“Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente”, ricordava Indro Montanelli. “Nessun popolo può essere sia ignorante che libero”, ammoniva Thomas Jefferson. “Un popolo ignorante è un popolo facile da ingannare”, diceva Che Guevara. In Italia l’istruzione è stata tagliata del 119%, con risultati disastrosi sia sotto il profilo economico che sotto quello politico: non è un caso che due “re degli ignoranti” come Berlusconi e Renzi siano ancora i protagonisti politici. Ecco i numeri dei tagli a scuola, università e ricerca secondo il report di Openpolis.
A pagare la crisi più di tutti è l’istruzione universitaria, -119%. Se la responsabilità di Governare è innanzitutto la responsabilità di scegliere, questo è maggiormente vero in tempo di crisi.
Una responsabilità non facile da avere, specialmente in un periodo economico/finanziario come l’attuale.
La gestione della spesa pubblica è un bell’esame per qualsiasi Esecutivo, costretto a scegliere ogni anno quale settore sacrificare a beneficio di un altro.
Il tutto è reso più difficile da un dato ben poco edificante: il 39% della spesa dello Stato serve a “sostenere” il debito pubblico italiano.
Questo lascia evidentemente poco spazio di manovra, considerando che quel 39% rappresenta la maggior area di intervento del nostro bilancio. A seguire i trasferimenti di risorse alle autonomie territoriali (14,75%), e le politiche previdenziali. 11,29%.
Se tre settori occupano più della metà delle spese dello Stato, è ovvio che in tempi di crisi alcune aree di intervento debbano subire dei tagli.
Dal 2008 a oggi, l’istruzione universitaria ha accumulato un taglio del 119,07%.
In tutto sono 15 i settori che sono in saldo negativo dall’inizio della crisi. Il mondo accademico sembra essere la vittima preferita: -73% per ricerca e innovazione e -15,63% per l’istruzione scolastica.
Particolarmente significativi anche i tagli al turismo (-67,11%) e ai beni culturali e paesaggistici (-31,60%).
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