Che cos’è il male? La risposta cristiana

 

LA DEFINIZIONE DEL MALE

II male è una privazione. Ma tale termine può essere inteso in due sensi. In senso lato, tale parola potrebbe indicare qualunque mancanza, qualunque assenza di un bene. In senso stretto la privazione è una cosa ben diversa dalla semplice negazione, dalla semplice assenza: essa è «l’assenza di un bene dovuto». Ecco la definizione del male.

Non possedere la vista, per il minerale o per il vegetale è una semplice negazione, una semplice assenza; per l’uomo è una privazione, un male.

San Tommaso, per precisare ch’egli intende la privazione in questo senso stretto, e che la contrappone alla semplice assenza, il più delle volte definisce il male « privazione di un bene dovuto». […]

La rivelazione giudaico-cristiana.

Solo la luce della rivelazione giudaico-cristiana potrà permettere alla definizione del male di formularsi e di chiarire il suo contenuto. La dottrina della creazione immediata del mondo dal nulla da parte di un Dio unico ed onnipotente, scarta infatti radicalmente i sogni dell’eternità della materia, della sostanzialità del male e del conflitto dei due principi antagonisti, uno buono, l’altro cattivo. Questa dottrina ha le sue radici nell’Antico Testamento ed è costantemente richiamata nel Nuovo. San Giovanni scrive del Verbo: «Era al principio con Dio. Tutto è stato fatto da lui, e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che fu fatto» (Gv., I, 3). «Maestro — dicono gli Atti degli Apostoli — sei tu che hai fatto il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che vi si trova» (IV, 24; cfr. XIV, 15; XVII, 24). San Paolo torna sempre su questo concetto: «Non c’è che un solo Dio, il Padre, dal quale derivano tutte le cose e a causa del quale noi esistiamo, ed un solo Signore Gesù Cristo dal quale derivano tutte le cose ed a causa del quale noi esistiamo» (7 Cor., Vlll, 6). «Tutto viene da Lui, e per mezzo Suo e per Lui» (Rom., XI, 36). Del Suo amatissimo Figlio si dice: «Egli è l’immagine del Dio invisibile, Primogenito, anteriore ad ogni creatura; poiché è in Lui che sono stati creati tutti gli esseri esistenti nei cieli e sulla terra, i visibili e gli invisibili, i troni, le dominazioni, i principati, le potenze; tutto è stato creato da lui e per lui. Egli è prima di tutte le cose e tutto sussiste in lui» (Col, I, 15-17) (II).

 Padri greci: Origene, Melodia, Atanasio, Basilio, Gregario di Nissa.

I Padri greci non tardano a segnalare il carattere negativo del male.

Commentando Rom., XI, 32: «Dio ha chiuso tutti gli uomini nella disobbedienza per usare misericordia a tutti», Origene che ha riconosciuto altrove che il male è una privazione, e che non è una cosa, spiega inoltre che, se Dio non elimina fin da principio il male che fanno alcuni, è perché prevede che ne risulterà per gli altri un bene nell’avvenire. E’ già, in embrione, la teologia del male.

San Metodio (+ 311), vescovo di Olimpia, in Licia, cozza contro il dilemma che l’assilla continuamente: o Dio è l’autore di tutti gli esseri e per conseguenza del male, oppure bisogna dire, con i gnostici, che il male deriva da una materia eterna di cui Dio non è responsabile; nel primo caso Dio non è buono, nel secondo caso non è assoluto. Egli riassume così la sua risposta dicendo che nessun male è una sostanza (ουσια).

Il problema ricompare un po’ più tardi nel Discorso contro i Gentili di sant’Atanasio: «Alcuni Greci, andando fuori strada e non conoscendo il Cristo, hanno affermato che il male esisteva come una sussistenza (υποστασις) ed in sé. Di conseguenza, hanno errato in due modi: o hanno negato che il Demiurgo fosse l’Autore di tutti gli esseri — non potrebbe essere infatti Signore di tutti gli esseri se il male avesse in sé, come essi asseriscono, una sussistenza ed una sostanza (ουσια) oppure per poterlo dichiarare Autore di tutte le cose hanno dovuto necessariamente ammettere che Egli fosse autore anche del male».

San Basilio dedica un sermone per sostenere che Dio non è l’autore del male: «Non lasciarti andare a supporre che Dio sia causa dell’esistenza del male, e non immaginarti che il male abbia una sussistenza propria (υποστασις). La perversità non sussiste come se fosse qualcosa di vivente; non si potrà mai porre sotto agli occhi la sua sostanza (ουσια) come veramente esistente. Poiché il male è la privazione (στερησις) del bene». Ecco, in termini propri, la definizione del male.

Pure san Gregorio di Nissa, nel suo Grande discorso catechetico, insegna che Dio non è causa dei mali. La cattiveria che si oppone alla virtù, la cecità che si oppone alla vista, non sono qualcosa di proprio alla natura, ma la privazione (στερησισ) di qualità precedentemente possedute. Non c’è Demiurgo di ciò che non esiste; Dio non è la causa dei mali, Egli è l’Autore di ciò che è, non di ciò che non è; della vista, non della cecità.

Henri Marrou, che riporta questi due ultimi passi, li fa seguire da un’osservazione: «Sermone, Catechesi: si sarà osservato il carattere dei discorsi dai quali questi passi sono stati tratti. Ciò significa dunque che questa definizione apofatica del male era considerata in Cappadocia, nella seconda metà del IV secolo, come una dottrina sicura, che i vescovi stimavano utile diffondere fra il popolo cristiano e che faceva parte dell’insegnamento ufficiale della Chiesa».

 

CHARLES JOURNET

Da “Il male” – Borla

Foto: Rete

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