ASCETI NELLA CALABRIA BIZANTINA

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Dopo le opere di Cassiodoro, i testi più antichi della letteratura calabrese sono un gruppo di scritti, prevalentemente in lingua greca (alcuni ci sono giunti in latino), che riguardano santi asceti vissuti in Calabria dal IV al XIII secolo d.C., cioè prima, durante e un poco dopo il lungo periodo di molti secoli in cui questo territorio fece parte integrante dell’Impero Romano d’Oriente. Essi organizzarono la loro vita monastica secondo forme consuete in seno alla Chiesa d’Oriente e per questo motivo vengono chiamati abitualmente “santi monaci italo-greci”, anche se non sono, propriamente, né italiani né greci: infatti, per nazionalità, erano Romani e tutti, tranne il primo, nella forma dei Romei (cioè Romani d’Oriente o, come diciamo correntemente, Bizantini) e, per nascita, in maggioranza siciliani, anche se con un cospicuo gruppo di calabresi. Il primo di questi santi, Fantino, appartiene ancora alla cultura paleocristiana ed ha a che fare con una villa romana tardo antica e con una fiorente città della Calabria meridionale tirrenica del IV secolo d.C., dove era nato, Tauriana, vicino all’attuale centro di Gioia Tauro. Il suo agiografo, il più antico della Calabria, nato anch’egli a Tauriana molto tempo dopo, verso l’VIII secolo d.C., si chiamava Pietro ed era vescovo con l’appellativo di “occidentale”, che designava normalmente i vescovi siracusani.

Egli ci presenta Fantino con ancora alcuni tratti giovanili che mi sembrano di gusto paleocristiano, ma lo assimila ai modelli degli asceti orientali, ormai a lui del tutto familiari; egli, infatti, come si evince dal suo opuscolo, era un personaggio pienamente inserito ai vertici dell’amministrazione bizantina.

Le informazioni di gran lunga più numerose su questi santi asceti ci provengono dalla letteratura agiografica; ma vanno comprese anche cinque lettere pastorali, scritte da san Luca, vescovo di Bova fra l’XI e il XII secolo, ed alcune composizioni poetiche per uso liturgico, dette “canoni”, per le quali fu famoso san Bartolomeo di Rossano, igumeno nel secolo XI del monastero di Santa Maria di Grottaferrata che era stato fondato da san Nilo, anch’egli compositore di inni liturgici. Molti santi, tuttavia, non hanno lasciato traccia negli scritti; per conoscere qualcosa su di loro, ci aiutiamo soprattutto con la tradizione, la quale va letta secondo i suoi caratteri, che spesso non coincidono con ciò che si esige da una informazione storica corretta. […]

Un carattere generale degli asceti orientali vissuti in Calabria è la loro appartenenza alla schiera dei monaci. Certamente, durante il millennio in cui la Chiesa bizantina calabrese visse come realtà socialmente organizzata, non c’erano solo monaci, ma, oltre ai semplici fedeli, esisteva tutta la gerarchia sacerdotale. Di essa restò ben poco nella memoria collettiva, a parte i ruderi delle chiesette, ed il clero fu ricordato solo nelle figure di quegli asceti che erano anche sacerdoti (jeromonaci), e due di loro vescovi. Pertanto si può affermare che la trasmissione di tutto il retaggio di idee, atteggiamenti interiori e comportamenti che caratterizza l’identità bizantina della cultura calabrese sul piano religioso, sia precipuamente dovuta all’opera dei monaci. Il monachesimo comporta due realtà, che nel corso della storia di questi asceti assunsero condizioni antitetiche, ma furono sempre complementari: la solitudine, evocata anche dall’etimologia della parola, e i monasteri, come organizzazione di più monaci conviventi e perciò detti più propriamente cenobi.

