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Ciò che per consuetudine chiamiamo «religione greca» è essenzialmente etnica. La partecipazione alla vita religiosa dipendeva dalla discendenza genetica e solo un greco in possesso dei diritti politici, che gli spettavano per nascita, poteva avere in essa parte attiva.
Da ciò discendeva la coscienza di una identità, che portava a celebrare culti comuni ed a credere negli stessi dei; una identità che si rinnovava e rafforzava con la partecipazione ai culti agonistici panellenici.
Senza aspirazioni all’universalismo ed al proselitismo, confinata nello spazio geografico occupato dalle popolazioni che parlavano la stessa lingua, la religione greca non conosceva caste sacerdotali né possedeva un «libro» in cui fossero contenute «verità rivelate» e che costituisse il fondamento di una teologia.

Priva di dogmi e di fondatori, sprovvista della stessa nozione di «religione», circoscrivibile alla «cura (therapèia) degli dei» ed agli «aspetti formali del culto devoluto agli dei» (threskèia), la realtà religiosa greca è stata il prodotto culturale di un popolo che in maniera del tutto originale ha mescolato e reinterpretato elementi pregreci e di altre civiltà.
Questo processo inesauribile, cominciato a partire dalla caduta dei regni micenei, ha dato vita ad un politeismo funzionale, organico e personale, centrato su uno schema generazionale che trova il suo parallelo nel ruolo della famiglia nella società greca.
Da STORIA DELLE RELIGIONI – Biblioteca di Repubblica
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