Vita di Nilo il Giovane scritta da Bartolomeo, suo discepolo – Cap.3

Carracci, Madonna col Bambino tra i santi Nilo e Bartolomeo Grottaferrata

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3. S. Nilo torna al monastero di S. Fantino. Sua edificante conversazione col medesimo e con l’ab. Giovanni.

Decorso il tempo stabilito, il santo padre Nilo fece ritorno ai suoi Superiori nel monastero di Mercurio, tutto pieno di Spirito Santo e di fede; poiché è ben naturale che fra simili regni una vera reciproca compiacenza. Poiché da una parte vedevano essi in Nilo un uomo che con l’abito di apostolo ne avea preso anche la vita e il costume, e portava quasi stampata sulla fronte con la verecondia una umiltà dignitosa; sicché ne godevano e con piacere ne ringraziavano il Signore. Ma egli d’altra parte era tutto rispetto e venerazione per loro, tenendoli tutti in quel conto che angeli del Signore; quantunque per verità professasse una speciale intrinsichezza e affezione al venerabile padre Fantino. E questi alla sua volta dimostrava a Nilo una uguale, se non anzi maggiore, benevolenza; sicché vedevasi rinnovata fra loro quella indivisibile unione di animi che fu già tra Pietro e Paolo, tra Basilio e Gregorio (37). E spesso avveniva che, stando essi seduti a leggere le Sacre Scritture, si radunavano intorno tutti i fratelli, pregandoli a far loro udire qualche utile discorso. Ed invero da una parte ascoltavano le parole di grazia che provenivano dalle labbra del nostro santo padre Nilo, contemplavano dall’altra la grazia divina che sfolgorava sul volto del santo padre Fantino, cosicché pareva loro proprio di vedere i due apostoli Pietro e Paolo, di cui entrambi emulavano la vita.

In questo accadde che alcuni di quei monaci recandosi per propria divozione a visitare il gran padre Giovanni (38), presero a lodargli il beato Nilo, come uomo mandato da Dio in quei posti per comun loro profitto; e rilevavano in ispecie che egli non usasse né pane né vino, ma si attenesse ad una ascetica assai sublime. Pertanto il buon padre impose loro di condurglielo. Ed infatti come gliel’ebbero condotto, il gran padre ricevutolo con allegrezza gli fe’ dare un buon bicchiere di vino, volendo con questo sperimentare, se quel suo tenore di vita procedesse da Dio. Ma il santo padre Nilo, preso in mano il bicchiere, e domandata prima la benedizione (39), francamente lo bevve sino all’ultimo sorso, neppure riflettendo che quel si soverchio vino gli avrebbe potuto nuocere; poiché non voleva preferire il proprio giudizio al sentimento del padre, anzi amava piuttosto di rompere in ogni cosa, o contro o secondo ragione, la propria volontà, nel che consiste il massimo fra tutti gli altri mezzi per salvarsi. Allora quel grande, ammirato seco stesso il saggio operare di lui e la sincera obbedienza in tutte le cose; poiché lo ebbe provato anche sovra altri punti, anzi istruitolo a quella guisa che un padre farebbe col proprio figliuolo, disse agli astanti: «Ma non mi riferirono pure i padri che l’abate Nilo non gustava vino? Ma pur troppo è così; gli uomini una cosa veggono e un’altra dicono!…» (40). Allora questi di presente levatosi in piedi, fatto un profondo inchino: «Credimi, disse, reverendo padre, che io non ho fatto mai nulla di buono innanzi a Dio: pure l’astinenza, o padre, e tu pur troppo il sai, sta bene a tutti ed in tutto; conviene ai vecchi, perché siano di modello e di esempio ai giovani, conviene a noi giovani e principianti, perché non aggiungiamo maggior esca al fuoco, ma ci rendiamo questa bestia tanto meno ricalcitrante ed indomita. Del resto il ricevere una santa benedizione dalla veneranda tua mano, sia per bere un bicchiere di vino, sia per mangiare un pezzo di pane, equivale al favore che ti facesse un Patriarca» (41). Udite queste parole il gran Giovanni mosse alquanto il labbro a un sorriso ed esultandone dentro di sé, vieppiù colmava Nilo di benedizioni e gli faceva tanti buoni auguri. Esortavalo altresì a tenere nella vita ascetica una via di mezzo, perché poi col tempo, o costrettovi da infermità o da vecchiaia, non dovesse ricercare delicatezze meno confacenti alla condizione di monaco. E per allora lo ritenne presso di sé, compiacendosi assai del suo dolce modo di leggere, e delle esatte spiegazioni che facea dei concetti, come altresì dell’opportune interpretazioni che dava alle divine Scritture.

