«Attenti ad abbassare la guardia. Il fascismo è alle porte dell’Europa»

Miguel Gotor ha la voce calma dello studioso e la passione di chi considera la Storia un telescopio verso il futuro più che un microscopio sul passato. Uno sguardo sulle celebrazioni del novantennale della Marcia su Roma, sui 5000 convenuti a Predappio, diventa il puntello, il pretesto per riflettere su una situazione, italiana ed europea, molto preoccupante. Nessun allarmismo, ci tiene a sottolineare, ma serve grande attenzione sul fenomeno.
Festeggiare il 28 ottobre non scandalizza più. C’è stata una normalizzazione riguardo alle pulsioni fasciste nel paese? Credo di sì, sono molto preoccupato, anche pensando ai raid di neofascisti nelle scuole romane o all’episodio dello striscione di Bologna. Come cittadino e come studioso, quest’affiorare di nostalgie fasciste e pulsioni autoritarie che pensavamo d’aver messo definitivamente alle spalle sono un segnale pericoloso. E credo che politica e società debbano occuparsene, vigilando e non rimanendo indifferenti come la maggior parte dell’opinione pubblica.
Il pericolo nero è così incombente?
Faccio un esempio: a settembre sono rimasto molto colpito dal raid di Alba Dorata nel mercato di Atene, contro gli ambulanti. Quell’evento, e anche la blanda reazione che ha suscitato, è il segnale di un nuovo radicamento di una certa idea di violenza e sopraffazione del più debole che la crisi economica non fa altro che acuire. Le pulsioni fasciste e autoritarie e i consensi che ricominciano a suscitare sono un problema europeo prima che italiano.
Addirittura di tutto il continente? Non rischia di essere un’esagerazione?
No, è evidente l’insofferenza della maggior parte dei popoli europei verso le istituzioni della democrazia rappresentativa. Questa ondata di sfiducia può costituire un brodo di cultura, una palude, in cui piante antiche possono rifiorire e prosperare. Il qualunquismo, ad esempio, è sempre stato un terreno preparatorio all’affermazione di idee liberticide. L’antipolitica, la generalizzazione sulla disonestà di chi governa, è un pensiero, un’ideologia che crea un clima di distacco e scoramento verso la democrazia che può favorire l’ascesa del neofascismo.
Faccio una provocazione: qualunquismo e antipolitica per molti sono i motori del movimento di Grillo. Lui sostiene di essere un tappo che impedisce l’arrivo dei neonazisti come è successo in Grecia. Non potrebbe, invece, essere il prologo di uno tsumani nero?
Spero e credo sia un tappo. La sua non è una provocazione ma un dubbio legittimo. Il linguaggio violento, pieno di metafore mortuarie, le prese di posizioni pubbliche, le battute spesso sottovalutate come quelle sulla mafia, costituiscono un avvelenamento dei pozzi. Se dice «la mafia non strangola il proprio cliente, le proprie vittime», chi parla, il politico o il comico? Se dichiara, durante la sua campagna elettorale, che la mafia non è un problema siciliano perché si è spostata al nord, io so bene a chi strizzano l’occhio certe affermazioni. Detto questo, l’elettorato di Grillo è molto differenziato e quindi non si deve generalizzare, temo solo che certi pudori fondamentali, con certe frasi, possano essere abbattuti.
La marginalità di Forza Nuova rispetto ad Alba Dorata dipende solo dalla situazione economica italiana più favorevole?
No, credo che tuttora nel nostro paese ci sia una maggiore tenuta della democrazia e dei valori antifascisti rispetto alla Grecia. La Resistenza prima e il lavoro culturale dei prinicipali partiti di massa poi, hanno rinsaldato entrambi, bisogna essere equilibrati nei giudizi. Però il rischio di un’evoluzione e di un ampliamento di questi movimenti esiste. E viene favorita dall’indiffe – renza verso il problema e, come dicevo, dal qualunquismo.
E dal revisionismo sempre più accettato?
Sì. Questa è una delle conseguenze della liturgia e dei balsami della memoria condivisa, che ci sono stati propinati dalle istituzioni e dalla politica a ogni piè sospinto. Il punto è che non è la memoria che dev’essere condivisa, è il giudizio storico che è bene che lo sia il più possibile. Parlo da studioso: la confusione costante e insistita che si fa tra Memoria e Storia crea il pericolo che stiamo vivendo, quello di un pericoloso ritorno al passato.
La situazione è davvero così difficile?
No, è pur vero che su questo terreno molto si è fatto negli ultimi anni, intendiamoci: personalmente ho guardato con interesse e stima al percorso e al travaglio di una personalità politica come Fini. Il riconoscimento, da parte sua, dell ’antifascismo come valore fondante della democrazia rappresenta una maturazione politica e civile che arricchisce anche la Storia. La Memoria, le memorie lasciamole in pace, anche perché è soprattutto qualcosa di personale. Ricordo il racconto che mi venne fatto di un incontro tra Vittorio Foa e un fascista all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale: si abbracciarono e si parlarono, pur essendosi combattuti su fronti contrapposti nel fiore dei loro anni. Foa, però, ci tenne a dirgli una cosa. «Abbiamo vinto noi e tu, ora, sei in Parlamento. Se aveste vinto voi, io sarei ancora in carcere a scrivere le mie Lettere della giovinezza». La differenza di valori sta tutta in queste parole.
Come ci si può proteggere, dunque, dal pericolo neofascista?
Più che con le norme – la Legge Mancino è servita, checché se ne dica – con una battaglia culturale. Anche perché quando crisi politica, sociale ed economica si daranno la mano, verranno tempi bui per il nostro paese.
Intervista a Miguel Gotor di Boris Sallazzo | da Pubblico del 29 ottobre 2012

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