Acropoli, lo sfregio del cemento

Foto di Despina Koutsoumba

Dal VI secolo a.C., con cadenza quadriennale, il ventottesimo giorno del mese di Ecatombeone, corrispondente al periodo tra luglio e agosto, l’intera polis di Atene si radunava prima dell’alba nei pressi della sacra porta del Dipylon, nel quartiere del Ceramico. Da lì, cittadine e cittadini liberi nonché schiavi e meteci percorrevano la via delle Panatenee, attraversavano l’Agorà e ascendevano all’Acropoli. Il corteo si fermava davanti all’altare di Atena Polias per compiere il sacrificio di cento buoi e offrire alla dea tutelare della città un peplo di lana tessuto da nobili vergini, le ergastine.

Le Grandi Panatenee, la maggiore festa religiosa dello stato ateniese in onore della divinità femminile che sconfisse i Giganti, erano animate da agoni musicali e competizioni atletiche. Durante la veglia che precedeva la processione, una gara di corsa con fiaccole illuminava l’altopiano roccioso come un astro in movimento. Saranno forse queste arcaiche reminiscenze ad aver instillato nei Greci il senso di religiosità che li accompagna ogni qual volta s’inerpicano sull’Acropoli. Così com’è vero che, per coloro che sono attratti dalle rovine antiche, la collina che domina il nucleo storico della capitale ellenica non rappresenta solo un sito archeologico ma la summa della cultura classica, un luogo in cui, più di altri, si possono abbracciare col medesimo sguardo mitologia, tragedia, architettura e arte.

DALLO SCORSO AUTUNNO, però, mentre la Grecia e l’intera Europa erano confinate a causa della pandemia, quest’orizzonte fecondo di luce e di memorie anche nefaste è stato sfregiato dalla violenza del cemento. Percorsi cinerei hanno sigillato, non senza danneggiarlo, il suolo primigenio della rocca, anch’esso un «sito archeologico» ricco di testimonianze del passato. Le foto dell’Acropoli deturpata hanno fatto il giro del mondo, suscitando ovunque incredulità e rabbia.

Per approfondire le ragioni che si celano dietro a una polemica lungi dall’essersi sopita, abbiamo interpellato Despina Koutsoumba e Yiannis Theocharis, presidente e vice-presidente dell’Associazione degli archeologi greci. In videoconferenza da Atene, con l’ostinata passione dei militanti, entrambi hanno risposto alle nostre domande: «Il recente intervento di sistemazione dell’area archeologica dell’Acropoli è stato inizialmente presentato come un progetto destinato ai disabili e, in generale, alle persone con mobilità ridotta, che avrebbe dovuto comprendere l’installazione di nuove passerelle e di un ascensore – dice Koutsoumba –; tuttavia, nel periodo in cui il sito era chiuso al pubblico, è stata eseguita un’operazione imponente, che ha coperto gran parte della roccia originaria dell’Acropoli».

Foto Yiannis Theocharis

GIÀ A METÀ DEGLI ANNI SETTANTA del secolo scorso, Ioannis Travlòs aveva usato il cemento per livellare la roccia e costruire delle pedane ma si era trattato, in quel caso, di azioni non eccessivamente invasive. «Quando, dopo ripetuti dinieghi, siamo riusciti a tornare sull’Acropoli ci siamo resi conto che la realizzazione di un circuito per disabili era solo un pretesto – continua Theocharis –, in quanto il problema delle forti pendenze della rocca non è stato risolto e i percorsi tracciati non soddisfano le esigenze di persone con difficoltà motorie, le quali sono impossibilitate a visitare il sito in autonomia».

I lavori sono stati approvati dal Consiglio centrale per l’archeologia (Kas), al quale competono tutte le decisioni in merito ai beni culturali della Grecia. Del Kas è membro anche Manolis Korres, uno dei massimi studiosi del Partenone, responsabile del restauro del tempio simbolo della classicità. Un’ampia strada asfaltata, larga da cinque a quindici metri, prende avvio non appena varcati i Propilei – l’ingresso monumentale dell’Acropoli, datato alla metà del V secolo a.C. e comprendente un corpo centrale e due ali laterali (la cosiddetta Pinacoteca a nord, e un portico a sud) –, costeggia il versante settentrionale del Partenone e si spinge fino al punto panoramico della rocca. Due segmenti si dipartono da questa via: il primo raggiunge la facciata occidentale del Partenone, il secondo fiancheggia il Tempio di Roma e di Augusto per poi sfociare in una sorta di piazza nella zona meridionale del plateau, compresa tra il Partenone e l’edificio che ospitava l’ex museo dell’Acropoli.

