
Stele funeraria con l’iscrizione in lingua greca ΙΧΘΥϹ ΖΩΝΤΩΝ (traslitterazione ichthys zōntōn; traduzione letterale: “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore dei viventi”). Risalente agli inizi del III secolo, è una delle prime iscrizioni cristiane conosciute. Museo Nazionale Romano.
Certamente […] la lingua greca non rappresentava più una potenza culturale per il Mezzogiorno d’Italia dopo il tramonto delle colonie greche. Alle comunità dell’Italia meridionale passate definitivamente sotto il dominio di Roma era stato concesso in via generale di conservare la lingua e le istituzioni greche, ma da quando la lingua di Roma era diventata la lingua ufficiale delle autorità, il greco andò man mano perdendo terreno e nella sua progressiva decadenza si ridusse ad essere una lingua della massa popolare.
Le cose si mutarono allorché, arrivati dall’Oriente, misero piede nell’Italia, meridionale i primi banditori della dottrina cristiana. Passando per Reggio gli apostoli Pietro e Paolo raggiunsero l’Occidente. Missionari greci dalla fine del primo secolo in poi predicarono quivi l’Evangelo in lingua greca alla popolazione rimasta ancor greca in essenza. Quanto alla Puglia mi posso riferire alle conclusioni di F. LANZONI: ‘ Le condizioni della Puglia nell’epoca romana erano favorevoli a una pronta introduzione del cristianesimo nella regione. Essa era traversata dalla Via Appia, che metteva Roma in diretta comunicazione coll’ Oriente, cioè con la culla dell’Evangelo. Brindisi, termine della Via, era il porto principale di Roma per la Grecia. Otranto un luogo d’imbarco per l’Oriente; Taranto una stazione navale importante. In questi luoghi di mare, in questi scali di commercio non potevano mancare delle comunità giudaiche, che furono come è noto, uno dei veicoli della propagazione dell’ Evangelo nel mondo greco-latino.
Sebbene non lo possiamo dimostrare con esattezza, è indubitabile che il Cristianesimo sulle coste dell’ Italia meridionale abbia messo ben presto salde radici come a Roma stessa. Per la valutazione della grecità del Mezzogiorno d’Italia ai tempi di Roma imperiale è di somma importanza la constatazione fatta da ADOLF VON HARNACK (il. e. II, 799), il quale asserisce che tanto a Roma quanto nel resto d’Italia il Cristianesimo si diffuse dapprima tira la popolazione greca e che anche qui il greco restò la lingua della cultura. Riportiamo le parole incisive con cui l’Harnack riassume i risultati delle sueimportanti ricerche: ‘ II Cristianesimo, dacché i suoi seguaci avevano assunto ad Antiochia il nome di Cristiani, non fu piùuna gloria ebraica …, ma ellenistica. Esso non distrusse mai codesto ellenismo, né in terra latina, né in terra di Siria. Almeno fino alla fine del sec. II fu un coefficiente di ellenizzazione ovunque esso arrivò, ed anche in seguito conservò indefettibilmente e rigogliosamente un forte elemento ellenistico ‘.
Così le regioni dell’Italia meridionale, in cui il grecismo non era ancora tramontato, divennero un vero tratto di unione fra l’Oriente e l’Occidente, fra il cristianesimo e il mondo romano. La lingua greca diventò la lingua della Chiesa: ‘ La langue et la religion, unies dans une mème propagande se soutinrent l’une l’autore : le grec étaìt l’arme du christianisme, puisqu’il en favorisait la prédication, et le christianisme était l’arme de la langue grecque, puisque ses progrès aidaient en méme temps ceux de sa compagne ‘ (LAFOSCADE, L’influence du latin sur le grec, pag. 156). E se pensiamo che a Roma ancora nel secondo secolo le pratiche del culto si tenevano in lingua greca, dobbiamo concludere che tanto più facilmente il greco doveva mantenere l’egemonia in quelle regioni che dai Romani erano state latinizzate solo superficialmente, mentre in essenza si erano conservate greche. Così anche in Italia il cristianesimo, nonostante tutte le sue tendenze antielleniche, fu anzitutto un movimento prettamente ellenistico e, almeno nel mezzogiorno, come in tutte ile regioni periferiche dell’ambito culturale greco — ravvivò la fiamma morente dell’ellenismo.
E’ bensì vero che sull’organizzazione ecclesiastica prima del sec. VI sappiamo ben poco, quasi niente di sicuro. È una tradizione muta, riempita di leggende create posteriormente, documenti favolosi, nomi inventati, anacronismi e prodotti di fantasia.
Solo alla fine del sec. VI la cortina di nebbia comincia ad alzarsi. Contemporaneamente ci risultano chiare testimonianze di un rifiorire della grecità. Una lettera di Gregorio I al vescovo di Siracusa, scritta nel 598 incomincia con queste parole: ‘ Veniens quidam de Sicilia dixit mihi quod aliqui amici eius, vel Graeci vel Latini nescio, . . . de meis dispositiondbus murmurarent dicentes . . . ” (X, 26). È questa una prova sicura che a quei tempi accanto alla popolazione latina esisteva anche un elemento etnico greco e che anche a Roma si era consapevoli di tale carattere etnografico misto della Sicilia. È pure significativo il fatto che fra i tre deputati designati dai vescovi occidentali presenti ali concilio di Roma dell’anno 680 quali rappresentanti nel sesto concilio ecumenico da tenersi a Costantinopoli negli anni seguenti, si trovano due calabresi, cioè d vescovi di Tempsa e di Reggio. In questa scelta dovette prevalere anzitutto il desiderio di eleggere dei deputati pratici della lingua greca.
Mentre così le regioni greche dell’Italia meridionale risorgevano a novella vita per effetto dell’influenza crescente della Chiesa, si compirono anche avvenimenti politici che dovevano essere dalla massima importanza per la conservazione della civiltà greca nelle contrade del Mezzogiorno.
Gerhard Rohlfs
Foto: wikipedia