Aveva poi il gran Giovanni famigliarissimi i discorsi di san Gregorio teologo (42); talmenteché per la molta pratica in essi acquistata, veniva da tutti riconosciuto per un secondo teologo. Ora un giorno fra gli altri avvenne che, leggendo il nostro santo padre Nilo il medesimo libro e dilucidando il vecchio una delle sentenze dommatiche del santo Dottore, a Nilo non piacesse l’interpretazione che quegli ne dava, perché non riportasse esattamente il pensiero del Padre. Si die’ dunque a spiegare quel passo, riscontrandolo con un altro dell’opera stessa, per dimostrare la giustezza, qual era di fatto, della sentenza. Senonché ne fu molto garrito da quel Grande, il quale gli disse che non stava bene a lui giovane novizio, tuttora agitato dalle passioni secolaresche, che si desse a scrutinare, e troppo addentro, in siffatte cose. Ma Nilo in udir questo non si turbò, né dentro di sé punto gli si diminuì la fiducia e l’amore verso il vecchio, anzi ricevé quei rimproveri a quella guisa che un cervo assetato si accosta a un vaso pieno di acqua, dappoiché lo teneva in conto di un altro san Giovanni Battista; ed a segno tale che si recava spesso in chiesa a baciare il posto, dove quegli poggiava i piedi, come se fosse stato il santuario (43). Senonché fattosi sera e ridottosi nel silenzio della propria cella, venne d’improvviso assalito da un pensiero che lo turbò e sconvolse ben molto; poiché stava fra due, o che quel Grande lo avesse giustamente rimproverato, perché egli avesse malamente inteso il senso del Teologo, e fosse perciò incorso in qualche eresia, o che il vecchio avesse voluto solamente abbassare la sua superbia e somma alterigia. Ora non appena in questi dubbi si fu addormentato, ecco che colui il quale non perde mai di vista gl’inciampi delle anime giuste per farle cadere e nascondere loro dei lacci, volendo vagliare anche questo santo, gli appare in visione sotto le sembianze di due vecchi che gli dicono: «Noi siamo Pietro e Paolo, che, vedendoti angustiato sull’intelligenza di sacri dommi, veniamo ad istruirti ed insegnarti ogni verità». Ciò detto gli suggerirono una spiegazione di quel passo, breve sì quanto un Paternostro (44); e fatto ciò, si partirono. Ma egli in parte tornato alquanto in sé, perocché non era in vero stato di sonno, provava una compiacenza di quella inaspettata visione, e sentivasi per la bocca l’interpretazione che gli era stata data, senza però che ne penetrasse il concetto; e così se la passò dall’albeggiare sino al mattino. Ma come si fu fatto giorno trovandosi tornato totalmente in sé, messosi a considerare a fondo l’avuta rivelazione, trovò invece che ciò che stimava miele era più amaro dell’assenzio, e quella singolare dommatica era una bene mostruosa eresia. Allora egli, come persona perspicace e pronta a distinguere il legittimo dallo spurio, riconosciuto il perfido inganno degli spirituali inimici, e la loro finissima astuzia, corre ad una croce del Salvatore, vi si prostra bocconi dinanzi, e con cuore contrito ed umiliato domanda che gli venga cancellata dalla mente la malvagia e falsa interpretazione. E di presente l’ottenne, tantoché levatosi di là non gli venne fatto indi in poi di mai più ricordarsi, benanche il volesse, né però di pur recarsi sulle labbra sia il principio sia la fine di quel maligno oracolo. Dopo ciò tornato a visitare quel grande operaio del Signore, e fattagli riverenza gli narrò tutto l’accaduto. Anche il vecchio con volto sorridente presolo per mano così gli si fa a dire: «Animo, figliuol mio, e coraggio: conforta il tuo cuore: sostieni da bravo le tentazioni dei demoni; onde tu stesso poi convertito che sii, confermi a suo tempo le anime di molti, divenendo pel mondo luce e sale agli erranti: poiché io già conosco la penetrazione della tua intelligenza e la grazia della parola che Dio ti ha data. Per verità io vidi che tu avevi colto nella mente del santo Dottore; ma temendo non forse per un poco di presunzione ti avessi a rovinare, cosa non di rado avvenuta ad altri tuoi pari di svegliato intelletto, preferii di prendermi piacere in darti un po’ di tristezza, come direbbe l’Apostolo, di quello che per usarti riguardo contristare lo Spirito Santo e lasciarti andar dietro alla tua stima e superbia». Dettegli queste ed altre simili cose, il vecchio con molti auguri e benedizioni lo lasciò andare in pace. (Continua)

Volgarizzazione di ANTONIO ROCCHI m. b.

NOTE

37 Vale a dire l’amicizia tra S. Basilio Magno e S. Gregorio Nazianzeno, celebrata indi in poi per tutto il mondo.

38 Quel desso che col titolo di grande fu nominato di sopra.

39 È regola monastica di non accostarsi nulla alla bocca, se non ricevuta in prima la benedizione del Superiore.

40 Detto scherzevolmente per stimolare un poco il buon giovane.

41 Intendi un vescovo patriarca.

42 Così sempre i Greci appellano il Nazianzeno, in ispecie per i trattati che tenne a Costantinopoli sulla Divinità di Gesù Cristo.

43 Il santuario, detto Vima, è per i Greci il luogo dove sta l’altare, che diviso dal resto del tempio, non è accessibile se non se a’ sacri ministri.

44 Non era pertanto la spiegazione data dal nostro Santo, ma tutt’altra, come si vedrà in appresso. Il demonio solo dalla titubanza di lui prese occasione d’ingannarlo, se avesse potuto.

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