La vocazione alla solitudine può apparirci come una costante della terra calabrese, forse anche a motivo della sua conformazione fisica, se pensiamo ai frequenti segni di santuari extraurbani che ci pervengono fin dalla preistoria ed ai tanti personaggi noti, oltre ai santi asceti d’Oriente, i quali hanno scelto in essa ambienti di silenzio, di cui hanno circondato almeno alcuni periodi della loro vita (Cassiodoro, Bruno di Colonia, Gioacchino da Fiore, Francesco di Paola) accanto a moltissimi ignoti che in ogni tempo vi hanno trovato una dimora di silenzio e di nascondimento ed ancora oggi la ricercano e la ottengono. Anche la realtà dei monasteri si accompagna con la storia della Calabria cristiana. Di essi, fisicamente, sono oggi rimasti per lo più gli edifici delle chiese, mentre le altre parti dei complessi monastici sono quasi del tutto scomparse, ad eccezione di pochi ruderi. Ma spesso questi monasteri non esistevano affatto, quando i monaci sceglievano la vita totalmente eremitica ed abitavano nelle spelonche naturali. Invece, parecchi conventi degli ordini latini che hanno pervaso la Calabria dal tardo medioevo in poi, sono ancora in piedi; ma anche per essi avanzano, quasi inesorabili, l’abbandono e la rovina.

La preponderanza del monachesimo nella cultura religiosa della Calabria bizantina corrisponde all’importanza centrale che esso ha avuto costantemente e continua ad esercitare per tutta la civiltà dell’Oriente cristiano, come modello di vita, ispirazione della preghiera liturgica, guida del pensiero religioso, faro dell’opinione pubblica. Per tutti questi motivi, l’opera dei santi asceti d’Oriente alimentò ed influenzò radicalmente la mentalità del popolo calabrese, anche oltre l’aspetto religioso. A ciò contribuì grandemente la loro diffusione capillare, ancora più estesa e radicale di quella successiva degli ordini mendicanti latini, specialmente dei Cappuccini, che maggiormente furono vicini in Calabria alle esperienze di vita religiosa dei monaci bizantini.

Oltre alla peregrinazione, spesso giudicata come vagabondaggio, ma determinata piuttosto dal bisogno della precarietà e dall’indole missionaria, con l’effetto di molteplici contatti fra la gente, una caratteristica universalmente riconosciuta di questi nostri santi monaci è la ricerca della penitenza. Quanto alle opere, se tutte le informazioni ci parlano di protratte attività manuali, la forma che è rimasta nella memoria è quella delle prolungate contemplazioni, accompagnate da lavori più affini a questa condizione, e cioè intellettuali, come l’arte medica, esercitata gratuitamente quasi a complemento della loro santa e taumaturgica intercessione per tutti gli ammalati, nel corpo e nell’anima, e l’arte scrittoria, della quale sono ammirati e noti molti cimeli, sparsi ormai in tante biblioteche fuori della Calabria.

Da FOGLIE LIEVI, di Domenico Minuto – Città del Sole

Nato in Calabria (902) san Fantino viene offerto dal padre, a 8 anni, a sant’ Elia lo Speleota che, a 16 anni, lo incarica dei vari servizi comuni dopo di averlo rivestito dell’Angelico Abito. Morto sant’ Elia, a 20 anni san Fantino si consacra alla vita eremitica, per 18 anni nell’aspra regione monastica, tra Lucania e Calabria e Cilento, del Mercurion, conducendo una vita di estremo disagio fisico. Raggiunto dai pii familiari, li persuade a consacrarsi anche loro: adatta cosí due romitori, uno per la madre e la sorella, uno per il padre e i fratelli: Cosma già discepolo di sant’Elia lo Speleota e san Luca, che Fantino prepone come economo cioè suo vicario per continuare così a rimanere nel ritiro dell’esicasmo. San Luca più tardi seguirà san Nilo nelle sue peregrinazioni nel Cilento e fino a Valleluce (Montecassino) alla cui guida venne posto dallo stesso san Nilo. Spentosi nel 991, fu sepolto nel Nartece della chiesetta monastica dedicata all’arcangelo san Michele.

FOTO e TESTO: Dalla pagina Fb “Santi Italogreci”

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One Reply to “ASCETI NELLA CALABRIA BIZANTINA”

  1. Mariano ha detto:

    La Taureana dive nacque e visse San Fantino si trova nel comune di Palmi di cui è una frazione

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