Medioevo, si diffonde l’OMAGGIO

Teofilo stipula il patto con il diavolo, 1200 circa. L’intervento della Madonna lo libera dal patto – Chantilly

L’impero di Carlo Magno, fondato con l’incoronazione della notte di Natale dell’anno 800, ma in realtà nato dalle guerre di conquista che avevano allargato a dismisura la dominazione del re franco, rappresenta l’estremo tentativo di ridare vita all’impero romano d’Occidente. A quell’epoca, tuttavia, ben poco era rimasto in piedi delle strutture di governo che i primi re germanici avevano ereditato dall’impero. L’imperatore governava bensì le province mediante suoi rappresentanti, che portavano ancora il nome tardoantico di comites (i conti, cioè, da cui il nome di comitatus dato alle circoscrizioni che essi governavano), e con l’attiva collaborazione dei vescovi; ma la capacità di amministrare ordinatamente la fiscalità, la giustizia e i possedimenti demaniali, fornendo rendiconti scritti, era ridotta al minimo, così come quasi scomparsa, prima degli sforzi di Carlo Magno, era la capacità di leggere e scrivere in un latino corretto. In queste condizioni, l’amministrazione di un impero che comprendeva gran parte dell’Europa occidentale, e dove le comunicazioni erano per giunta piuttosto precarie, risultò possibile soltanto con l’impiego sistematico di rapporti di fedeltà personale, di natura clientelare. È qui il nocciolo di quello che gli storici chiameranno poi sistema feudale, anche se questa è un’espressione che sarebbe meglio evitare, sia perché il termine feudo è troppo spesso usato a sproposito, sia perché di sistematico, soprattutto all’inizio, c’era ben poco.

Come mai proprio le fedeltà personali, che con termine tecnico chiamiamo rapporti vassallatici, assunsero tanta importanza nella società medievale?

Va detto che in ogni società, compresa la nostra, esistono rapporti clientelari; tuttavia nel  mondo romano e in quello germanico, dal cui incontro nacque l’Europa medievale, quei rapporti erano immensamente più sviluppati rispetto a ciò che accade oggi. Si pensi soltanto che fra i Romani, come fra i Germani, una porzione non trascurabile della popolazione era composta da schiavi, gente cioè che apparteneva fisicamente a un padrone! Ma anche quando uno schiavo veniva liberato, ciò non troncava quasi mai il suo rapporto di dipendenza dal padrone, che semplicemente cambiava coloritura: nella società romana, come nei regni romano-germanici, i liberti, o aldii, come sono definiti nel diritto longobardo, rappresentavano una percentuale molto ampia della popolazione e sotto diversi aspetti restavano vincolati al padrone, benché giuridicamente liberi.

Preghiera di Nicatiola, IV sec. – Napoli

Il vassallaggio nasce però da una forma specifica di dipendenza personale; non quella degli schiavi e neppure quella dei liberti, che si trasmettevano di padre in figlio, bensì da quei rapporti di fedeltà vitalizia, volontariamente istituiti, che collegavano uomini liberi, e che in passato avevano avuto un accento soprattutto politico presso i Romani e soprattutto militare presso i Germani. Nel mondo romano, infatti, un politico di successo doveva disporre di una cerchia di sostenitori che avevano legato il proprio destino al suo: dai senatori disposti a votare secondo le sue indicazioni, fino ai clientes, i poveracci che si raccomandavano al patrono e ogni mattina si radunavano nel cortile della sua casa per ricevere del denaro o una sporta di roba da mangiare. Nel mondo germanico, d’altra parte, Tacito ci informa che ogni capo era circondato da una squadra di guerrieri che gli avevano giurato fedeltà, la trustis: un nome in cui ritroviamo la radice del verbo inglese to trust, che vuoi dire appunto confidare, aver fede.

Nel mondo romano-barbarico entrambe queste tradizioni sono ancora ben vive. All’inizio dell’VIII secolo un manoscritto ci ha tramandato la formula con cui ci si raccomandava alla protezione di un patrono:

Poiché è noto a tutti che io non ho da mangiare e da vestirmi, ho chiesto alla vostra pietà, e ho deciso di mia spontanea volontà, di consegnarmi e raccomandarmi al vostro mundeburdio; e così ho fatto, in modo tale che dobbiate aiutarmi e soddisfarmi per il vitto e il vestiario, per quanto potrò servirvi e meritarlo; e finché vivrò, dovrò prestarvi servizio e ossequio al modo d’un uomo libero, e per tutto il tempo della mia vita non potrò sottrarmi alla vostra potestà o mundeburdio.

Sono già evidenti in questa formula quelli che saranno poi i tratti del vassallaggio: un impegno volontario, cioè, di servizio in cambio di protezione e, ciò che più conta, un impegno per tutta la vita. S’intende che quel servizio, in una società guerriera come quella romano-germanica, era per lo più di natura militare, e l’impegno di fedeltà poteva legare anche uomini di condizione sociale ben più elevata, in piena continuità con la tradizione della trustis. Un altro formulario ci mostra appunto il certificato, per così dire, rilasciato dal re franco al guerriero che entrava nella sua trustis, diventando un antrustione:

È giusto che quanti ci offrono una fedeltà illimitata siano protetti da noi. E poiché il Tale, fedele nostro con l’aiuto di Dio, venendo qui nel nostro palazzo con le sue armi ha giurato nelle nostre mani trustis e fedeltà, con la presente ordiniamo che d’ora in poi il suddetto sia contato nel numero degli antrustioni; e se qualcuno oserà ucciderlo, sappia di dover pagare per il suo guidrigildo seicento soldi.

