LA CALABRIA DI ASTOLPHE DE CUSTINE – Castelluccio

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ASTOLPHE DE CUSTINE, nacque nel 1790 in Lorena. La sua infanzia fu segnata dalla paura, che determinò un disagio esistenziale, “un male di vivere” accentuato dagli amori della madre e dalle peregrinazioni insieme a lei ed ai suoi amanti per tutta l’Europa. Nei suoi scritti si trovano tracce della sua mai sopita tentazione di suicidio, specie nel secondo romanzo, Le monde est camme il est. Morì a Parigi, dopo tanto vagare, nel 1857.

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LA Calabria del 1812 è una terra sospesa tra crudeltà miseria, incanto e paura, dove gli uomini rifiutano le “illusorie consolazioni del progresso”, felici di riconoscere e di vivere solo la natura. De Custine traccia nelle sue lettere un affresco della regione, filtrato dalla sua formazione romantica, e dipinge il “vero”. e il vero, nella Calabria di quel tempo, erano le incredibili difficoltà del viaggio, la mancanza dei muli, l’assenza di strade carrozzabili. Una terra che vomitava “sulla sua superficie una legione di demoni”, esposta ad ogni sopruso e ad ogni dominazione, dove l’uomo viveva nell’anarchia, senza nessun rispetto per le più elementari regole della convivenza civile, con la sua selvatichezza rimasta immutata nei secoli, e che tuttavia assume per De Custine un’aura magica e languidamente malinconica, suggestionata forse dal suo disagio esistenziale, quel male di vivere che lo aveva segnato fin dall’infanzia “…l’aspetto di tutta la zona è selvaggio e triste. In queste campagne ricche di storia si vede un genere di desolazione e di sterilità che non appartiene ad esse. Contemplando l’opera del tempo si può notare anche quella dell’uomo. Col tempo la terra è diventata sterile sotto i passi dei soldati ed è inutile che il contadino pianti le sementi in solchi saturi di sangue”.

Dalla sovraccoperta del libro-

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“LETTERE DALLA CALABRIA”,  Castelluccio, 21 maggio, alle otto di sera 1812

Oggi abbiamo attraversato rapidamente, perché viaggiavamo in carrozza, una parte triste e poco interessante del paese.

Le montagne che abbiamo superato sono sterili e desolate. Le loro cime grigiastre, striate di bianco o di nero, secondo i differenti strati di terra trascinati dalle acque, assomigliano al dorso di una bestia mostruosa; queste screpolature, interamente spelacchiate, sembrano rivestite di pelle d’elefante. Presso Lagonegro, città ancora circondata di neve, malgrado il caldo e il bel tempo, ci sono vette molto alte. Ciò che più mi ha colpito è una vallata che noi abbiamo attraversato tra Lauria e Castelluccio.

Tutto è pietra, le montagne sono completamente aride e i loro basamenti scoperti si confondono con le pietre di qualche casa costruita in questo deserto, come per ricordare che l’uomo e la sua razza sono stati maledetti da Dio! Dei letti di torrenti a secco interrompono ad ogni istante, mediante bianche cinture di pietre, il terreno

che separa le due catene di monti pietrosi dentro le quali questa vallata infernale è racchiusa. Queste tracce di un’onda prosciugata, che straziano una terra polverosa, sono come le rughe che solcano il viso di un vecchio, il cammino delle lacrime che non possono più scorrere.

A Castelluccio, dove noi ci troviamo, sono ricomparsi gli alberi, il verde, le acque: la natura rinasce! Rimpiango le belle foreste del Cilento e credo che non godremo più di luoghi veramente belli finché non raggiungeremo il mare.

La sporcizia delle città è straordinaria, anche per chi conosce certi quartieri di Roma e di Napoli. L’indifferenza dei calabresi per tutte le cose che a noi sembrano necessarie alla vita è una lezione di cui non possiamo non essere loro grati. Non hanno utensili, non aspirano a nulla e vivono di niente: li credereste accampati nelle loro case. Non posseggono né i mobili e né le suppellettili che altrove sono ritenuti indispensabili. Se gli si chiede un bicchiere o un piatto, non ne hanno.

Questa mattina, attraversando un villaggio, ho visto un uomo strigliare il suo cavallo con un vecchio pezzo di latta che aveva appena raccattato davanti a me, nella strada. Fuori dalle loro case questi stessi uomini perdono la loro apatia: camminano con un passo fiero e sciolto, il fucile in spalla, in testa un cappello a cono ornato di fiori e di larghi nastri neri che gli scendono sulla schiena.

È difficile credere che quest’uomo dall’aria marziale e libera appartenga allo stesso popolo degli abitanti dei villaggi che abbiamo appena attraversato.

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ASTOLPHE DE CUSTINE, “Lettere dalla Calabria” – Rubbettino

FOTO: Rete

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