediazione politica. Come funziona l’alternanza quando ai banchi del congresso siedono parlamentari armati che negano tuttora il risultato elettorale?

Il compito del governo Biden somiglia insomma a quello della denazificazione intrapresa per purgare il nazionalsocialismo dalla società che aveva compenetrato. Con quali strumenti, in fase post politica, si potrà sperare di far arretrare l’America dal baratro? Come si dialoga con la metà del paese che è anti-vaccino e allo stesso tempo, fisiologicamente immune alla dialettica. La Seconda Repubblica dovrà fare i conti con la natura consolidata di un elettorato radicalizzato dal populismo, il terminale compiutamente eversivo di una parabola fanatica e reazionaria innescata 40 anni fa dal reaganismo, dal suo patto con i fondamentalisti religiosi , il suo uso delle «guerre culturali» per radicalizzare e consolidare una base in declino demografico. Il patto di comodo stretto dai neoliberisti col fanatismo, col militarismo, l’esasperazione patriottica e nazionalista e il culto religioso dei padri costituzionali, è infine sfociato nel suprematismo oscurantista che racchiude una negazione ostinatamente anacronistica e anti moderna della parte innovativa dell’esperimento americano.

PARADOSSALMENTE proprio l’ossessione eccezionalista della predestinazione ha infine derubricato l’America a paese qualunque: un grande Honduras, una Turchia qualsiasi, una Ungheria in balia del caudillo populista di turno… La catastrofe sanitaria in quello che era il faro scientifico mondiale è forse solo un’avvisaglia di un declino che potrebbe farsi precipitoso. La regressione trumpista ha agitato scheletri e fantasmi specificamente americani ma che riverberano in tutto l’occidente globale.

E chi, soprattutto dall’Europa, osserva con schadenfreude, farebbe bene a riflettere sulle caratteristiche speculari del baratro populista autoctono, pronto a inghiottire altre democrazie. Iniziata con la torva invocazione della american carnage dalla stessa pedana per l’insediamento, la presidenza Trump si chiude, in sua assenza ma dinnanzi alle rovine fumanti di una capitale che assomiglia effettivamente alla «carneficina» che aveva evocato quasi come spaventoso programma politico.

PER BIDEN SI PONE LA NECESSITÀ di una azione politica di portata Rooseveltiana per iniziare a riparare i danni economici, sociali, climatici di un’amministrazione kamikaze. Ma anche quelli fisiologici provocati dall’opportunismo neoliberista, la deriva reazionaria e il colpo di grazia populista. Sopra a tutto dovrà tentare una restaurazione epistemica che ridia un «modico» di direzione e razionalità al paese – a partire dalla scienza che non casualmente il presidente entrante si cura continuamente di invocare. Questo è in gioco nei mesi e negli incerti anni che aspettano questa America, in bilico su un baratro.

Di Luca Celada

FONTE: https://ilmanifesto.it/linsurrezione-trumpista-spartiacque-del-declino-usa/?utm_medium=Social&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR3FjJQsGy03oUgbCfE8cUgmf-AesHJ_o6I5tAPPJLltY1LhbouzzGIHPkE#Echobox=1611072242

FOTO: Rete

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