Vita di Nilo il Giovane scritta da Bartolomeo, suo discepolo – Cap. 2

Chiesa di San Nazario (SA)

§2. S. Nilo, per volere de Superiori, si porta a far la professione nel monastero di S. Nazario. Primi fervori, e sua prima profezia.

Ma non era percorso gran tempo dall’arrivo di lui colà, quando ecco giungere nei monasteri lettere fulminanti da parte dell’autorità prefettizia della provincia, piene di minaccie contro chi avesse osato ammettere alla professione quel chierico: chi ciò facesse ne riporterebbe senza meno il taglio della mano, e al monastero verrebbero confiscati tutti i beni. Atterriti perciò i capi dei monasteri(13), deliberarono di mandarlo in un’altra provincia, con che e quegli potrebbe indossare il santo abito religioso, ed essi si terrebbero sicuri contro le ire del prefetto(14). Si vide in ciò la lotta tra l’angelo santo ed il diavolo. L’uno vuole sottrarre quest’uomo da una vita turbolenta e tenebrosa per condurlo alla terra di promissione, quale è la vita di coloro che militano pel Signore, e costituirne un familiare di Dio e un novello Mosè. L’altro, vale a dire, il demonio, mette in opera ogni macchina, e muove ogni pietra affine d’impedire tutto questo bene. Ma cotesto è impossibile; dacché oramai tutte le potenze della terra non varrebbero a rimuovere Nilo dal suo proponimento. Pertanto l’uomo di Dio prende la risoluzione di recarsi ad un tal monastero, detto di S. Nazario(15), dove potrà mettere ad effetto secondo il suo desiderio la fatta promessa. Senonchè di già conoscendo questa il maligno che osteggia tutte le opere buone, prende i passi avanti e tendegli sulla via terribili insidie per troncare a mezzo il corso dell’uomo giusto. Stava Nilo infatti per toccare la meta del viaggio; e già con inni, salmi e affettuose preghiere tutto assorto in Dio, prossimo alla spiaggia era per godere della vista del mare, quando ecco d’improvviso saltar fuori dalla boscaglia un barbaro, il quale, come già la vipera fece a Paolo, afferratolo per la mano lo trascinò seco fuori di strada. Né ha fatti molti passi che s’incontra a man destra in una turba di Saraceni, sdraiati all’ombra degli alberi, che alle nere faccie, agli occhi torbidi, ai truci sguardi rassomigliavano tanti demonii. Dall’altra parte vedevasi gran numero di navi tratte all’asciutto, che naturalmente aspettavano vento favorevole per rimettersi in mare. Alla vista di quegli orribili ceffi, di quelle strane foggie di vestire, il beato Nilo pure non si commosse menomamente, né mutò aspetto, o si mostrò imbarazzato nel parlare, ma tranquillo recandosi la mano al petto armavasi col segno della croce(16), e franco ed animoso rispondeva alle domande che gli si facevano. Evidentemente quel Dio che tutto governa, teneva quasi per incanto tutti immobili e come a dire imbrigliati quei barbari al loro posto, mentre intanto quegli che lo aveva preso per mano lo veniva interrogando: Chi egli si fosse? donde venisse? dove andasse? – Ma, in quella che Nilo lo veniva soddisfacendo punto per punto di sua patria e condizione ed anche sullo scopo del viaggio, il barbaro stava assorto ammirando quel fiore di giovinezza (che non avea peranco compiti i trent’anni)(17), e l’eleganza del vestiario, usando egli tuttavia gli abiti da secolare, e molto più restava sorpreso della profonda intelligenza che ne traspariva dalle risposte per cui se gli fece a dire: «Ma a che andarti a intisichire colà dentro e metterti al travaglio dei frati, ancora così giovane? Quando mai, già vicino a invecchiare, allorché non sarai più al caso di far del male, allora sì potresti andar da loro, se proprio volessi assoggettarti a cotesto martirio». Al che il giudizioso Nilo rispose: «Eh! mio caro, Dio non ci vuol santi per forza, vale a dire, quando noi non potremo più esser cattivi; né un vecchio può dare tanto piacere a Dio, come neppure a te gradirebbe un genero impotente, né a un re un soldato vigliacco. Ed io per questo voglio adesso servire a Dio nella mia gioventù, per essere poi da lui glorificato nella vecchiaia». Questa risposta finì con destare a venerazione verso la virtù di un tant’uomo l’animo dell’infedele Saraceno: se pure non fu ciò piuttosto un tratto di provvidenza divina; perocché quegli all’istante mutato nel cuore lo lasciò andar libero, anzi gl’insegnò anche la via che gli rimanea a percorrere: e senza dargli più noia né con fatti né con parole, gli fece tanti auguri, esortandolo caldamente alla virtù.

