IL CIBO SULLE NAVI DALL’ANTICHITA’ AD OGGI – (Seconda parte)

Continuiamo a navigare con il comandante Alessandro Pini e a scoprire come potesse essere la vita a bordo delle navi per quei giovani uomini che – pieni di sogni, speranze, e perché no? anche di un po’ di disperazione – si sono rivolti al mare con la paura di affrontare l’ignoto e la curiosità di conoscere che, da quando il primo uomo è uscito dalla caverna per esplorare, da sempre spinge gli uomini ad andare con la mente ed il corpo ad esplorare lidi sconosciuti.

Se chiudiamo un attimo gli occhi, possiamo immaginare di essere a bordo di una delle tre caravelle di Colombo, salpate alla ricerca di una via più rapida per raggiungere l’oriente e capitate in una terra ricca e immensa. Quello che sarebbe successo poi è una storia anche di violenze e ingiustizie, cui forse non è ancora stata data la giusta misura, ma qui vogliamo soffermarci su quel viaggio che ha condotto Colombo e i suoi sulle coste dell’America.

Poco più di due mesi in viaggio, novanta marinai e una voglia di ‘seguir virtute e conoscenza’. Dai documenti di viaggio, sappiamo che ci si lamentava delle precarie condizioni igieniche a bordo e che, pur essendoci un medico, gli interventi chirurgici erano eseguiti dal barbiere (forse per la sapienza nell’usare le… lame!). A bordo non si lesinava sul vino: 3 mestoli al mattino e 3 alla sera di vino rosso (si parla di oltre un litro al giorno!) e sulle gallette, che venivano concesse in razione doppia la domenica. Il martedì, giovedì e domenica si mangiava carne essiccata (cervo o vacca); il lunedì, mercoledì, venerdì e sabato zuppa calda (ceci, fave, lenticchie, con olio, aceto, cipolle e moltissimo aglio in funzione antiscorbuto. La cena consisteva per lo più in formaggio, lardo, pesce salato, con rucola, senape e aglio). La domenica ci si addolciva e venivano serviti anche uva passa, mandorle, fichi secchi e miele.

Un altro grande navigatore è stato il portoghese Magellano, colui che intraprese la prima circumnavigazione del globo al servizio della corona spagnola di Carlo V. Nel 1521, per la sua ciurma di 265 uomini di varie nazionalità (tra cui 24 italiani), aveva fatto caricare nei cinque velieri 21.000 libbre di gallette (circa 8.400 kg), 6.000 libbre di carne fresca (2.400 kg), 984 forme di cacio, 200 botti di sardine, vino, farina, riso, legumi, 7 vacche (la cui sorte possiamo solo immaginare….).Colombo aveva le sue preferenze e scopriamo che a bordo, esclusivamente per lui, erano stati imbarcati cedri canditi, conserve varie, datteri, cotognata, zucchero rosato e bianco, aranciata, acqua di rose, zafferano, riso, uva passa, mandorle, miele, aceto, olive, burro fresco di maiale, prosciutto, galline e galli vivi (si vede che voleva esser certo della freschezza delle portate!). Un capitano, Colombo, che sapeva come gestire gli umori a bordo e che nei momenti difficili mangiava sul ponte con i suoi marinai, mostrando un cameratismo ante-litteram, lasciando per l’occasione il suo usuale posto in cabina con gli ufficiali.

Più avanti James Cook, l’esploratore, navigatore e cartografo britannico, che è più conosciuto per le soluzioni da lui escogitate ai problemi di alimentazione a bordo che non per le sue tre circumnavigazioni del globo. Nel 1769, Cook organizza una crociera scientifica nei mari del Sud, su incarico della Royal Society e porta con sé degli scienziati, tra cui il medico John Pringle, che introdusse l’uso dei crauti quali antiscorbutici (sul modello dei vichinghi), salvando molti marinai da atroci sofferenze. All’equipaggio della “Resolution” veniva dato estratto di malto, cavoli salati, mostarda, marmellata di carote, sciroppo di limone e arance, mosto di birra e le tavolette “portable broth”, che precorrono l’estratto di carne del barone tedesco Justus von Liebig, che diverrà i dadi da brodo conosciuti in tutte le nostre cucine. Sulle sue navi si beveva l’acqua (non più salata) degli iceberg e si mangiava la carne dei pinguini.

Andiamo ora a scoprire cosa mangiava l’equipaggio ai tempi di Nelson e Napoleone. I due grandi si fronteggiarono nella battaglia navale di Trafalgar nel 1805, che vide il trionfo dell’Ammiraglio inglese che però morì a causa delle ferite riportate durante la battaglia.Tre grandi navigatori, che con i loro equipaggi hanno permesso alla conoscenza umana di espandersi e alla fantasia di tutti noi di volare oltre il conosciuto.

La Battaglia di Trafalgar in un dipinto del 1836 di William Stanfield.

Forse non tutti sanno che Lord Horatio Nelson, primo visconte Nelson e primo duca di Bronte in realtà soffriva di mal di mare e possiamo solo immaginare la forza di volontà richiesta per condurre gli uomini in battaglia mentre il corpo sentiva tutti i flutti. Quindi, ancora più importante deve essere stato il rancio a bordo delle sue navi.

L’università di Oxford ha condotto una analisi degli isotopi del collagene contenuto nelle ossa dei marinai, e questo ha permesso di ricostruire l’alimentazione dei suoi marinai che era per lo più composta da carne essiccata di maiale, merluzzo sotto sale, gallette, formaggio e, immancabile in un contesto anglosassone, la birra.

