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Fullonica
Ma come si lava la biancheria in epoca romana? Bisogna portarla “in tintoria”, cioè la fullonica. Qui i panni subiranno vari trattamenti che a noi farebbero arricciare il naso. In effetti tuniche, toghe, lenzuola finiscono in vasche riempite con acqua mista a sostanze alcaline come la soda, l’argilla smectica oppure… l’urina umana!
In molti angoli delle strade soprattutto vicino alle fullonicae si trovano, infatti, delle grosse anfore con un’apertura laterale, nella quale i passanti si liberano di un “bisogno” impellente. Alcuni schiavi passeranno regolarmente a prelevare l’urina, per usarla nelle fullonicae. Se questa mansione vi sembra sgradevole, pensate a quella degli schiavi che per ore pigeranno i panni nelle vasche con l’urina, facendo il lavoro delle nostre lavatrici, in mezzo a odori nauseabondi…
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I panni verranno poi sciacquati, battuti, e trattati con altre sostanze (come la creta fullonica) per infeltrirli e dar loro maggior consistenza. Una volta strizzati verranno messi ad asciugare nei cortili come si fa nei nostri terrazzi condominiali (in epoca romana lo si poteva fare anche in strada) e poi stirati sotto speciali presse.
Una curiosità: già esiste una sorta di candeggiatura. Una volta lavati, infatti, i panni bianchi vengono distesi su una struttura a cupola fatta di archi di legno, alta meno di un metro. Questa cupola ricoprirà un braciere nel quale è stato messo a surriscaldarsi dello zolfo. La zolfatara dà, in termini romani, il “bianco che più bianco non si può”… In seguito, uno schiavo riporterà i vestiti puliti e stirati a casa.
Da “ROMA”, di Alberto Angela – Mondadori
FOTO: Rete
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