Separatosi l’uno dall’altro, ciascuno per la sua via, il Signore volle bentosto far conoscere al suo servo, che la sua provvidenza lo aveva fin là difeso; essa era stata il suo presidio, e lo avea preservato, quasi dentro un ardente fornace o in una fossa coi leoni o in mezzo a serpenti e scorpioni, contro tutta la potenza dell’inimico. Affinché dunque conoscesse anch’egli la debolezza della natura e l’insufficienza delle forze dell’uomo, gli sottrasse alcun poco il consueto suo aiuto. E di presente un panico con un forte tremore lo assale; egli rabbrividisce pensando all’incorso pericolo di morire ed in quanti e quali lacci fosse incorso. Ora lo sgomento fu tale e siffatto che, non potendo più muover passo né procedere oltre, tutto sbigottito si volgeva e rivolgeva indietro, aspettandosi da un momento all’altro che un colpo di spada a tradimento, come soglion fare quei barbari, lo finisse. In questo il Saraceno che si era avveduto che Nilo non avea seco neppure un pane, nonché borsa di danaro, nonché pure un gocciol di vino, tolti seco dei pani raffermi, ma pure assai mondi, si dié a corrergli dietro gridando: fratello, fratello; perché si fermasse. Ma queste voci non servivano che ad accrescere il timore al povero giovane e ridurlo alle strette, sicuro omai di ricevere quel che già seco andava imaginando. Che però altro non faceva che raccomandarsi l’anima a Dio. Intanto raggiuntolo il Saraceno e vedendolo così spaventato e tutto pallido in volto che sembrava un cadavere, lo cominciò a sgridare e rimproverargli cotesta sua codardia, e soggiunse: «Vedi, a noi rincresce di non aver nulla di meglio da offerire alla tua onorata persona, e tu all’incontro pensi così male di noi! Prendi questo piccolo soccorso che Dio ti manda, e prosiegui in pace il tuo cammino». E come dono del cielo appunto ricevé l’uomo di Dio quei pani; cosicché vivamente commosso a tanta protezione e assistenza del Signore, non osava pur levare gli occhi al cielo, ma quasi vergognandosi di rimirare in alto, teneva il volto fisso in terra, e tutto compenetrato di un basso sentimento di sé stesso, prorompeva tra un profluvio di lagrime in queste parole di Davide: Che renderò a te, o Signore, in contraccambio di tanti benefizî, che mi hai compartito?(18) dappoiché tu, o Signore, ti sei preso cura di me fin dal seno di mia madre(19); né mi hai chiuso tra le mani de’ miei nemici(20). E così dicendo si batteva il petto ed i fianchi, quasi volesse castigare l’anima sua. E proseguiva dicendo: Benedici, anima mia, il Signore, e tutto il mio interno benedica al suo santo Nome: Benedici, anima mia, il Signore, e non dimenticare i tanti suoi benefizi(21).

