
La Grande Guerra fu considerata da molti l’ultima lotta e nella sua conclusione si vide la vittoria definitiva della libertà. Le vecchie democrazie apparivano rafforzate, e nuove democrazie sostituivano le vecchie monarchie. Ma erano passati solo pochi anni quando emersero nuovi sistemi che negavano tutto ciò che gli uomini credevano di aver conquistato in secoli di lotta. Infatti l’essenza di questi nuovi sistemi, che si impadronirono efficacemente dell’intera vita sociale e personale dell’individuo, era la sottomissione di tutti, salvo un pugno di uomini, ad un’autorità sulla quale non avevano alcun controllo.
Dapprima molti si confortarono col pensiero che la vittoria del sistema autoritario era dovuta alla follia di pochi individui, e che questa loro follia li avrebbe condotti a tempo debito alla rovina. Altri ritenevano con sufficienza che il popolo italiano, o quello tedesco, non avessero avuto abbastanza tempo per educarsi alla democrazia, e che perciò si poteva attendere tranquillamente il momento in cui avrebbero raggiunto la maturità politica delle democrazie occidentali.
Un’altra comune illusione, forse la più pericolosa di tutte, era la credenza che gli uomini come Hitler avessero conquistato il potere sull’immenso apparato statale soltanto con la furberia e l’inganno, che essi e i loro satelliti governassero in virtù della pura e semplice forza; che l’intera popolazione fosse solo l’oggetto privo di volontà del tradimento e del terrore.
Durante gli anni trascorsi da allora fino ad oggi, la fallacia di queste tesi è diventata manifesta. Siamo stati costretti a riconoscere che in Germania milioni di persone erano ansiose di cedere la loro libertà quanto i loro padri lo erano stati di combattere per conquistarla; che invece di volere la libertà, cercavano modi di evaderne; che altri milioni di persone erano indifferenti e non credevano che valesse la pena di combattere e morire per difendere la libertà.
Riconosciamo inoltre che la crisi della democrazia non è problema peculiarmente italiano o tedesco, ma è problema di ogni stato moderno. E non importa quali simboli scelgano i nemici della libertà umana: si può minacciarla attaccandola in nome del fascismo dichiarato come sotto la copertura dell’etichetta dell’antifascismo.
Questa verità è stata formulata da John Dewey tanto bene che mi piace esprimere il pensiero con le sue parole: «La vera minaccia per la nostra democrazia, egli afferma, non è l’esistenza di stati totalitari stranieri. È l’esistenza, nei nostri atteggiamenti personali e nelle nostre istituzioni, di condizioni che in paesi stranieri hanno dato la vittoria all’autorità esterna, alla disciplina, all’uniformità e alla sottomissione al Capo. E quindi il campo di battaglia è anche qui: in noi stessi e nelle nostre istituzioni».
Se vogliamo combattere il fascismo dobbiamo comprenderlo: l’ottimismo non ci aiuterà. E la recitazione di formule ottimistiche si dimostrerà inadeguata e inutile come il rituale di una danza indiana della pioggia.
Oltre al problema delle condizioni economiche e sociali che aprirono la strada al fascismo, c’è un problema umano che dobbiamo comprendere. […]
Quando consideriamo l’aspetto umano della libertà, il desiderio di sottomissione e la brama di potere, sorgono impellenti queste domande:
che cos’è la libertà come esperienza umana? Il desiderio della libertà è qualcosa di immanente alla natura umana? È un’esperienza identica, che prescinde dal tipo di civiltà in cui vive la persona, o è qualcosa che varia a seconda del grado di individualismo raggiunto da una particolare società? La libertà è solo l’assenza di pressioni esterne o è anche la presenza di qualcosa? E se è così, di che cosa? Quali sono nella società i fattori sociali ed economici che promuovono l’impegno a favore della libertà? La libertà può diventare un peso troppo pesante da portare, qualcosa da cui l’individuo cerchi di fuggire? E allora perché la libertà è per molti una meta preziosa e per altri una minaccia? Non c’è anche, forse, oltre a un desiderio innato di libertà, un desiderio istintivo di sottomissione? E se non c’è, come possiamo spiegare l’attrazione che oggi ha per molti la sottomissione al capo? È sempre sottomissione ad un’autorità manifesta, o c’è anche sottomissione ad autorità interiorizzate, come il dovere o la coscienza, a costrizioni interne o ad autorità anonime come l’opinione pubblica? C’è una soddisfazione occulta nel sottomettersi, e qual è la sua essenza?
Da FUGA DALLA LIBERTA’, di E. Fromm – Edizioni di Comunità
Foto RETE