La sessualità tra i primi cristiani

Discutono dell’argomento Corrado Augias e Remo Cacitti, che insegna Letteratura cristiana antica e Storia del cristianesimo antico presso la Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Milano.

 

Vari episodi aiutano molto a capire la travagliata nascita di questa religione. Diverse domande però incalzano. Per esempio, da quali elementi dipendeva e quale era la concezione della vita sessuale?

 

Era sicuramente una visione molto negativa. Esistono attestazioni, precedenti a Paolo o coeve, nelle quali la sessualità viene nettamente svalutata, dove anzi l’introduzione del peccato nel mondo è attribuita proprio a cause sessuali. L’apostolo risente di questa linea e la condivide. Nella Seconda lettera ai Corinzi dice chiaramente: io non ho indicazioni su queste problematiche da parte di Gesù, però se vi mantenete vergini è meglio. Aggiunge: piuttosto che ardere di desiderio, sposatevi, dove il matrimonio sembra essere svilito a remedium concupiscentiae.

Comincia in quegli anni e in quella temperie culturale la svalutazione del corpo, della fisicità, della sessualità. San Paolo è uno dei responsabili, ma è figlio del suo tempo e di un giudaismo fra l’altro minoritario, perché il giudaismo ufficiale sulla sessualità ha un giudizio gioiosamente positivo. Nella fecondità e nella prole si scorge l’azione benedicente di Dio, anche se il rapporto uomo-donna, come in gran parte delle società antiche, è tutt’altro che paritario.

È possibile delineare, anche se a grandi tratti, una storia del rifiuto della sessualità nel cristianesimo delle origini?

Questa storia è stata raccontata ne Il corpo e la società, Uomini, donne e astinenza sessuale nel primo cristianesimo, un’ampia e importante opera tradotta anche in italiano, agli inizi degli anni Novanta del Novecento, dal grande studioso Peter Brown. In estrema sintesi, direi che le motivazioni del rifiuto della sessualità poggiano su diversi fondamenti: il dualismo platonico, con la connessa svalutazione della materia e della corporeità, assunto da un numero ragguardevole di pensatori cristiani. La continenza diventa segno di un’elezione alla salvezza, poiché soltanto la parte spirituale, trattenuta come prezioso diamante nelle tetre viscere del cosmo, sarà reintegrata al divino. Corollario di ciò è l’abbattimento della distinzione sessuale.

È un tema insistito, per esempio, nel già citato Vangelo di Tommaso, che Paolo riprende nella Lettera ai Galati, ma che è presente anche nella predicazione di Gesù. Quando i discepoli gli chiedono quando potranno entrare nel regno, Gesù, sempre secondo Tommaso, risponde: «Quando farete di due una sola cosa … in modo da rendere il maschio e la femmina un unico individuo, così che il maschio non diventi maschio e la femmina non diventi femmina … allora entrerete [nel regno]».

Che cosa dicono le fonti su questo argomento di primaria importanza?

Il Vangelo di Tommaso ci dà una preziosa testimonianza del primitivo annuncio cristiano. Se lo confrontiamo su questo punto con i vangeli sinottici si vede sia la differenza sia la contiguità. Matteo, per esempio, racconta che un giorno i farisei chiedono a Gesù se sia lecito ripudiare la propria moglie. Egli risponde: «Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commette adulterio». I discepoli, da bravi maschilisti, subito commentano: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt 19,9-10). La replica di Gesù chiarisce il senso della sequenza. Egli aggiunge: «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca» Mt 19,12). Sono concetti che non riguardano tanto il dibattito sul divorzio, quanto le condizioni per entrare nel regno. Come si capisce, Gesù pone come condizione per l’ingresso nel regno la continenza assoluta. Non siamo molto lontani dal detto riportato nel Vangelo di Tommaso.

Rimane traccia di questo radicalismo evangelico nei primi secoli cristiani?

Più a lungo di quanto si creda. Ancora oggi, i tre voti solenni pronunziati da chi si fa monaco mi sembrano strutturati proprio su questo capitolo di Matteo che, dopo la benedizione ai fanciulli, destinati al regno proprio in virtù della loro debolezza, si conclude con la promessa che anche chi si spoglia di tutto, facendosi assolutamente povero, riceverà cento volte di più, il che è un altro modo per indicare l’ingresso nel regno.

Ora, povertà, castità e obbedienza (cioè debolezza) sono appunto i tre voti che si chiedono ai monaci. Ci sono, nel cristianesimo delle origini, anche attestazioni di un uso gioioso della sessualità nel regno, Gesù però sembra escluderlo. Un giorno i sadducei, negatori della resurrezione, lo provocano sottoponendogli il caso di una donna che, secondo la legge del levirato, aveva sposato in successione, uno dopo l’altro, sette fratelli. Gli chiedono di chi mai sarebbe stata moglie dopo essere risorta. Gesù ribatte seccamente: «I figli di questo mondo

prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della resurrezione dai morti non prendono né moglie né marito». Poiché, soggiunge in Matteo, «si è come angeli nel cielo» (Mt 22,30).

Lei tuttavia afferma che nel primitivo cristianesimo c’era chi ammetteva l’esercizio della sessualità anche dopo l’avvento del regno di Dio. Come si concilia tutto ciò con queste parole di Gesù?

La sua domanda presuppone una sistematicità che nei testi primitivi non c’è. Non mi stancherò mai di ripetere che parole e gesta del Signore ci sono state tramandate in funzione dei bisogni, dei contesti vitali delle varie comunità che le hanno raccolte. Nel nostro caso, l’esclusione della sessualità nella resurrezione dipende dalle esigenze, se non dalle polemiche e dai contrasti, che animavano la vita di quelle comunità. Del resto, nella stessa tradizione dei vangeli il regno assume spesso i caratteri festosi di un banchetto. Pensi solo alle parole di Gesù nell’ultima cena, quando, libato il calice, afferma: «Non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Me 14,25). In molte comunità del primitivo cristianesimo, questa gioia paradisiaca comporta anche l’esercizio della sessualità, che tuttavia verrà progressivamente contestato, nel processo di epurazione di ogni carattere materialistico dell’escatologia.

CORRADO AUGIAS – REMO CACITTI

 

Da “Inchiesta sul cristianesimo”, di C. Augias – R. Cacitti – Mondadori

Foto: Rete

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