Un calabrese nella Grande Guerra – “Ora ti porgo la mia destra mano”

Di come un contadino di nome Francesco partì per la guerra – come tanti altri – e morì con la Pace nel cuore

 

… Si potrebbe

in questa trincea che si spappola al

sole accendere sigarette e pipe

e tranquillamente aspettare

soldati gli uni agli altri

più che fratelli la

morte che forse

non ci oserebbe toccare

tanto siam giovani e belli...

(da Kobilek)

Trascrivo qui e traduco (là dove necessario), alcune tra le settantatré missive inviate dalla Zona di guerra nell’anno 1917, dal mio bisnonno Francesco alla sua “diletta sposa”, la mia bisnonna Mica.

Premetto che tutto il lavoro sulla storia e la vita del mio avo venne da me terminato nell’anno 2011 dopo un lungo cercare e ricercare tra memorie di fantasmi, oggetti, carte, materiale informativo in biblioteche e archivi vari, poiché non avevo altro che il vago ricordo di una vecchia fotografia appesa ad un muro ed un nome qualunque tra gli ottantadue incisi sulla stele del monumento ai caduti in Via dei martiri, nel paese di San Lorenzo in provincia di Reggio Calabria.

Rapita dalla lettura di quei vecchi e delicatissimi cartoncini di guerra, decisi, ad un certo punto, di ridare un volto, un’identità, a quell’anima nobile che sotto si firmava e con la quale avevo stabilito una sorta di legame invisibile per via di tutto quello che riuscivo a intravedere tra le righe dei suoi scritti. Mi trovai allora – spinta da una forte rabbia – a ricucire le membra squartate di un uomo della cui esistenza disconoscevo ogni cosa, immaginandomi – a quasi un secolo di distanza – assieme a lui, pregando per quella Pace che lo avrebbe fatto tornare a casa.

Fu così che si presentò a me:

SCORDO Francesco

figlio di Giuseppe e di Ligato Antonia

nato il 7 aprile 1882

a San Lorenzo, circondario di Reggio Calabria

professione contadino

se sa leggere no scrivere no

Nel verificare in seguito, presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, le schede matricolari con i dati personali del nonno di mia madre e cercando di avere ulteriori informazioni, mi trovai davanti ad una realtà che inconsciamente avevo accantonato fino a quel momento e che capovolse gran parte del lavoro che allora ero riuscita a completare.

La realtà era quella del comune cittadino delle nostre provincie: il contadino analfabeta.

Di conseguenza, era chiaro che le lettere di Francesco non erano scritte da lui. E quel “saluto a chi legge” che spesso appariva tra l’una e l’altra cartolina, stava a constatare lo stato di difficoltà al quale veniva sottoposta la persona che da questa parte del fronte doveva ricevere la posta.

Benché dotato di una acuta intelligenza e di un grande cuore, il “soldato” Francesco Scordo, con il suo bagaglio di semi-ignoranza caricato sulle spalle, partì per far la guerra la mattina del giorno 8 del mese di dicembre dell’anno 1916, rispondendo all’ennesimo richiamo alle armi per i nuovi recluti e per i tanti (come lui) riservisti destinati al fronte in sostituzione a quanti – in ben diciotto mesi di conflitto – erano già scomparsi.

Assieme a Francesco, partiva pure Domenico, il figlio di suo fratello. Nessuno dei due fece più ritorno.

E da qui, da questa partenza, ebbe inizio questa storia: il nostro soldato, dalla sua condizione di analfabeta, riuscì ad inviare alla moglie due (a volte anche tre) lettere a settimana. L’uomo dettava mentre lo scrivano di turno riportava sulla carta, lasciando spesso, anche lui, l’impronta del proprio stato sociale.

E se, come sosteneva – tra altri – Corrado Alvaro: La guerra l’hanno fatta i contadini, ogni urlo del presente contro i conflitti e le discordie di indole politica, economica o religiosa che sovrastano il pianeta, sarà vano, perché il gran danno lo fecero allora i predecessori dei potenti di oggi, lasciando a questi, l’eredità di poter continuare nel prepotente atteggiamento di decidere le sorti dei popoli, il destino dell’intera umanità.

“In quanto alle fotografie – risponde Francesco alla moglie – non ho occasione di andare nel paese…”. Così si legge nella lettera che sotto trascrivo. E si può capire benissimo perché Micuzza desiderasse avere una foto di suo marito. L’unica immagine in suo possesso era quella a mezzo busto dei giorni del fidanzamento, la stessa che io ricordavo appesa al muro, ristampata in un collage postumo, a rappresentare la coppia che, a quei tempi, non aveva avuto nemmeno la possibilità di immortalare il loro matrimonio.

Nessuna fotografia però, né inviata né ricevuta…

Lettera del 26 marzo: Cartolina postale italiana in franchigia

Corrispondenza del R. Esercito

Trascrizione:

Scordo Francesco I soldato I Bufagliene di Marcia 147* Fanterìa 5° Crup 12° Gruppo I 14° Corpo d’Armata I Concardia S.gittario Vinezia / Zona di Guerra

Alla Sigra / Iannì Domenica fu Francesco

San Lorenzo  Reggio Calabria

Zona di Guerra, 26-3-1917

.

Mia Diletta sposa

Con la presente ti do notizia della mia perfetta salute come lo stesso mi auguro da te e dalla nostra diletta figliola e di tutti della nostra famiglia. Tutt’ora trovami al medesimo punto dove sempre ti ho scritto il quale non ho motivo di ringraziare il Sommo Iddio che io con mio nipote siamo al sicuro d’ogni piricolo e stiamo bene e ci auguriamo che durasse sempre così, con l’augurio che la guerra finisse presto esserci la pace e vederci presto in famiglia. In quanto alle fotografie non ho occasione di andare nel paese, perché non l’asciano andare, perciò il motivo è questo e così non ti li posso cacciare si andiamo in un altro punto li faccio. Nun avendo altro t’abbraccio con la nostra figliola, saluto tua madre sorella e fratello con mio fratello e cognata, di nuovo ti abbraccio e sono il tuo adorato sposo Scordo Francesco.

Il testo di questa cartolina non ha bisogno di traduzione, gli errori d’ortografia e di grammatica così come le tendenze dialettali, non impediscono di cogliere il senso di quel che Francesco volesse comunicare, come ad esempio il fatto di ringraziare Iddio per la momentanea lontananza dal pericolo, anche se, in altre occasioni (riportate in lettere qui non pubblicate), risulta palese la disperazione nascosta quando scrive: “… e questi giorni sono salvo grazie al Signore…”

Faccio notare che in nessuna delle lettere inviate da Francesco c’è la minima traccia della parola “patria” e tantomeno alcun riferimento ai “sublimi ideali” (ben dipinti dai rappresentanti del Comando Supremo ed affini) per i quali – a detta loro – era un onore morire.

(Continua)

Da LA GUERRA, LA CALABRIA I CALABRESI – Rogerius – A cura di Oscar Greco, Katia Massara, Vito Teti – Rubbettino

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