
GUARIGIONE DEL PARALITICO – Dura Europos – III sec
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Bisogna ammettere che l’arte è la sola porzione dell’eredità bizantina che esercita su di noi un richiamo immediato. Un’asserzione di questo genere non sarebbe stata vera cento anni fa e se è vera oggi la ragione è che il nostro gusto estetico si è allontanato dal naturalismo privilegiando in parte o del tutto l’astrazione. Come ebbe a scrivere Robert Byron nel 1930, «Tra le numerose culture europee i cui monumenti sono considerati grandi dal nostro gusto, l’arte figurativa bizantina è stata la prima a scoprire quel principio di interpretazione – anziché di riproduzione – dei fenomeni da noi percepiti, che nel nostro tempo è venuto a soggiacere a ogni forma di espressione artistica». La produzione bizantina era apprezzatissima anche nel Medioevo, ma per ragioni completamente diverse. L’erudito arabo alDjahiz (nono secolo), pur osservando che i bizantini erano privi di scienza e di letteratura, elogia assai i risultati da loro conseguiti nella lavorazione del legno, nella scultura, nei tessuti. Conclude che «gli antichi Greci erano uomini colti, i bizantini sono artigiani».

CRISTO CAMMINA SULLE ACQUE – Dura Europos – III sec.
Indipendentemente dal suo apprezzamento, che oggidì è diffuso, ancora non si è pienamente giunti a una comprensione adeguata dell’arte bizantina nel suo sviluppo e nel suo rapporto con i fattori sociali e storici. Ci sono molte ragioni per cui questo non è accaduto. In primo luogo, l’arte bizantina – analogamente alla letteratura bizantina – era innegabilmente assai conservatrice. Poiché la sua evoluzione avveniva a passo lento, datare il corpus di quest’arte non è che raramente cosa semplice, soprattutto quando si tenga presente che la grande maggioranza delle opere e degli edifìci non porta data. In secondo luogo, l’arte bizantina era anonima e impersonale. Nell’arte dell’Europa occidentale, a partire almeno dal tardo Medioevo, sono le personalità individuali ad attrarre gran parte della nostra attenzione, sicché la storia dell’arte europea non ha a che fare solamente con l’evoluzione delle forme; è anche la storia di persone che vivevano vite che noi conosciamo, introducevano innovazioni, esprimevano le loro opinioni sull’arte, esercitavano un influsso su altri artisti a noi noti. Per l’arte bizantina non vale niente del genere. A Bisanzio gli artisti erano considerati artigiani e non si avvertiva interesse a tenere traccia dei loro nomi o delle loro personalità. Il primo e unico pittore bizantino che ci sia noto in quanto individuo è Teofane il Greco, attivo in Russia alla fine del quattordicesimo-inizio del quindicesimo secolo. Quanto agli architetti, dopo Antemio e Isidoro (costruttori della Santa Sofìa giustinianea) nessuno è menzionato per nome.

CRISTO GUARISCE UN CIECO -Codice-sinopensis-VI-sec.-Parigi
La nostra terza difficoltà deriva dalla virtuale assenza di critica artistica bizantina – dalla mancanza cioè di una letteratura che potesse discutere o valutare le opere d’arte in termini non puramente retorici. L’ultima e forse la più seria tra le nostre difficoltà nasce dal fatto che l’arte bizantina è conservata solo in frammenti. Le devastazioni cui tanti e tanti territori bizantini sono stati esposti nel corso dei secoli non solo hanno spazzato via grande parte della creazione artistica bizantina ma hanno anche determinato ciò che potrebbe definirsi lo schema di conservazione. La distruzione di monumenti è stata più sistematica nel centro dell’Impero – Costantinopoli, Asia Minore, Tracia – che in aree periferiche quali per esempio l’Italia, la Grecia, la Macedonia iugoslava, parti della Siria e di Cipro. Ne consegue che l’arte bizantina è meglio nota nelle sue manifestazioni provinciali che in quelle metropolitane. Un altro aspetto della distruzione è che colpì i monumenti profani assai più gravemente di quelli religiosi. Dopo la conquista ottomana, infatti, le chiese avevano la possibilità di restare nelle mani delle comunità cristiane e talvolta capitava che la conservazione fosse possibile grazie alla loro trasformazione in moschee.