DUE PASSERELLE circondano inoltre l’Eretteo con la celebre loggia delle Cariatidi – nei pressi del quale si trova anche l’ascensore – confluendo nel troncone nord-occidentale dell’itinerario. Attorno al Partenone persistono le botteghe prefabbricate dei marmisti con la strumentazione necessaria a portare avanti il programma di restauri del tempio iniziato nel 1975 e tuttora in corso. Dettaglio fondamentale, quest’ultimo, per capire che un altro degli scopi dissimulati della cementificazione della rocca è quello di facilitare la circolazione dei mezzi pesanti. «A questo punto – dichiara Koutsoumba – è chiaro che si ambisca non più all’anastilosi ma a una ricostruzione integrale del tempio».

L’ATTUALE GOVERNO, sostenuto dal ministero della Cultura, punta infatti a ripristinare l’immagine dell’Acropoli così come doveva apparire nel V secolo a.C., all’epoca in cui Pericle avviò la costruzione dei principali monumenti della rocca affidandosi agli architetti Ictino e Callicrate, e al genio di Fidia per la decorazione plastica. «L’intento ideologico – sottolinea Koutsoumba – è funzionale al progetto di commercializzazione dell’Acropoli. Da quindici anni, infatti, il governo subisce le pressioni dei tour operators, soprattutto quelli specializzati nelle crociere, affinché sia consentito un sempre maggiore afflusso di turisti (nel 2019 i visitatori dell’Acropoli sono stati circa 3 milioni e mezzo, ndr).

RIGUARDO AL PATRIMONIO, le politiche dell’attuale destra al potere sono guidate unicamente da interessi economici». Cancellare le tracce «non gradite» della lunga storia dell’Acropoli, abitata fin dalla preistoria e rioccupata in epoca tardo-romana, medievale e ottomana, è dunque un’operazione di marketing. «Sull’Acropoli viene messo in risalto ciò che vende, come se il Partenone fosse un McDonald’s e non un monumento da salvaguardare», incalza Theocharis, aggiungendo che «Visitare la rocca somiglia oggi a un’esperienza urbana perché lo scopo è proprio quello di renderla agevole come il centro di una qualunque città».

I due studiosi temono che questo genere di approccio possa allargarsi al resto della Grecia. «In fondo – prosegue Theocharis – è lo stesso fenomeno che si osserva anche in Italia. Mi colpisce, ad esempio, il fatto che si voglia ricostruire l’arena dell’Anfiteatro Flavio. Il Colosseo e il Partenone stanno perdendo la loro identità di monumenti per trasformarsi in ‘macchine’ al servizio delle masse mentre si dovrebbe aspirare a un turismo sostenibile, che valorizzi le vestigia senza comprometterne la tutela». Gli interventi sull’Acropoli sono costati complessivamente 3 milioni di euro e sono stati finanziati dalla Fondazione Onassis (la cui sede fiscale si trova in Lussemburgo, ndr) che, assieme alla Fondazione Stavros Niarchos, indirizza attualmente la vita culturale in Grecia e in particolare ad Atene. Ma la «nobile» patina del mecenatismo nasconde maldestramente la resa dello Stato: «È inaccettabile che progetti finanziati da una fondazione privata siano spacciati per servizio pubblico», tiene a precisare Koutsoumba.

IL CONTROLLO DEI PRIVATI sul patrimonio archeologico permette infatti di semplificare e velocizzare l’iter relativo alle gare d’appalto, che non ha l’obbligo di seguire la normale prassi della pubblica amministrazione. Ciò ha consentito di effettuare i lavori sull’Acropoli in una manciata di mesi con affidamenti diretti. Quando, lo scorso marzo, il sito è stato finalmente riaperto al pubblico, il danno era ormai sotto gli occhi di tutti. L’Associazione degli archeologi greci si batte ora per bloccare la prosecuzione del progetto, auspicando – oltre al sostegno dei partiti dell’opposizione come Syriza – il risveglio di quel dibattito scientifico internazionale che fin dalla costituzione, nel 1975, del Comitato per la Conservazione dei monumenti dell’Acropoli (Ccma) ha caratterizzato ogni intervento di restauro. Altre zone dell’Acropoli rischiano infatti di subire l’onta del cemento e di assumere per sempre il falso volto della Storia.

Di VALENTINA PORCHEDDU

Fonte: https://ilmanifesto.it/acropoli-lo-sfregio-del-cemento/?utm_medium=Social&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR2ZJLsBktR7f0-e21j-hqMlhQw681whHmTppyCeARBBG2Xfeh24kO8slCA#Echobox=1624353539

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