I “WC” nell’antica Roma

Nella Roma imperiale a un certo punto si contarono ben 144 latrine pubbliche. […]

Le latrine sono facili da individuare, solitamente c’è un viavai di persone, come nelle nostre stazioni o negli autogrill. E in genere chi entra lo fa in modo spedito, mentre chi ne esce sembra molto più rilassato… All’entrata ci sono due persone in fila davanti a un banchetto di legno con dietro uno schiavo: sul piano scorgiamo un piatto di terracotta e quasi immediatamente si sente il rumore di una moneta che cade rigirando su se stessa. È chiaro, bisogna pagare. Non è molto, solo pochi spiccioli. Tutti perdono sempre un po’ di tempo a frugare in fondo alla piccola borsa di pelle che pende dalla cinta (il “portafoglio” dell’epoca romana).

Le latrine pubbliche sono a pagamento e vengono gestite da appaltatori del fisco, chiamati conductores foricarum. Curiosamente queste latrine pubbliche hanno dato origine a un’espressione latina molto usata ancora ai nostri giorni: pecunia non olet, cioè “i soldi non puzzano”. In effetti, Vespasiano introdusse una tassa a carico dei lavandai che utilizzavano l’urina nei loro lavatoi, raccogliendola proprio dalle latrine pubbliche. Tito, figlio di Vespasiano, protestò per questa tassa che gli sembrava eccessiva e di dubbio gusto. “Pecunia non olet” fu la risposta del padre…

Oltrepassata una stretta scala ci appare una sala ampia, tutta decorata. Ci sono persino delle nicchie con statue di divinità. Lungo una parete scende una cascatella e sopra troneggia la statua della dea Fortuna, da cui dipendono la salute e la felicità… Gli stucchi e i colori sono quelli di un ambiente raffinato, quasi di lusso. Ma basta abbassare gli occhi e il panorama cambia bruscamente: una decina di individui, di tutte le età e classi, sono seduti intenti a “espletare” le proprie funzioni. L’odore è quello sgradevole di un gabinetto pubblico, ma non sembra turbare queste persone che sono sedute come se si trattasse di una sala d’attesa. Scopriamo così che questo è uno dei luoghi “sociali” di Roma, come il Foro: c’è chi chiacchiera, chi attacca bottone, chi cattura l’attenzione di tutti raccontando una barzelletta. C’è persino chi, pur non essendo pressato da necessità fisiologiche, si è seduto vicino a qualcuno, che le vesti indicano chiaramente come un benestante, e cerca furbescamente di scroccare un invito a pranzo… Ognuno parla, dice battute, qualcuno non visto lascia anche qualche graffito. Tutti stanno comunque attenti a quello che dicono: i delatori si nascondono ovunque a Roma…

Quello che più stupisce, anzi lascia proprio interdetti, è la totale mancanza di privacy. Non ci sono paraventi, tende o tramezzi che possano isolare le persone. Sono tutti seduti su un lungo bancone di marmo, uno accanto all’altro, come se stessero seduti su un autobus… A Roma, il concetto di privacy è molto diverso dal nostro e riguarda fondamentalmente solo i ricchi: quelli che hanno i soldi per isolarsi e vivere lontano dalla gente comune. Insomma, possedere un gabinetto è uno status symbol.

Nessuno di noi naturalmente riuscirebbe a sentirsi rilassato in questi luoghi… Bisogna dire però che le tuniche aiutano molto a coprire le parti intime. In effetti, si ha l’impressione che tutti siano solo seduti… Già, ma su che cosa? Non esistono assi di gabinetti o sedute anatomiche. Il bancone, in realtà, è piatto e ci si siede in corrispondenza di aperture a forma di serratura. Sotto il lungo bancone c’è un profondo canale, con dell’acqua che scorre e che porta via tutto… L’uso di queste aperture è chiaro. Assai meno ovvia invece è la funzione di un’altra apertura nel marmo, che si trova tra le gambe: è gemella della prima, e si unisce a essa all’altezza delle ginocchia. A cosa serve?

Facciamo appena in tempo a chiedercelo che un uomo involontariamente ce lo mostra… In mezzo alla sala ci sono tre vasche di marmo piene d’acqua, dalle quali spuntano tanti bastoni di legno. L’uomo si allunga e afferra uno dei bastoni. Scopriamo così che in cima è fissata una spugna: sembra quasi una fiaccola. L’uomo introduce la “fiaccola” tra le gambe e usa la spugna come… carta igienica. Non contento, la “intinge” nuovamente: lo fa nell’acqua di un piccolo canale scavato nel pavimento. Non lo avevamo ancora notato, sembra quasi un torrentello artificiale che scorre davanti ai piedi di tutti. L’uomo prosegue in questo modo nell’opera di pulizia, simile a quella tipica del bidet… Poi, sfregando il bastone sul bordo interno dell’apertura, stacca la spugna e la fa precipitare nella fogna. Infine rimette il bastone a posto, nella vasca di marmo di fronte a lui. Durante tutta questa operazione, non ha mai smesso di chiacchierare con il suo vicino…