Con questi sentimenti aveva omai compito il restante del viaggio, e già si appressava al monastero, che di sopra dicemmo, quando gli si fa innanzi sotto forma di cavaliere l’inimico dei giusti, che così gli dice: «Dove vai, o chierico? Forse a cotesto convento per farti frate? Ma perché illuderti così balordamente? Non sarebbe assai meglio salvarti l’anima, stando con tutti i tuoi comodi in casa tua, di quello che entrare fra coteste bestie selvatiche?» Ed in questo cominciava a metter fuori ogni peggior cosa a carico dei monaci e vomitare contro loro un’infinità di calunnie, chiamandoli avari, ambiziosi e parassiti; e finiva dicendo: «In una sola caldaia della loro cucina ci capirei io con tutto il cavallo». A sentir questo il sant’uomo voleva pure rispondergli e dirgli: Ma chi sei tu che accusi e giudichi i servi di Dio? Alla fin fine l’operaio è degno della sua mercede… quando quegli turatesi con le mani le orecchie, tutto in un punto se gl’involò dallo sguardo. Con tutto ciò il Santo si dié a segnarsi devotamente con la croce, supplicando il Signore che mai sempre lo preservasse dal pensar male di qualsifosse monaco. Così facendo entrò tutto lieto in quel santo monastero.

Or ivi giunto, prostratosi dinanzi l’Abate e gli altri fratelli, gli scongiurò a porgere per lui preghiere al Signore: i quali di ricambio lo accolsero con ogni riguardo come fosse un figlio e un diletto lor confratello. Che anzi vedendolo tanto spossato dal viaggio, gli vollero di presente usare ogni maggior carità, e gli presentarono del pane e del pesce ed anche del vino ed ogni altro ristoro, solito darsi in tali circostanze ai fratelli(22). Ma egli lasciò stare il più ed il meglio di quei cibi, arrecando per pretesto che ciò non si confaceva a persone appena introdotte alla vita monastica, specialmente poi se ancora nel fervore della gioventù e in tutto risolute di sottoporsi al giogo di Cristo. Quindi egli non soddisfece all’esigenza del proprio corpo se non con poco pane ed acqua, giudicandosi indegno per amore di Gesù Cristo financo di quella misera refezione. Così appena rifocillatosi, espone all’Abate quanto gli accade, ed il motivo della sua venuta, supplicandolo che lo vesta dell’abito monastico; a patto sì veramente che non si tratterrebbe in monastero più di quaranta giorni: passati i quali, pregava che con suo beneplacito e benedizione gli fosse permesso di tornare a que’ santi suoi padri, cui dapprima si era affigliato, e dai quali aveva avuto il preliminare indirizzo nelle cose dell’anima. L’Abate ciò nonostante dentro di sé faceva pensiero, non appena consecratolo colla professione(23), di costituirlo superiore in un altro suo monastero. Un tal discorso parve al sant’uomo, come appena l’ebbe udito, oltremodo gravoso e men conveniente all’esser suo; sicché di presente promise a Dio che d’allora innanzi non accetterebbe mai dignità di sorta, quando pure si volesse crearlo patriarca(24). Per lui sarebbe più che bastante piacere a Dio nello stato di semplice monaco, non volendo, come insegna l’Apostolo(25), esser più saggio di quel che convenga, con pericolo poi di non esserlo affatto. Né si tenne contento a questo; ma per viemmeglio rassodarsi, volle restringere se stesso dentro certi limiti, nei quali venissero comprese le principali virtù, a cui terrebbero dietro tutte le altre azioni buone e lodevoli come tra loro concatenate. Ciò era custodire con ogni castità e purezza il proprio corpo, perché già consecrato e offerto in dono a Cristo; sfuggire l’avarizia, radice di tutti i mali(26), fino al possesso di un soldo; non cacciare dal loro monastero nonché un abate, ma neanche un semplice monaco, a scopo d’intromettersi esso stesso. Senonché questi medesimi propositi, emessi nel punto che nella professione indossò l’abito angelico, gli provocarono molte e gravi tentazioni; perocché ove é maggiore la repressione, é altresì maggiore la lotta, stando scritto: In questa via, per la quale io camminava, mi hanno occultamente teso il laccio(27). Ma nondimeno confortato dal divino aiuto, e combattendo alacremente, mantenne salde le sue promesse sino all’estremo respiro di sua vita.

