IL PAESAGGIO AGRARIO IN MAGNA GRECIA

Costa ionica calabrese

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È nel mondo colonizzato dai Greci infatti (Magna Grecia e Sicilia) che il paesaggio agrario ha assunto una fisionomia precisa delimitandolo dalla natura selvaggia ed incolta per cui si delinea una sua storia. Solo in quella realtà prende vigore e consistenza il sistema del maggese che si sostituisce al vecchio sistema a campi ed erba e la divisione tra terre incolte e terre messe in coltura diviene netta nel momento in cui gli stessi campi vengono difesi da siepi, muri, fossi, strade vicinali o pubbliche.

La scoperta della Tavola di Eraclea (5) e di quella di Alesa (6) ci consentono di ricostruire i lineamenti di questo paesaggio dal IV al I sec. a.C.

Nel primo caso, la Tavola di Eraclea, esso si presenta con una forma geometrica, regolare, mentre nel secondo la regolarità non sempre è mantenuta. Tuttavia, in entrambi i casi, i lotti o appezzamenti sono divisi da muriccioli, fossati, siepi per proteggerli da eventuali pascoli abusivi e sono costellati da edifici di varia natura. Questa divisione inoltre presenta un aspetto storico-giuridico molto rilevante: il possesso diviene stabile e suddetta divisione presuppone un piano politico dal momento che sono i magistrati ad assegnare le terre ai singoli coloni (7). Su questa base nelle poleis magno-greche incominciano a fare la loro comparsa le colture arboree come l’ulivo, il fico, il melo, il pero e soprattutto la vite (8). Tali alberi hanno impresso una traccia significativa nel paesaggio dando vita al cosiddetto «giardino mediterraneo» arrivato sino ai giorni nostri. Dalla vita materiale propriamente detta, tale paesaggio non poteva non essere sublimato in autentica poesia e divenire oggetto di contemplazione estetica, come nell’Odissea di Omero:

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Era vicino alle porte, fuori la corte, un giardino

di quattro iugeri grande, difeso da siepi.

Alberi alti là vigorosi verdeggiano:

peri e granati e meli dai floridi frutti

e fichi dolcissimi e olivi già densi di bacche.

Dagli alberi frutto non cade, né mai

d’estate o d’inverno appassisce né langue;

ma il soffio di Zefiro sempre alitando

alcuni fa sorgere, altri ammollisce e matura.

Il pomo invecchia sul pomo, la pera cosi sulla pera,

sul grappolo il grappolo, il fico sul fico.

Ivi una vigna è anche piantata feconda

di grappoli; parte di questi si seccano al sole

su aprica terrazza, spiccati; e fanno di altri vendemmia

e altri li pigiano; uve più avanti

acerbe perdono il fiore, altre s’imbrunano.

E dove dispiega il giardino l’ultimo lembo

d’ogni sorte in bell’ordine crescono ortaggi

continui nell’anno, di lieto verde lucenti.

E puri due fonti là scaturiscono: uno

che l’acqua propaga per tutto il giardino,

l’altro che sbocca attraverso la corte la soglia

della casa mirabile: da questo la gente attingeva.

Di tali brillava il palazzo di Alcinoo doni divini. (9)

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Questa descrizione di Omero ci offre, dunque, delle preziose conferme relative alle piante arboree introdotte dai Greci nell’Italia meridionale e nello stesso tempo fa di questo giardino un locus amenus che ci ripropone miti come l’eterna giovinezza e la ricchezza (un albero sempre in fiore e sempre in frutto) non a caso ripresi dalle civiltà successive (10).

Tale paesaggio è potuto arrivare a noi prima di tutto perché il mondo magno-greco è stato molto solerte nei confronti delle sue terre e ha evitato che si creassero delle erosioni; secondariamente esso è stato sempre impegnato in una lotta incessante contro la natura selvaggia strappandole fasce notevoli di terre, attraverso il noto sistema di “terrazzamento” costituito da muri a secco, «armacère» (11), e portandovi sin nelle alture, al confine con il leccio, l’ulivo e la vite.

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Fonte: “CASTELLI, CHIESE, ABBAZIE NEL GIUSTIZIERATO DI CALABRIA”, di Domenico Angiletta – cittàcalabriaedizioni

Foto: Rete

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NOTE

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5 La scoperta del documento epigrafico è di Kaibel il quale ha ricostruito con esattezza il paesaggio agrario che si riferiva alle terre di Alena Poliade ad Eraclea di Lucania. Georg. Kabel (Lubecca 1847-Gottinga 1901) ha insegnato a Strasburgo e a Gottinga.

6 La Tavola di Alesa (Tusa, prov. Messina) risale al I sec. a.C.

7 Dopo la distruzione di Sibari (510 a.C. ), da quanto ci tramanda Diodoro Siculo, la nuova città di Turi fondata nel 446, ebbe uno schema geometrico regolare.

8 La vite, almeno sino a non molto tempo fa, era un alberello basso o come si dice nel gergo a «palo secco». Il sistema etrusco, a «spalliera», che lascia libero sfogo ai tralci è un metodo che va sostituendo quello di chiara impronta magno-greco ad alberello.

9 Omero, Odissea, Fabbri, Milano 2000, versione di E. Cetrangolo, libro VII, vv. 114-134, pp. 199-200.

10 Si pensi alla civiltà rinascimentale e nello specifico al rinascimento nelle corti padane come i giardini d’Este a Ferrara. Per ulteriori ragguagli si rimanda allo studio di G. Venturi, Scena e Giardini a Ferrara in  Il Rinascimento nelle corti padane, De Donato, Bari 1977, pp. 553 e ss.

11 Armacèra oppure armigèra, armigera nel dialetto calabrese significa muro a secco. È chiara l’origine greca del termine, αρμαχια. Cfr. G. Rohlfs, Dizionario dialettale della Calabria, Longo, Ravenna 1972, p. 91; cfr. anche. G.B. Marzano, Dizionario etimologico del dialetto calabrese, stab. tip. “Il progresso”, Laureana di Borrello 1928, p. 37.

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