Fromm: LA SITUAZIONE UMANA

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Per quanto riguarda il corpo e le funzioni fisiologiche l’uomo appartiene al regno animale. Il comportamento dell’animale è determinato dagli istinti, da specifici complessi di azioni che sono a loro volta determinate da strutture neurologiche ereditarie. Quanto più alto è il posto occupato dall’animale nella scala evolutiva, tanto maggiore è la flessibilità del complesso di azioni e tanto meno completo l’adattamento strutturale riscontrabile alla sua nascita. Nei primati superiori troviamo perfino una notevole intelligenza, cioè uso del pensiero per raggiungere le mete desiderate, il che permette così all’animale di andar oltre i complessi di azioni dettate dall’istinto. Ma per quanto largamente si estenda l’evoluzione entro il mondo animale, taluni elementi basilari dell’esistenza restano immutati.

L’animale « viene vissuto » attraverso le leggi biologiche della natura, cioè le subisce; fa parte della natura e non può trascenderla. Esso non ha una coscienza d’ordine morale, non ha consapevolezza di se stesso e della propria esistenza; non ha la ragione, se per ragione intendiamo la capacità di penetrare oltre la superficie percepita dai sensi e comprendere l’essenza che sta sotto tale superficie; perciò non ha la concezione del vero, anche se può avere un’idea di quel che sia l’utile.

L’esistenza animale è un’esistenza di armonia tra l’animale e la natura; non nel senso, beninteso, che le condizioni naturali non minaccino spesso l’animale e non lo costringano ad aspre lotte per sopravvivere, ma nel senso che l’animale è equipaggiato dalla natura per dominare proprio le condizioni cui deve far fronte, come il seme è equipaggiato per utilizzare le condizioni del suolo, del clima, ecc. alle quali esso si è adattato nel processo evolutivo.

Ad un certo punto dell’evoluzione animale è accaduta una particolare frattura, comparabile al primo sorgere della materia, al primo sorgere della vita, al primo sorgere dell’esistenza animale. Questo nuovo evento si verifica quando nel processo evolutivo l’azione cessa di esser determinata dall’istinto, quando l’adattamento della natura perde il suo carattere coercitivo, quando l’azione non è più prestabilita da un meccanismo ereditariamente trasmesso. Quando l’animale trascende la natura, quando trascende il ruolo meramente passivo di creatura, quando diventa, biologicamente parlando, l’animale più sprovveduto, allora nasce l’uomo. A questo punto l’animale si è emancipato dalla natura con la stazione eretta, e il cervello si è molto più sviluppato di quanto non fosse nell’animale più progredito. La nascita dell’uomo può esser durata centinaia di anni, ma quel che importa è che è sorta una nuova specie che trascende la natura, e la vita è divenuta cosciente di se stessa.

Consapevolezza di sé, ragione e immaginazione guastano l’« armonia» che caratterizza l’esistenza animale. Il loro apparire ha fatto dell’uomo un’anomalia, il capriccio dell’universo. Egli è parte della natura, soggetto alle sue leggi fisiche e incapace di modificarle, ma trascende il resto della natura. Egli è posto di fronte a se stesso, pur rimanendo parte del-tutto; è senza dimora per quanto incatenato alla dimora che condivide con tutte le creature. Gettato in questo modo in un tempo e in un luogo fortuiti, ne è spinto fuori in maniera altrettanto fortuita. Essere che ha coscienza di sé, egli riconosce la sua sprovvedutezza e le limitazioni della sua esistenza. Egli prevede la sua stessa fine: la morte. Non è mai libero dalla dicotomia della sua esistenza: non può liberarsi della sua mente, anche se volesse farlo; finché è vivo, non può liberarsi del suo corpo, e il suo corpo fa sì che egli voglia esser vivo. La ragione, sommo bene dell’uomo, è anche la sua maledizione; essa lo costringe a lottare perennemente per risolvere un’insolubile dicotomia.

