Perché i pitagorici disprezzavano le fave?

 

Una leggenda arcade narra che le fave – kùamoi in greco – furono gli unici legumi che Demetra non donò ai Fenati quando giunse nella loro città. La dea le aveva escluse anche dalla sua sfera sacrale proibendone l’uso ai sacerdoti di Eleusi, come a tutti coloro che partecipavano ai suoi riti. Il motivo di questo divieto, che si ritrova anche fra orfici e pitagorici, era un «sacro segreto», come riferiva lo stesso Pausania.

Un’epigrafe cultuale del V secolo avanti Cristo, proveniente da un ignoto santuario di Rodi, ordinava ai partecipanti di astenersi «dagli afrodisiaci, dalle fave, dai cuori [degli animali]» affinché si conservassero in uno stato di purezza totale.

Perché mai le fave impedivano di mantenersi puri? In un frammento di Giovanni Lido si dice che cibarsi di questo legume equivale a mangiare le teste dei genitori.

I pitagorici provavano nei loro confronti un vero e proprio orrore per una serie di motivi. Il primo è di carattere botanico: sola fra tutte le piante, la fava ha uno stelo privo di nodi grazie al quale essa diventa un mezzo di comunicazione privilegiato fra l’Ade e il mondo degli uomini, strumento della metensomatosi e del ciclo delle nascite.

Riferivano che una fava, chiusa in una marmitta o in una scatola e sepolta nella terra o nel letame, dopo un periodo di gestazione – che variava secondo le testimonianze da quaranta a novanta giorni – si trasformava in una testa di bambino o in un sesso femminile o in una testa maschile, oppure diventava sangue.

I discepoli di Pitagora sostenevano che le fave erano simili agli organi sessuali: questa credenza si è riflettuta anche modernamente nella parola che metaforicamente indica il membro maschile.

Si giunse persine a vedere nella fava il primo essere vivente, insieme con l’uomo, nato dalla putrefazione originaria. In questa cosmogonia è una mistura di sangue e sesso; rappresenta la dimensione del ciclo perenne delle nascite-morti-rinascite, opposta a quella della vita degli «immortali» la cui sostanza non è di carne e di sangue. Per questo motivo si diceva che se si fosse posta al sole una fava leggermente masticata, qualche ora dopo essa avrebbe emanato l’odore del seme umano o del sangue. E l’acqua in cui si immergeva un infuso di fave si tingeva di rosso, quasi fosse colorata di sangue.

Da queste credenze nasceva il rifiuto dei pitagorici di mangiare le fave. Significava alimentarsi di carne umana, comportarsi come bestie feroci; ci si poneva agli antipodi dell’Età dell’Oro.

Secondo una credenza tramandata da Porfirio, le fave potevano essere veicolo delle anime dei morti, capaci di prendere possesso di un essere umano. Ciò spiega la loro presenza nei riti funebri non soltanto in Grecia, ma anche in Egitto, a Roma, in India e in Perù.

Si sosteneva che causassero ottundimento fisico e psichico: «Vuole dunque Platone» scriveva Cicerone «che ci si addormenti con il corpo in condizione di non recare all’anima errore e turbamento. Anche per questo motivo si ritiene che sia stato proibito ai pitagorici di nutrirsi di fave perché questo cibo procura un forte gonfiore, nocivo alla tranquillità spirituale di chi cerca la verità».E Plinio: «La fava si mangia perlopiù bollita, ma si ritiene che intorpidisca i sensi e provochi visioni». Non diversamente scriveva il Mattioli nel XVI secolo: «Le fave gonfiano e fanno ventosità, digerisconsi malagevolmente, fanno sognare cose paurose e terribili, e fanno il corpo carnoso. Seminano alcuni le fave solamente per ingrassare i campi, imperò che come le piante sono cresciute ben morbide e che già cominciano a fiorire, gli agricoltori le voltano con l’aratro e le seppelliscono in terra. E così infradiciandosi ingrassano il terreno».

Questa pratica, conosciuta come «sovescio», consiste nel sotterrare piante o partì di piante ancora verdi. Il sovescio ha azione concimante perché arricchisce lo strato superficiale con le sostanze assorbite dalle radici a livelli più profondi: se viene fatto con piante leguminose, come le fave o il lupino, la veccia o il pisello da foraggio, che utilizzano l’azoto atmosferico, esso arricchisce il terreno di questo elemento.

Le fave possono anche causare una manifestazione anafilattica, una sindrome emolitica acuta, accompagnata da emoglobinuria: è il cosiddetto «favismo», causato dall’ingestione di questo legume o dall’aspirazione del suo polline, fenomeno frequente nell’Italia meridionale e in Sardegna.

 

ALFREDO CATTABIANI

Da “Florario” – Mondadori

Foto: Rete

 

 

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