Sant’Antonio abate e il “fuoco sacro”

Sant’Antonio abate

II 17 gennaio sui sagrati di molte chiese si benedicono gli animali domestici di cui sant’Antonio è il patrono. Cani, gattini, cavalli, asini, ma anche usignoli, cardellini, tartarughe sono condotti dai loro padroni in un’atmosfera di comunione edenica che incantò Goethe nel suo viaggio in Italia. A Sutri, in provincia di Viterbo, durante la benedizione sfilano le due Società della Cavalleria di Sant’Antonio – la Vecchia, fondata nell’Ottocento, la Nuova dopo la prima guerra mondiale – che eleggono ogni anno un deputato il quale ha l’onore di ospitare il gonfalone nella sua casa per un anno, ma deve offrire un rinfresco a chiunque vada a fargli visita. Oltre alla benedizione si svolge la Corsa della stella durante la quale i concorrenti a cavallo cercano di colpire con un giavellotto un cerchio posto al centro di una stella appesa a un filo.

Si racconta che il patronato di sant’Antonio sugli animali sia nato da una leggenda: il beato Antonio si trovava un giorno nei pressi della città di Barcellona, di fronte alle porte del palazzo del preposito regio. «Una scrofa, trattenendolo con le fauci,» narra Aymar Falcoz «trascinò un porcellino zoppo e malato che aveva appena partorito. Lo depose dinanzi ai piedi del santo con lamenti e grugniti quasi a chiedere, come poteva, aiuto e guarigione. Mentre tutti erano presenti a quanto avveniva e se ne meravigliavano, il santo uomo di Dio immediatamente operò la guarigione dell’animale malato a mezzo del segno salutifero della croce. Per tale miracolo il santo padre fu da tutti riconosciuto e fu accompagnato presso il re gravemente ammalato cui, secondo quanto è narrato, con l’aiuto di Dio restituì la salute, convertendo poi lui e la città al culto del vero Dio. Perciò gli abitanti di quella regione intesero rappresentare per immagine il ricordo dell’impresa di quel santo padre e aggiunsero ai piedi di lui un maiale.»

Questa è una delle tante versioni della leggenda: un’altra narra che il maialino guarito lo seguì fedelmente per tutta la vita diventando il suo inseparabile compagno, come testimonierebbe anche l’iconografia.

Le tentazioni di sant’Antonio di Hieronymus Bosch, al Prado di Madrid

In realtà, sostiene la critica agiografica moderna, l’attributo del maialino, come la leggenda, sarebbe stato ispirato da un avvenimento storico. Quando nel secolo IX le reliquie di sant’Antonio furono traslate da Costantinopoli alla Motte-Saint-Didier, in Francia venne costituita nel centro che già ospitava i benedettini di Mont Majeur una comunità ospedaliera laica per curare i malati di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala usata per la panificazione. Il morbo era conosciuto fin dall’antichità come ignis sacer per il bruciore che provocava.

Per poter accogliere e assistere tutti i malati che, oltre alle cure ospedaliere, si affidavano alla potenza taumaturgica del santo, si costruì un ospedale dove prestava servizio quella comunità laica che si trasformò nel 1297 in un ordine di canonici regolari retti dalla regola di sant’Agostino. Uno dei più antichi privilegi che i papi accordarono loro fu di poter allevare maiali per uso proprio. Il singolare allevamento avveniva a spese della comunità sicché i porcelli potevano circolare liberamente fra vie e cortili portando una campanella di riconoscimento. Il loro grasso serviva come medicamento nella cura dell’ergotismo che venne chiamato «il male di Sant’Antonio» e poi «il fuoco di Sant’Antonio».

Per questo motivo nella religiosità popolare il maialino cominciò a essere associato all’eremita egiziano e a diventare nell’iconografia un suo attributo insieme con la campanella di riconoscimento e il bastone a tau, simbolo di ogni anacoreta. Successivamente gli si attribuì il patronato sui maiali e per estensione su tutti gli animali domestici. Persino la macellazione del porco fu collegata alla sua festa. Ancora oggi a Cansano, in Abruzzo, un maiale viene acquistato nella prima settimana di novembre e macellato qualche giorno prima del 17 gennaio. Durante il periodo di ingrassamento il maiale porta una campanella al collo circolando liberamente per il paese.

Questa interpretazione sarebbe accettabile se non fosse esistito proprio nell’area celtica, dove il culto di sant’Antonio si radicò e diffuse in tutto l’Occidente, un dio della rinascita e della luce, e anche del fuoco, che trionfava sugli inferi e presiedeva al rinnovamento della natura e alla fertilità degli animali: il dio Lug cui erano consacrati cinghiali e maiali. I Celti lo onoravano a tal punto da porre una statuetta di cinghiale sull’elmo e da raffigurarlo sugli stendardi. Spalmavano addirittura i capelli, che portavano corti, con una densa poltiglia di gesso perché diventassero rigidi e somigliassero alle cotenne dell’animale, come testimonia Il galata morente al Museo capitolino di Roma. Sicché si potrebbe congetturare che la venerazione per il dio Lug si sia trasferita per uno di quei processi sincretistici, tipici dei periodi di passaggio di una popolazione da una religione all’altra, nel culto per l’eremita egiziano. Non casualmente in certe sculture e quadri, come quello del Pisanello, alla National Gallery di Londra, ai piedi di sant’Antonio non vi è un maialino ma un minuscolo cinghiale.

FONTE: LUNARIO, di Alfredo Cattabiani – Oscar Mondadori

FOTO: Rete

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