IL SALICE per ebrei e cristiani

 

 II salice e la festa ebraica delle Capanne

Per la festa ebraica delle Capanne il Levitico così prescriveva: «II quindici del settimo mese, quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrerete una festa al Signore per sette giorni: il primo giorno sarà di assoluto riposo e così l’ottavo. Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di palma, rami con dense foglie e salici di torrente, e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni. Celebrerete questa festa in onore del Signore per sette giorni, ogni anno. È una legge perenne di generazione in generazione. La celebrerete il settimo mese. Dimorerete in capanne per sette giorni: tutti i cittadini di Israele dimoreranno in capanne, perché i vostri discendenti sappiano che io ho fatto dimorare in capanne gli Israeliti, quando li ho condotti fuori del paese di Egitto».

In questa festa, come succede spesso nella tradizione ebraica, l’antico rito di ringraziamento per la raccolta dei frutti della terra era stato successivamente storicizzato nella rievocazione di un avvenimento memorabile. Ma il ritualismo vegetale rimase intatto. Il rallegrarsi davanti al Signore con piante rigogliose aveva anche la funzione di propiziare la fecondità futura del bestiame e la fertilità della terra. Il salice che cresceva sulla riva dei torrenti, accanto all’acqua, percepita dagli Ebrei, così come da ogni popolo che vive in luoghi aridi, come fonte di vita, era simbolo del perenne e sempre nuovo fiorire e germogliare. Per questo motivo Isaia così descrive il futuro regno messianico:

Poiché io farò scorrere acqua sulla steppa,

torrenti su un terreno arido.

Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza,

la mia benedizione sui tuoi posteri;

cresceranno come erba in mezzo all’acqua,

come salici lungo acque correnti.

A sua volta Zaccaria rappresentava la salvezza messianica in una festa delle Capanne trasfigurata:

«Avverrà che tutti i popoli superstiti,

già venuti contro Gerusalemme,

saliranno ogni anno per venerare il Re, Jahwe degli eserciti,

e per festeggiare la festa delle Capanne».

 

Il salice «messianico» nel simbolismo cristiano

 

Dalla festa delle Capanne e dai versetti messianici di Isaia la cristianità trasse un simbolismo salvifico di cui troviamo il primo esempio in uno scritto penitenziale, Il pastore, pubblicato intorno alla metà del II secolo da un cristiano di Roma, di nome Erma. Nell’ottava Similitudo viene descritta un’allegoria penitenziale che si conclude con il perdono del peccatore. Il pastore mostrava allo scrittore un salice gigantesco che ricopriva campi e monti e alla cui ombra riposavano «coloro che erano stati chiamati nel nome del Signore». Dall’albero un angelo di nome Michele tagliava dei rami che offriva agli uomini senza che la pianta ne soffrisse. Poi tutti dovevano restituire il loro ramo che si doveva reinnestare sul salice vivo. I più restituivano soltanto rami disseccati che tuttavia sarebbero tornati vivi e brillanti come prima. I martiri invece brandivano un ramoscello il quale non soltanto era verde ma aveva prodotto frutti che non erano caduti.

«L’angelo del Signore comandò allora che fossero portate delle corone e dopo che furono portate delle corone come fatte di palme incoronò gli uomini che avevano restituito i ramoscelli con foglie e alcuni frutti.» Meravigliandosi di quel che era successo Erma ne chiedeva una spiegazione al pastore che rispondeva: «Questa pianta è il salice, ed è una specie che ama la vita. […] Questa grande pianta che copre i monti e tutta la terra. […] è il Figlio di Dio annunciato sino ai confini della terra. Le genti che stanno all’ombra dell’albero sono coloro che ascoltarono tale annuncio e credettero in lui. […] Colui che creò questa pianta vuole la vita di coloro che ricevettero un ramoscello da quella pianta; ed io confido che appena questi rami riceveranno l’umore e avranno assorbito acqua, vivranno la maggior parte di essi». I martiri sono dunque i rami fecondi del divino salice, che diventa così un Albero cosmico.

In un trascolorare simbolico, che si riscontra anche in altre occasioni, il salice che il pastore svela come il Cristo diventa anche la Chiesa: «Infatti il salice» scrive Eusebio «con i suoi rami sempreverdi e la freschezza giovanile del suo sviluppo è un simbolo della ricchezza sorgiva delle acque spirituali che sgorgano dalla Chiesa del Logos».

Infine l’albero si trasforma nel fedele stesso, «imitatore» del Cristo, in comunione con lui, «figlio nel Figlio», come spiega san Gerolamo interpretando l’immagine simbolica di Isaia ma rammentando anche il simbolismo degli antichi relativo al salice che perde i frutti: «Voglio effondere il mio Spirito sul tuo seme e la mia benedizione sulla tua stirpe che è rinata dall’acqua e dallo Spirito Santo nel battesimo. Nel Vangelo il Signore ha promesso: “Chi ha sete venga a me e beva”. E subito dopo: “Questo diceva dello Spirito Santo che i credenti dovevano ricevere”». Quindi il profeta paragona i rinati dal fonte battesimale con le erbe verdeggianti e col salice che cresce presso i corsi d’acqua: «Questo salice porta frutti in perfetta antitesi alla comune natura: che in sé il salice è sterile, e se qualcuno ne gusta il seme mangiando diventa sterile anche lui».

 

ALFREDO CATTABIANI

In “FLORARIO” – Mondadori

Foto: Rete

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