U CUSITURU

Il mestiere  del sarto è senza dubbio tra i più affascinanti e creativi che l’uomo possa esercitare. Vestire uomini e donne, con eleganza, con civetteria, con classe non è cosa da poco: devono fondersi estro e abilità, creatività e gusto del bello, senza mai scadere nel pacchiano o nel volgare.

Forse bisogna distinguere, oggi, tra stilista e sarto, ma noi qui vogliamo porre in rilievo il mestiere del sarto, cioè colui che confeziona vestiti su misura, creando modelli secondo, sì, le indicazioni del cliente, ma mettendoci molto di suo nel tagliare e cucire il vestito, che nell’impostazione dello stesso.

E’ sempre più raro, comunque, vedere insegne di laboratori di sartoria, perché, intraprendere il mestiere del sarto implica un lungo apprendistato e di conseguenza, all’inizio, guadagni scarsi se non nulli. Proprio per acquisire la manualità e apprendere i segreti del taglio, un tempo, moltissime ragazze prestavano servizio gratuito nelle sartorie.

Queste giovani venivano debitamente “sfruttate”, con la scusa che imparavano un mestiere, ma intanto contribuivano, con il loro lavoro, a confezionare capi che venivano venduti. E’ vero anche, che molte si apprestavano a questo lavoro solo nei mesi invernali, per non stare oziose e imparare qualche fondamento del cucire, per poi poter eseguire piccoli lavori di carattere personale.

Proprio nelle grigie e fredde giornate invernali, si aveva la massima unità lavorativa all’interno delle sartorie: chi intenta a riunire le cuciture, chi a fare asole, chi i sottopunti, chi altro ancora.

In genere tutte le donne erano radunate in una grande sala, dove in mezzo campeggiava un lungo e largo tavolo.

Questo serviva per stendere il panno, segnarlo con il gessetto e poi tagliarlo. Normalmente l’operazione del taglio veniva fatta sempre dal sarto o da qualche esperta sotto la sua stretta osservazione. Di norma si imparava il lavoro guardando, carpendo i segreti facendo attenzione alle varie successioni di confezionamento. Alla fine, quando qualcuna aveva acquisito una certa padronanza dell’arte, allora poteva perfezionarsi e passare al taglio, che rimaneva l’apice dell’apprendimento. Certo è, che il lavoro così concepito diventava anche un momento “conviviale”, dove i pettegolezzi, trovavano un fertile terreno di coltivazione.

Forse è capitato a tutti, una volta nella vita di andare in questi laboratori di sartoria: di solito il sarto, vestiva sempre con camicia e gilè e su questo aveva sempre puntati alcuni aghi con il filo. In ogni angolo della stanza c’era un gruppetto di ragazze, che sedute su una sedia o uno sgabello, erano intente al proprio lavoro. Il sarto si avvicinava al cliente e con una fettuccia metrica misurava la vita, la gamba, il braccio e non so cos’altro e quando il cliente ritornava, il sarto gli provava addosso la giacca o i pantaloni, segnati da dei grandi punti di filo bianco. Poi, puntava degli spilli, dicendo al cliente di stare fermo, che altrimenti lo avrebbe punto. Successivamente, si passava al momento in cui il cliente indossava il vestito finito e dove i complimenti di circostanza diventavano obbligatori.

Ma, quel “bel vestito” è frutto di un lavoro certosino: per prima cosa si sceglieva la stoffa, poi una volta prese le misure al cliente, si passava al disegno (avvalendosi di un gessetto) dalle varie parti da tagliare. In seguito, si passa va al taglio, improntando poi il vestito con lunghi punti (imbastitura). Si procedeva, poi, il capo approntato sul committente e ne si correggevano i vari difetti (dovuti sia al taglio che alle eventuali imperfezioni della persona) con fermi di spilli e riprese di punti. Se non uscivano particolari inconvenienti, si passava alla cucitura vera e propria, altrimenti si correggevano le imperfezioni e si riprovava il vestito sul cliente, prima di passare alla definitiva realizzazione.

Tutte queste operazoni implicavano tempo, ma anche una buona manualità e visione dell’insieme, nonché una certa perizia tecnica per creare la vestibilità del capo. Questi fattori creavano la rinomanza del sarto e di conseguenza determinavano non solo la quantità di lavoro, ma la “qualità” del cliente. Anche oggi, per quei pochi che ancora esercitano questo mestiere, vale la stessa equazione.

FONTE: http://www.mestieriartigiani.com/antichi-mestieri-17050/dalla-r-alla-s/il-sarto

FOTO: il maestro, Giuseppe Sangiovanni, con i riscipuli Francesco e Giuseppe

Ti potrebbero interessare:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close