Ora per tutti i quaranta giorni che dimorò nel monastero del gran martire S. Nazario, dove appunto si vestì monaco, egli non gustò né pane, né vino, né vivanda cotta al fuoco, ma vivea di sole frutta campestri e di erbaggi. Ed in ciò naturalmente ebbe molto a soffrire per essere passato di un salto ad una maniera di vita sì austera, dopo una precedente piuttosto comoda e deliziosa. Né é a pensare che egli alleggerisse il fastidio dell’astinenza, con darsi in braccio alla pigrizia e al riposo, né che si desse a sonni prolungati. Non già, ma impiegava tutta la giornata in scrivere con grande applicazione sì per lasciare colà una memoria di sé, come assai più per non trarre sopra di sé la condanna inflitta a colui che mangia senza lavorare(28). La notte poi la spendeva in recitare preghiere e salmi con la giunta di molte genuflessioni: triplice esercizio di orazione cotesto ch’egli si era prefisso ad onore della SS. Trinità; nel quale poi veniva doppiamente a mortificare la carne, cioè e con la fatica del genuflettere e con la privazione del sonno. Né poi alcuno si pensi che questo tenore di vita menasse egli soltanto nel primo tempo della sua penitenza, o che il termine di sua vita fosse inferiore al principio. No, perché a quella guisa che furono preclare e accette a Dio le sue prime mosse, così del pari ne fu la mèta; il che si farà vieppiù manifesto, con l’aiuto di Dio, nel proseguimento del nostro discorso.

Un giorno venne a visitarlo qui in S. Nazario uno degli antichi suoi domestici, il quale lo lodava sì per la buona condotta tenuta nel secolo in servizio di Dio(29) e sì per la presente vita monastica; e perciò lo diceva beato; perché avesse scelta la parte migliore che non gli verrebbe mai tolta. Al che egli rispose: «Ma se è pur buono, o fratello, quel che tu lodi, perché non l’abbracci?». – «Perché, rispose colui, mi manca il mantello e la tonaca di lana, che avete voi monaci». Non avea terminato di così dire, che Nilo, levatosi in piedi, e toltosi il suo tanto caro mantello nuovo che portava in dosso, perché quegli mendicava pretesti, glielo diede dicendogli: «Prendi per ora questo, o fratello, onde per tanto poco non abbi a rimanere privo di sì gran bene: quanto a me, suo vilissimo servo. Dio provvederà». In così dire faceva atto di sfilarsi la cinta, e così spogliarsi per dare a lui anche la tonaca; ma questi ammirato della generosità e del zelo veramente caritatevole dell’uomo di Dio, vergognando di averlo a veder nudo, non permise che si spogliasse, ma per mostrare di fatto che gli era sufficiente il solo mantello, esclamò: «Già sono ravveduto e compunto, e poiché credo in Nostro Signore Gesù Cristo, spero nell’efficacia delle tue preghiere e nella virtù del tuo mantello di piacere a Dio e di combattere per la salute dell’anima mia». Così detto partì tutto ammirato ed attonito per la santità dell’uomo di Dio.

Rimasto pertanto Nilo senza mantello, dimandò al cellerario del monastero una pelle di pecora; e ottenutala se la cucì di sua mano a foggia di pallio, vi trapunse alcune croci, e se lo gettò sulle spalle ripensando a colui che disse: Giravano attorno vestiti di pelli di pecora e di capra(30). Ma ciò appunto egli faceva; perché si era assolutamente posto in animo di ritrarre in se stesso la vita degli Apostoli, e occorrendo, secondo la disposizione della propria indole, anche il zelo dei Profeti. Che però con lo sguardo della mente sempre fissa in loro, studiava di conformarsi ad essi tanto nell’interiore che nell’esteriore. Quindi, per conformarsi all’insegnamento dell’Apostolo, portava il capo scoperto(31); in qualunque stagione non vestiva che una sola tunica, a norma del precetto evangelico(32); e camminava a piè nudi, perché i piedi appunto vengono ammirati dal Profeta(33). Vero è che nell’estrema vecchiaia la naturale infermità e debolezza lo dispensò da cotali macerazioni e rigori. Peraltro dallo spirito di penitenza neppure la morte lo ritenne, nel quale si segnalò tanto, che niun secolo avvenire potrà cancellare la memoria di lui; poiché, secondo dice l’Apostolo, queste tre cose appunto: la fede, la speranza e la carità durano sempre(34). Ma già riprendiamo il filo del discorso.

