Il richiamo «femminista» di Olympe de Gouges era troppo audace anche per i rivoluzionari francesi.

 

Nel settembre 1791, poco prima che il re accettasse la Costituzione, la scrittrice Olympe de Gouges (1748-1793) pubblica una dichiarazione intitolata Les droits de la femme et de la citoyenne (i diritti delle donna e della cittadina).

Olympe aveva già espresso queste rivendicazioni nel 1789 nel suo Le prince philosophe, che si potrebbe definire un «romanzo femminista».

Nell’aprile del 1793, dopo l’arresto del re e della regina, s’offrì di assumerne la difesa ritenendo che avessero diritto a un giusto processo prima di venire giustiziati; ebbe parole molto dure per Robespierre e per Marat. Pochi mesi dopo fu imprigionata e ghigliottinata.

La dichiarazione consiste in un preambolo e 17 articoli; ricalcandone il modello, sottolineava il carattere maschilista della Dichiarazione del 1789. Nel preambolo s’individua nella mancanza di diritti della donna la causa della corruzione dei governi e delle pubbliche disgrazie. Tra le altre cose, vengono chiesti il suffragio universale e la revisione del contratto matrimoniale.

«Preambolo

[…]

Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di potersi costituire in assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio, il disprezzo dei diritti della donna sono la causa delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti inalienabili e sacri della donna, affinché  questa Dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e i loto doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini, potendo essere paragonati a ogni istante con gli scopi di ogni istituzione politica, siano più rispettati, affinché le proteste dei cittadini, fondate ormai su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione, dei buoni costumi e della felicità di tutti. In conseguenza il sesso superiore sia in bellezza che in coraggio, nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere supremo, i seguenti diritti della donna e della cittadina.

  1. La donna nasce libera e ha gli stessi diritti dell’uomo. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.

II, Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della donna e dell’uomo: questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e soprattutto la resistenza all’oppressione.

III. Il principio di sovranità risiede essenzialmente nella nazione, che è l’unione della donna e dell’uomo: nessun organo, nessun individuo può esercitare autorità che non provenga espressamente da loro.

  1. La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto ciò che appartiene ad altri; così l’unico limite all’esercizio dei diritti naturali della donna, la perpetua tirannia dell’uomo, cioè, va riformato dalle leggi della natura e della ragione.
  2. VI. La legge deve essere l’espressione della volontà generale; tutte le cittadine e i cittadini devono concorrere personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; essa deve essere la stessa per tutti: tutte le cittadine e i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammissibili a ogni dignità, posto e impiego pubblici […].

[…]

  1. Nessuno deve essere perseguitato per le sue opinioni […]; la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla tribuna, a condizione che le sue manifestazioni non turbino l’ordine pubblico stabilito dalla legge.
  2. XI. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri verso i figli. Ogni cittadina può dunque dire liberamente, io sono la madre di un figlio che vi appartiene, senza che un pregiudizio barbaro la obblighi a dissimulare la verità; salvo rispondere dell’abuso di questa libertà [secondo] la Iegge.

 

Da “Storia”  v. 10, Biblioteca di Repubblica

Foto: RETE

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