CODICE PURPUREO – Rossano – VI sec.
Un ulteriore risultato del processo di distruzione è la relativa importanza delle arti minori nel corpus della produzione artistica bizantina a noi rimasto. Gli edifici e le decorazioni murali venivano abbattuti ma gli oggetti di valore che potevano essere trasportati – opere di oreficeria, smalti, avori, manoscritti miniati – tendevano a emigrare nell’Europa occidentale dove sono sopravvissuti nei tesori dei duomi e nei musei.
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Parlando di arte protobizantina o di arte paleocristiana (è quasi la stessa cosa) dobbiamo ricordarci che intendiamo l’arte del tardo impero romano adattata alle necessità della Chiesa. Può essere che tratteggiando l’opposizione dei primi cristiani alla rappresentazione artistica gli storici abbiano indebitamente esagerato; comunque, non si può dire che essi avessero un programma artistico. Diversamente da quella di Mani, la dottrina di Gesù non si trasmetteva facendo ricorso a immagini. Il problema di un’arte cristiana si pose dapprima all’epoca della conversione di Costantino, quando l’imperatore, i suoi parenti e i membri delle più alte sfere del clero (che, come abbiamo visto, improvvisamente si ritrovarono ricchissimi) cominciarono a erigere splendide chiese. Per la loro forma architettonica si trovò ben presto una formula (invero, poteva essere preesistente) : la basilica, un salone rettangolare delimitato da un giro di colonne, con un palco (bèma) a un’estremità. Derivata da un tipo di edificio ampiamente usato nel mondo romano per vari scopi giudiziari, commerciali, militari e cerimoniali, la basilica cristiana era concepita per soddisfare le esigenze della synaxis: la spaziosa navata ospitava la congregazione dei fedeli, mentre l’elevato béma era per il clero, con la cattedra vescovile posta al centro. Un altare era adibito al sacrificio eucaristico, l’altro era destinato alle offerte dei fedeli. Mentre il nucleo architettonico della chiesa non creava alcuna intrinseca difficoltà, valeva il contrario per le decorazioni.

BUON PASTORE – Mausoleo di Galla Placidia – V sec
Per il vero, già prima del regno di Costantino i cristiani avevano adottato alcune formule pittoriche quali vediamo nelle più antiche decorazioni catacombali, sui sarcofagi e nella Cappella di Dura-Europos suU’Eufrate. Eseguite nello stile della pittura e della scultura romane allora in voga, erano piccole vignette che illustravano con la massima economia un certo numero di episodi-chiave dell’Antico e del Nuovo Testamento connessi con i temi della salvezza e della vita dopo la morte. Queste vignette, sovente criptiche per quanto attiene al loro significato, non erano comunque adatte a decorare le enormi superfici murali offerte dalle sontuose fondazioni del periodo costantiniano. Non sembra che in un primo momento si trovasse alcuna soluzione soddisfacente.

BEATA VERGINE IN TRONO – Sant’Apollinare Nuovo – VI sec
Le composizioni abbreviate dell’arte catacombale vennero serbate, solo arricchite da elaborati motivi di cornice; per il resto, si introdussero soggetti ‘neutri’ desunti dal repertorio profano, per esempio scene di caccia e di pesca o semplicemente grandi masse di volute vegetali. Questo è ciò che troviamo nei pochissimi monumenti di decorazione della metà del quarto secolo che siano sopravvissuti – per esempio il mausoleo di Santa Costanza a Roma e il mausoleo forse di Costanzo I a Centoelles vicino a Tarragona. A quanto sembra, fu solo verso la fine del secolo che si trovò un approccio più razionale alla decorazione delle chiese, utilizzando i cicli biblici e cioè sequenze di illustrazioni più o meno elaborate che venivano ammesse in quanto erano veicolo di istruzione nei confronti di chi non sapeva leggere. Già una lettera di san Nilo, del 400 circa, documenta questo cambiamento nel senso di un’arte cristiana ‘narrativa’, ma il più antico monumento che sia sopravvissuto a tutt’oggi per testimoniare del nuovo approccio è Santa Maria Maggiore a Roma (circa 445).

Sinagoga di Dura Europos, III secolo – ATTRAVERSAMENTO DEL MAR ROSSO
Questo ci porta al tema dell’iconografìa cristiana, che avrebbe avuto un ruolo tanto importante per la storia dell’arte bizantina. Già nel terzo e nel quarto secolo troviamo una certa omogeneità quanto alle scene bibliche rappresentate, e questo in monumenti separati da grandi distanze: il Peccato Originale, il Sacrificio di Isacco, l’Attraversamento del Mar Rosso sono resi a Dura-Europos in forma riconoscibilmente simile a quella delle catacombe di Roma. Nel caso delle rappresentazioni legate a episodi dell’Antico Testamento, è probabile che l’iconografia fosse derivata da fonti ebraiche, forse da manoscritti biblici illustrati. La situazione, come è naturale, era diversa nel caso del Nuovo Testamento che acquisì la sua forma canonica solo intorno al 200. Già nel terzo secolo troviamo rappresentazioni dei miracoli di Cristo, ancorché in forma assai schematica; solo nel quarto e nel quinto secolo sembra si sia giunti a una più ampia elaborazione dell’iconografia del Nuovo Testamento. Il più antico esempio sopravvissuto di un ampio ciclo dal Nuovo Testamento in contesto monumentale è nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna (500 circa); i più antichi manoscritti illustrati dei Vangeli che si siano serbati a tutt’oggi risalgono al sesto secolo: sono il codex Rossanensis, il ‘frammento di Sinope’ (ora a Parigi) e il vangelo siriaco di Rabbuia (ora a Firenze). Quel che è significativo per il prosieguo della storia dell’arte bizantina è che cicli completi di illustrazioni sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, quali ne fossero con precisione origine e data, vennero a essere stabiliti in forma autorevole al più tardi intorno al 500. C’è documentazione sufficiente per dimostrare che tra il quarto e il sesto secolo vennero elaborati anche cicli agiografia a decorazione delle pareti dei templi dei martiri. Tutto questo corpus di materiale pittorico, di cui oggi così poco sopravvive, nel corso del Medioevo deve avere avuto un ruolo analogo a quello della letteratura patristica per i teologi e i predicatori di età successiva. Fornì uno standard di riferimento e una serie di clichés.