Era in quella contrada un tal tirannello, che colà chiamano Conte, uomo oltre ogni dire aspro e inumano, il quale viveva dimentico affatto della propria salute: e da despota arrogante suo pari erasi, come a dire, impadronito e fatta sua schiava la povera anima della moglie di uno degli addetti al monastero, dove allora Nilo abitava. Un giorno pertanto quell’insolente s’introdusse nel recinto del monastero a scopo di soddisfare alle ree voglie della sua passione, non già per verun altro motivo salutevole all’anima sua. Or essendo quegli in sull’uscire, il Superiore che per una certa soggezione verso lo svergognato arrogante non si era peritato di dirgli niente, chiamato a sé il beato Nilo, che era già conosciuto un portento per il suo franco parlare, lo pregò che accostandosi con libertà al temibile principe, lo persuadesse a lasciare libera di sé quell’anima che iniquamente teneva a sua posta. Allora Nilo, quasi ne avesse ricevuto comando da Dio, sentendosi armato di una vivissima fede, investì l’audace, e con esempi e con parole tolte da ogni argomento lo ammonì, secondo l’avviso avutone dall’Abate, a dover recedere da cotesto suo mal fare. Ma quegli arditamente rispose che per nessuna ragione al mondo si arrenderebbe ad ubbidire, neppure se discendesse un angelo dal cielo. Allora il Santo prese a ricordargli in breve che, stimulus peccati mors(35): il peccato spesso affretta la morte, e che quegli anni di vita che noi per ventura ci aspettiamo, possono appena essere giorni. Pensava egli che tale reminiscenza avrebbe scossa anche un’anima di pietra. Ma per l’infelice fu come niente. Perocché non ammollito per questo né punto né poco, anzi direbbesi, vieppiù indurito, con arroganza così rispose: «Mah va via di qua, o calogero! I giorni…. che a me restano di vita son ben dieci anni: per otto de’ quali soddisfarò ancora a tutte le brame dell’anima mia, e mi porrò sotto i piedi tutti i miei avversari; negli ultimi due mi ridurrò a penitenza; e quel Dio che aspettò già l’adultera ed il ladrone, aspetterà anche me». Disse: ma l’abate(36) Nilo investito dallo Spirito Santo, per tutta risposta: «Bada a te, miserabile, gli soggiunse, dacché i dieci anni che ti lusinghi ancora di vivere, per soddisfare a tutte le voglie del tuo cuore, non sono più che dieci giorni. E non ti volere illudere coll’andare ingannevolmente dietro ai sogni e alle divinazioni». Dette con franchezza queste parole, rientrò in monastero, e si recò dall’Abate ad annunziargli la subitanea e pessima fine che farebbe quello sciagurato. Ed infatti l’insolente fu all’improvviso sorpreso lì per lì da violenta febbre a freddo, che seguitò a tormentarlo senza tregua per nove giorni continui. Al decimo giorno intanto, mossisi a ribellione contro di lui gli abitanti del luogo, congiuratisi tutti per ucciderlo, egli non sì tosto ne ebbe avuto avviso da quella furia della concubina, che, con grand’ardire impugnata la spada, al solo apparire tutti li disperse. Ma soprappreso da ulteriore spavento, e in fine avvilito, mentre voleva salvarsi con la fuga, impacciato dal peso delle stesse sue armi, caduto in terra cessò di vivere. Corsi in quella sopra il cadavere i già oppressi suoi sudditi gli recisero il capo e tutto gettarono ai cani. Così rimase appuntino avverata la profezia del Santo, che cioè non prima né dopo, ma nel medesimo giorno (cioè nel decimo) colui sarebbe morto.

Volgarizzazione di d. ANTONIO ROCCHI m. b.

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