L’esistenza umana è in questo diversa da quella di tutti gli altri organismi; essa si trova in uno stato di costante e inevitabile squilibrio. La vita dell’uomo non può « esser vissuta » ripetendo la forma tipica della propria specie, egli è obbligato a viverla. L’uomo è il solo animale che possa annoiarsi, che possa sentirsi cacciato dal paradiso. L’uomo è il solo animale che guarda alla propria esistenza come ad un problema che deve risolvere e al quale non può sfuggire. Non può retrocedere alla condizione preumana di armonia con la natura, ma deve andare avanti per sviluppare la sua ragione fino a divenire padrone della natura e di se stesso.

Sia ontogeneticamente sia filogeneticamente la nascita dell’uomo è essenzialmente un evento negativo. Egli manca di adattamento istintivo alla natura, manca di vigore fisico, è, alla nascita, il più indifeso di tutti gli ammali, e per un più lungo periodo di tempo bisognoso di protezione. Se da un lato ha perduto l’unità con la natura, dall’altra non gli sono stati dati i mezzi per condurre una nuova esistenza fuori della natura. La sua ragione è molto rudimentale, egli non ha conoscenza dei processi della natura, né strumenti che sostituiscano gli istinti perduti; vive diviso in piccoli gruppi, senza conoscenza di se stesso e degli altri; veramente il mito biblico del paradiso esprime la situazione con perfetta chiarezza. L’uomo, che vive nel giardino dell’Eden in completa armonia con la natura ma senza coscienza di sé, inizia la sua storia con il primo atto di libertà, la disobbedienza ad un comando. Contemporaneamente diventa cosciente di se stesso, del suo isolamento, della sua sprovvedutezza; è cacciato dal paradiso e due angeli con spade di fuoco impediscono il suo ritorno.

L’evoluzione dell’uomo si basa sul fatto che egli ha perduto la sua originaria dimora, la natura, e che non può più ritornarvi, non può diventare nuovamente un animale. Una sola via può prendere: uscire completamente dalla sua dimora naturale, trovare una nuova dimora che egli crea trasformando il mondo in un mondo umano, diventando egli stesso veramente umano.

Quando l’uomo nasce, sia come specie sia come individuo, è estromesso da una situazione che era definita, definita come gli istinti, e immesso in una situazione che è indefinita, incerta e sconfinata. Esiste certezza soltanto riguardo al passato; il futuro ha un’unica certezza: la morte, che è anch’essa in effetti un ritorno al passato, allo stato inorganico della materia.

Il problema dell’esistenza umana è pertanto unico in tutta la natura: l’uomo è, si può dire, caduto fuori della natura, e tuttavia vi è ancora dentro; egli è in parte divino e in parte animale, in parte infinito e in parte finito. La necessità di trovare sempre nuove soluzioni alle contraddizioni della sua esistenza, di trovare sempre più alte forme di unità con la natura, con i suoi simili e con se stesso è all’origine di tutte le energie psichiche che determinano l’uomo e di tutte le sue passioni, affetti e preoccupazioni.

L’animale è contento quando i suoi bisogni fisiologici, fame, sete, bisogni sessuali, sono soddisfatti. In quanto l’uomo è anche un animale, questi bisogni sono altrettanto imperativi e devono esser soddisfatti. Ma in quanto l’uomo è umano, la soddisfazione di questi bisogni istintivi non è sufficiente a farlo felice e nemmeno a farlo sano di mente. Il punto d’appoggio del dinamismo specificamente umano sta in questa singolarità della situazione umana; la comprensione della psiche umana deve basarsi sull’analisi di quei bisogni dell’uomo che sorgono dalle condizioni della sua esistenza.

Da “PSICANALISI DELLA SOCIETA’ CONTEMPORANEA”, di Erich Fromm – Edizioni di Comunità

Foto: Rete

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