Gli Evangelisti Matteo e Giovanni – Vangeli di Rabbula, Siria, VI sec
Il maggior esito artistico dei secoli quarto e quinto sta nella creazione di un’arte cristiana sia per contenuto sia per intento. Questo periodo è anche venuto a coincidere con una tendenza stilistica indipendente dal Cristianesimo e che può essere descritta come provincializzazione dell’arte greco-romana. Gli antecedenti di questo sviluppo possono esser fatti risalire sino al primo e al secondo secolo d.C.: è il caso per esempio della scultura funeraria palmirena e della pittura e della scultura di Dura-Europos. Predominio dell’ornamento, graduale perdita della tridimensionalità, frontalità delle figure umane, negligenza per i rapporti di scala – questi i tratti soprattutto notevoli in molte opere provinciali del periodo tardo imperiale. La conservazione degli standard classici dipendeva da una committenza illuminata e da una tradizione d’alto livello artigianale: entrambi vennero distrutti dalle guerre civili e dalla crisi economica del terzo secolo. La legislazione del quarto secolo attesta la scarsità di architetti e di artigiani capaci; elargizioni statali e la concessione di varie immunità indicano che se ne incoraggiava il reclutamento. Misure di tal sorta, anche nelle condizioni migliori, richiedono un certo periodo di tempo prima di dare frutto, laddove l’ambizioso programma di costruzioni di Costantino e dei successori richiedeva immediata disponibilità di artigiani in gran numero. Il risultato fu: costruzioni scadenti e una decorazione di tal fatta da rivelare – nonostante tutte le sue pretese – quanto ne fossero provinciali e incompetenti i creatori. I ‘Tetrarchi’ in porfido di Venezia, di cui ora sappiamo che vennero portati via da Costantinopoli, bene ci illustrano che cosa fosse considerato ritrattistica imperiale ‘adeguata’ nel periodo costantiniano.

CRISTO IN TRONO CON GLI APOSTOLI – Basilica di Santa Prudenziana – Roma IV sec.
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Parallelamente al declino della tradizionale capacità artigianale vi fu una crescente domanda di ostentazione, pompa e sfarzo. Qui era la corte imperiale a dettare il tono: la scenografia, i marmi, i mosaici, i tendaggi purpurei, il solenne rituale delle udienze, delle entrate e delle uscite, la straordinaria ricchezza delle vesti. C’era un’arte della propaganda imperiale, con la sua iconografia: l’imperatore sempre trionfante, più grande della realtà, congelato in una positura immobile mentre riceve il tributo o distribuisce onorificenze o calpesta il collo dei nemici o presiede pubblici giochi. Ciò che si addiceva all’imperatore terreno era parimenti confacente per il Cristo, e così l’arte della Chiesa non esitò a mutuare il più possibile dalla preesistente arte di corte. Il Buon Pastore del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna non ha più le vesti di un pastore perché indossa una tunica purpurea a strisce dorate. Nella chiesa di Santa Pudenziana a Roma (400 circa) Cristo, che veste un abito splendido, è assise in trono in un’esedra semicircolare a ricevere l’acclamazione degli apostoli. Altrove calpesta l’aspide e il basilisco come l’imperatore calpestava i nemici sconfitti, oppure riceve dai suoi santi e discepoli l’offerta di corone dorate. Osserviamo che nell’arte si ricercano sempre di più gli effetti sfarzosi, sinché lo sfondo delle composizioni non diviene una massa d’oro compatta, come nel mosaico della cupola della rotonda di Tessalonica, probabilmente di metà quinto secolo.
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Da “LA CIVILTA’ BIZANTINA”, do Cyril Mango – Laterza
Foto: Rete