La maggior parte degli abitanti di Roma risolvono così i loro bisogni fisiologici: come abbiamo detto, sono pochissimi quelli che hanno il gabinetto in casa. Per chi non vuole pagare o non ha gli spiccioli necessari, la soluzione – almeno per i piccoli bisogni sta nelle grandi giare poste agli angoli delle strade o lungo le vie (come si vede a Pompei), usate poi dalle tintorie…

Di latrine come queste ce ne sono un po’ ovunque in città. Dal Portico di Pompeo al “foyer” del Teatro di Balbo. È davvero stupefacente che sotto i portici, proprio davanti alla gente che passeggia, si possano vedere impegnati nelle proprie necessità fisiologiche un ricco commerciante, più in là un pretoriano, poi un liberto, un giovane avvocato ecc., tutti con assoluta naturalezza.

Alcune latrine sono addirittura riscaldate in inverno, con un sistema a ipocausto simile a quello delle terme. È il caso di quella che si trova nel cuore della città, tra il Foro romano e il Foro di Giulio Cesare. È molto frequentata nelle giornate fredde…

Ma le acque nere, poi, dove vanno a finire? Il liquame segue un complesso sistema di canalizzazioni sotterranee che formano una vera e propria rete fognaria sotto le strade e gli edifici di Roma. La loro costruzione è cominciata addirittura nel VI secolo a.C. Secondo alcuni autori antichi, in certi punti i canali di raccolta sotterranei sono così larghi da consentire il passaggio di due carri di fieno. Famosa è rimasta l’ispezione fatta da Agrippa che migliorò considerevolmente la rete fognaria ai tempi di Augusto. Pare che in alcuni tratti si sia mosso addirittura in barca.

Protagonista assoluta di questo sorprendente monumento di ingegneria idraulica è la Cloaca Maxima, il principale collettore delle fogne di Roma (ancora in parte attivo in epoca moderna). Inizialmente era un canale a cielo aperto, poi in età repubblicana venne ricoperto. È lungo un po’ meno di un chilometro e il suo tragitto non è rettilineo a causa delle costruzioni soprastanti.

Le sue dimensioni sono impressionanti: in alcuni punti sembra un vero tunnel, con un diametro di quasi cinque metri. Il suo ruolo è quello di raccogliere non solo i liquami ma anche il surplus degli acquedotti, le acque di scarico delle terme, quelle delle fontane e ovviamente l’acqua piovana.

A questo proposito va detto che le strade hanno una caratteristica forma a “schiena d’asino” per consentire alle acque piovane di “lavarle” e scorrere ai loro lati, dove poi vengono inghiottite da tombini (un sistema quindi molto ingegnoso di pulizia delle strade, che è quello che esiste oggi, sorprendentemente, a Parigi). I tombini sono un po’ dappertutto, spesso hanno la forma di una divinità fluviale con la bocca semiaperta che “inghiotte” l’acqua piovana. Uno di questi tombini è diventato famoso in tutto il mondo, è certamente quello più fotografato della storia: è la “Bocca della Verità”, immortalato dal celebre film Vacanze romane con Gregory Peck e Audrey Hepburn.

La Cloaca Maxima svuota tutto il suo contenuto nel Tevere, subito a valle dell’Isola Tiberina. E qui può verificarsi l’unico problema di questo sistema fognario: quando il Tevere è in piena, il livello sale e le acque allagano la Cloaca Maxima, bloccandone il flusso fognario, anzi invertendolo. Quindi le acque di scarico possono essere respinte fino a fuoriuscire dai tombini, dagli scarichi o dalle latrine da dove erano partite… Ovviamente il sistema fognario non può servire un’intera città di un milione, un milione e mezzo di abitanti, così molti scarichi finiscono in semplici pozzi neri (fosse settiche). Regolarmente questi pozzi vengono svuotati (non vogliamo immaginare le condizioni di lavoro) e il contenuto viene riutilizzato come fertilizzante.

Questo impressionante sistema di scarico di Roma, paragonabile ai “reni” di un essere vivente, è un concetto incredibilmente moderno. I romani, sempre molto pragmatici, hanno capito fin dall’inizio che nessuna grande concentrazione umana può esistere senza un efficace sistema fognario. E questo la dice lunga su una civiltà che non conosceva ancora i batteri ma che aveva compreso la fondamentale importanza dell’igiene e della pulizia semplicemente sfruttando l’acqua (un aspetto mai raggiunto nel Medioevo e, ancor oggi, in gran parte del Terzo mondo).

 

ALBERTO ANGELA

Da “Una giornata nell’antica Roma” – Rai

Foto: Rete

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