
La tua collera, Reggio,
per contrasto richiama alla mente
Melissa, un calvario
vecchio di secoli, un’onta
vecchia di secoli, il latifondo
lasciato incolto dal barone
ignavo a far da covo alle vipere.
Non spararono a Fragalà
i coloni di Melissa, risposta
di bocche da fuoco non diedero
ai celerini che li puntavano
da poche decine di metri
come cinghiali a due zampe. Caddero
nel loro sangue spianando
col peso del corpo la zolla
appena incisa dalla zappa,
spirarono vedendo spirare
al loro fianco, anch’esse trafitte
dai dissennati giustizieri,
le bestie della fatica nei giorni.
Folgorati i braccianti di Melissa
rei di strappare alla zolla
le Spine del Signore
per farne corone
ai nuovi cristi ammazzati,
ora giacciono
sotto un palmo di terra nera
là dove caddero dopo aver seminato,
e sulle loro tombe
la primavera fiorisce
fragranti roselline di campo.
Ma su quegli umili fiori,
fiore più grande e lucente,
che il vento salito dal Ionio
o sceso dai botri silani
fa sventolare
come una bandiera di combattimento,
permane il ricordo
del glorosio travaglio contadino.
E il giorno del Grande Risveglio
ci saranno loro a guidare
l’esercito dei braccianti
sui latifondi riconsacrati
alla fatica dei coloni.
Dunque quei morti non sono
sprecati, non sono perduti. I caduti
di Melissa hanno il viso rivolto al sole
che sorge dall’Altipiano silano.
1 caduti di Reggio hanno il viso
rivolto al sole che muore
dietro le Eolie.
Una capra in doglia di parto
che chieda invano da bere…
Continua
Di Leonida Repaci
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