Appare qui molto chiaramente un altro aspetto che prefigura il vassallaggio, e cioè il carattere tutt’altro che umiliante, anzi onorifico della dipendenza volontariamente accettata nei confronti di un uomo potente o, come qui, addirittura del re: una dipendenza giurata con le armi in pugno e che si traduce in un privilegio di fronte alla legge, in questo caso un aumento del guidrigildo.

Gli esempi citati mostrano che già prima di Carlo Magno i rapporti che noi definiamo clientelari avevano assunto una connotazione unica rispetto, ad esempio, alla nostra epoca: non si trattava, come avviene oggi, di una realtà estesa ma sotterranea, tacitamente tollerata ma giudicata, tutto sommato, poco edificante. La dipendenza da una persona influente era pubblicamente ostentata e sancita da un atto giuridico, sia pure soltanto orale, che vincolava per tutta la vita. La scarsa efficacia di amministrazioni come quella del re franco, del tutto incapaci di assicurare l’ordine pubblico, di tutelare la vita e la proprietà delle persone, o di dar da mangiare alla gente in caso di carestia, come sapeva fare invece l’impero romano, spiega perché molti preferissero porsi sotto la protezione privata d’un potente; o magari anche sotto quella del re, ma in forma personale e anche qui, per così dire, privata, con l’esplicita condizione che di quanti gli avevano giurato personalmente fedeltà il re si sarebbe preso cura più che degli altri suoi sudditi.

L’omaggio ad un re malvagio, XIII sec. – Vienna

La crescente importanza di questi rapporti clientelari fa sì che, sotto i primi carolingi, si affermino in quest’ambito una terminologia e un rituale precisi e giuridicamente vincolanti. L’uomo che prende sotto la sua protezione altri uomini, meno potenti di lui, è il senior, cioè letteralmente «il più vecchio»; ma questa espressione andrà intesa nel senso che assume, colloquialmente, in molte lingue, cioè «il capo». L’uomo che s’impegna a servire per tutta la vita il signore è indicato nelle fonti latine semplicemente come homo, il suo uomo; ma l’esigenza di un termine meno generico porterà poi alla fortuna di un’altra parola, di origine poco chiara, cioè vassus, vassallo. Infine, il rituale con cui, in pubblico, l’homo s’inginocchia davanti al signore e mette le mani giunte nelle sue, per diventare il suo uomo, si chiama proprio per questo homagium, omaggio; ad esso si aggiunge poi il giuramento di fedeltà, prestato con la mano sul Vangelo o sulle reliquie. È importante ribadire che si entra in vassallaggio spontaneamente, pubblicamente, e che l’impegno così assunto vincola per sempre l’anima e il corpo, tingendosi di un’aura religiosa o comunque sacrale.

Proprio per questo doveva fare un’enorme impressione e suscitare angoscia vedere l’atto di omaggio stipulato con il traditore e ingannatore per eccellenza, e cioè con il diavolo. È quanto sarebbe accaduto al diacono Teofilo, la cui leggenda, di origine greca, fu raccontata dalla colta monaca Rosvita nel X secolo. Caduto in disgrazia presso il suo vescovo, Teofilo non esitò a firmare con il suo sangue, aiutato da un ebreo esperto in arti magiche, un patto col demonio, cui vendette l’anima in cambio del potere, come farà molti secoli dopo il dottor Faust di Goethe. In una miniatura tratta dal Salterio, cioè dalla raccolta dei Salmi, della regina Ingeborga, del 1200 circa, scelta, anche se di epoca tarda, per la sua bellezza ed esemplarità di racconto, vediamo il momento in cui il patto è concluso. Teofilo sta compiendo i gesti essenziali del rito dell’omaggio e la didascalia spiega: «Si come Theophilus fait ommaige au diable». Il diacono, inginocchiato e a mani giunte, le pone in quelle del demonio, impegnandosi da leale vassallo a una fedeltà e dipendenza per tutta la vita. Il Maligno sventola felice un cartiglio nel quale significativamente Teofilo ha scritto: «Ego sum homo tuus». Da notare che la formula giuridica della fedeltà è espressa in latino, la lingua del diritto, oltre che della Chiesa, mentre la didascalia della miniatura è in francese.

La gestualità dell’omaggio è sopravvissuta molto a lungo, addirittura fino a noi. Quando oggi usiamo l’espressione: «Sono nelle tue mani», senza saperlo ci riferiamo al rito dell’omaggio; e ancora fa riferimento al gesto di omaggio l’abitudine di pregare inginocchiati e con le mani giunte, a significare che tutta la fiducia è riposta in Dio e che il fedele è il vassallo del Signore. Così ad esempio si mostra l’abate Humbert di Echternach verso la metà dell’XI secolo, mentre, a mani giunte, prega Cristo di accogliere il dono del suo Sacramentano. Nell’Antichità, invece, si invocava Dio con le mani aperte e le braccia sollevate, come si legge anche nella Bibbia, ad esempio a proposito di Mosè nella battaglia contro gli Amaleciti (Esodo 17, 9-13); i primi cristiani pregavano ancora così, come la piccola defunta Nicatiola, del IV secolo, dipinta nella catacomba di San Gennaro a Napoli. Oggi la preghiera con le braccia levate è propria soltanto del sacerdote quando dice la messa, che ha mantenuto in molti punti del rito il modo di pregare Jahvè dell’Antico Testamento; mentre per i «fedeli», appellativo che d’altronde è già tutto un programma, la gestualità del vassallaggio ha sostituito quella della Bibbia.

 

Da “Medioevo, storia di voci, racconto di immagini”, di Alessandro Barbero e Chiara Frugoni  – Laterza

Foto: Rete

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