Si sa gli inglesi, fino ad oggi, non hanno mai brillato per la cucina quindi pasti semplici e sostanziosi per i marinai della Royal Navy. Diverse le cose dall’altra parte della Manica (o English Channel come lo chiamano gli inglesi). Con la flotta napoleonica assistiamo ad una svolta nel sistema delle provviste di bordo e nasce la logistica moderna.

Aiuta molto una scoperta eccezionale: nel 1809 il pasticciere Nicolas Appert scopre la conservazione ermetica dei cibi e nel 1810 pubblica “L’Art de conserver les substances animales et végétales” (primo ricettario sul moderno metodo per la conservazione dei cibi). La “Casa di Appert” diviene la prima fabbrica di lattine al mondo, cento anni prima che Pasteur dimostrasse che il calore era in grado di uccidere i batteri. Una piccola rivoluzione che permette, anche a bordo, di conservare meglio i cibi.

Nel 1810 il contratto quadriennale di fornitura dei viveri alla marina francese, prevede razioni diverse a seconda dei lavori. Abbiamo quindi razioni giornaliere, di campagna, di mozzo, di truppa, di prigioniero di guerra, di guardaciurme, di forzato al lavoro, di forzato senza lavoro e di forzato invalido.

A bordo di quelle navi c’era un eccessiva presenza di carboidrati (per lo più pan fresco, biscotti e riso), 8 once di carne fresca cruda a testa e baccalà o stoccafisso. Ad accompagnare i pasti ben 232 cl di vino a testa (razione non data, però, ai mozzi).

A guardarle bene però le diete delle due ciurme, quella inglese e quella francese, non differivano poi così tanto…unica differenza era il tipo di alcool consumato, birra per gli uni, vino per i più ‘sofisticati’ francesi. Chissà se fu proprio questa differenze a decretare la vittoria di una ciurma sull’altra!


Nella foto, scattata negli anni Trenta, la prova del rancio sulla Regia Nave “Zara”

E’ in questo periodo che il biscotto, simbolo e elemento base del rancio delle marinerie di tutto il mondo per secoli, vede la sua stella cadere e diventa mera scorta di emergenza.Veleggiamo dentro il XIX secolo che vide l’espandersi delle grandi compagnie di navigazione mentre la vita di bordo cambia: le cucine sono nuove, non più alimentate con il pericolosissimo fuoco a legna che rischiava di far bruciare tutta la nave! Vengono installati dei distillatori per acqua dolce, un sistema di ventilazione per arieggiare i locali più interni delle navi e il frigorifero che permette una conservazione più duratura anche dei cibi più reperibili.

Abbiamo un documento italiano risalente al 1866 che contiene una tabella di composizione viveri del marinaio a terra e a bordo. Le cene sono molto semplici: pane e formaggio. Più attenzione viene dedicata ai pranzi che sono rigorosamente scanditi: domenica: pasta asciutta; carne in ragoût; lunedì: riso in brodo con verdura; carne a lesso; martedì: pasta asciutta; carne accomodata; mercoledì: pasta al brodo con verdura; carne a lesso; giovedì: risotto; carne a stufato; venerdì: minestrone di pasta col pesto; sabato: riso in brodo; carne a lesso.

I marinai mangiano su tavole e panche con tovaglie di cotonina e nel 1900 al corredo di ogni marinaio si aggiunge un nuovo elemento: il piatto. Non che prima non li usassero ma ora il possesso diventa personale e parte imprescindibile della loro tenuta.

Abbiamo detto che esistevano i frigoriferi: i primi vengono stabiliti sulle navi della Marina italiana nel 1904 ma si continuò ad avere a bordo la così detta ‘carne in piedi’ (animali vivi) che avevano delle apposite stalle. Nel 1923 sulla navi della Regia Marina venne poi istituita la “prova del rancio”. Il Comandante in seconda o l’Ufficiale d’Ispezione, assaggia il pasto dell’equipaggio: può sembrare un evento banale, ma racchiude in sé una serie di connotazioni che non lo sono. Con questo gesto, infatti, il comando di bordo vuole “condividere”, nel pieno senso della parola, la vita dell’equipaggio e sottolineare l’importanza della “commensalità”: a bordo, infatti, tutti mangiano lo stesso cibo.

Una piccola curiosità. Nel 1951 a bordo delle navi della Marina italiana si mangia su vassoi sagomati: questi appartenevano alle navi USA ma per soddisfare gli italiani essi dovettero essere modificati, non contenevano, infatti, il posto per la pasta asciutta!

E’ cambiato così tanto poi il rancio a bordo? E’ vero le innovazioni tecnologiche (il vapore, il frigo) e quelle scientifiche (la lotta allo scorbuto) hanno migliorato i pasti ma la sostanza rimane la stessa. Gli uomini e le donne delle marine di tutto il mondo, cullati dalle onde, mangiano insieme, condividono il pane (o riso o cous cous o injera), bevono vino, birra e dividono le paure che il mare da sempre ci fa affrontare e le emozioni che la scoperta del nuovo suscita in ognuno di noi. E in quei momenti assaporano il dolce vivere delle piccole gioie quotidiane.

Di 

Fonte: http://www.lundici.it/2014/03/mare-biscotti-e-marinai-il-rancio-e-servito-parte-seconda/

Foto: RETE

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