La palma, la fenice e il sole

Palermo, Palazzo Reale. Un altro scorcio della decorazione musiva della stanza di re Ruggero. È interessante notare come l’iconografia attinga a temi cari alla tradizione persiana (palme, leoni affrontati, pavoni inseriti in una flora arabescata).

 

 

In greco venne chiamata phoìnix, come il leggendario uccello che viveva 1461 anni e moriva bruciandosi nel suo nido per poi rinascere dalle sue ceneri. Quel ciclo di 1461 anni corrispondeva esattamente al Grande Anno egizio, al cui termine il cosmo si rigenerava. E siccome era il sole a segnare l’inizio e la fine del ciclo, la fenice veniva associata a Eliopolis, città solare per eccellenza. Plinio riferiva che a Gora, nel Basso Egitto, esisteva una palma che moriva e rinasceva spontaneamente insieme con la fenice, «l’uccello che si ritiene tragga il nome dal comportamento di questa palma».

Il simbolismo della palma potrebbe essere stato evocato dalle sue foglie simili a raggi e dalla sua luminosità. A quel punto divenne spontanea l’analogia con la fenice.

L’associazione della palma con il sole riaffiora nel mito della nascita di Apollo, dio solare per eccellenza. Scriveva Omero:

Quando Ilitia, che procura il travaglio del parto,

giunse nell’isola di Delo,

subito le doglie invasero Leto

che sentì l’impulso del parto.

Cinse la palma con le braccia

e le ginocchia puntò sul soffice prato;

sotto di lei sorrise la terra,

il dio balzò alla luce.

 

Quest’albero evocò anche i simboli dell’immortalità, della vittoria e della gloria. I Romani, che designavano la Vittoria come dea Palmaris, usavano come i Greci offrire ai vincitori un ramo dell’albero, sicché ancora oggi nel linguaggio comune si dice «ottenere o conseguire la palma della vittoria».

Persino la fondazione di Roma è collegata al simbolo della palma vittoriosa. Ovidio narra nei Fasti che Rea Silvia prima di partorire vide in sogno i gemelli Romolo e Remo nelle sembianze di palme:

Due palme insieme s’ergevano dal portentoso aspetto,

e l’una era più elevata dell’altra.

Il mondo intero con i rami maestosi copriva,

e gli astri più lontani con la chioma toccava.

 

Fin dall’antichità le palme ispirarono le colonne dei templi. In Egitto, erano veri e propri palmizi di pietra, ovvero alberi terrestri che collegavano i frontoni del cielo col basamento della terra. Tale simbolismo si trasmise anche alle chiese cristiane.

Strabone e Plutarco riferivano che un inno, babilonese per il primo e persiano per il secondo, cantava i 360 benefici elargiti dalla palma. Questo numero si riferisce senza dubbio ai 360 giorni del loro calendario, di cui il sole era il signore.

Il simbolismo solare si ritrova anche in una leggenda ambientata nell’India centrale, nei pressi del lago di Taroba, dove cresceva una palma straordinaria, visibile soltanto di giorno: di notte infatti scompariva nella terra. Un mattino un pellegrino imprudente volle salire sulla cima dell’albero che improvvisamente si alzò così alto nel cielo da permettere ai raggi del sole di bruciare l’uomo riducendolo in polvere. Nel luogo dove una volta si levava la favolosa palma si mostra oggi l’idolo del genio lacustre, detto Taroba.

 

ALFREDO CATTABIANI

Da “Florario” – Mondadori

Foto: Rete

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