SERAPIDE, chi era costui?

 
Demetra, Iside, Serapide e Afrodite, rilievo votivo, II secolo d. C. Frutto della convergenza di tradizioni greche ed egiziane, la figura del dio Serapide, per i suoi caratteri inferi e per le connessioni con l’ambiente agrario, esprime una
continuità con l’Ade/Plutone greco e con l’Osiride egiziano. Identificato anche con Zeus/Iuppiter e Helios/Sol, si configura come «dio cosmico, sovrano reggitore dell’universo», capace dì rispondere sia alle esigenze quotidiane personali degli individui sia al loro anelito a sentirsi parte dì un progetto universale

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Una tradizione sostanzialmente attendibile, riferita da Plutarco e da Tacito, attribuisce a Tolomeo I Soter, fondatore della dinastia Tolemaica d’Egitto, l’«invenzione» di una figura divina, nuova insieme e antica, che avrà un posto assai notevole nel panorama religioso ellenistico-romano. Il racconto, pur nelle variazioni proprie a ciascuna fonte, riflette una matrice unica e, nella vivacità dei suoi tratti, si rivela documento esemplare dello «stile» e degli interessi religiosi di un’epoca. Vi è innanzitutto il tema del sogno rivelatore, fra i più tipici della religiosità ellenistica, operante negli innumerevoli culti iatromantici che, connessi alle più varie figure di dei, di eroi e di profeti-taumaturghi, hanno nello stesso Serapide, oltre che nel greco Asclepio, uno dei principali titolari.

Al sovrano appare in sogno la statua del Plutone di Sinòpe sul Ponto ovvero lo stesso dio in figura di giovane che gli impone il proprio «trasferimento» ad Alessandria. L’interpretazione del sogno e soprattutto l’identificazione dell’epifania divina richiedono l’intervento di esegeti, quegli specialisti del sacro ben noti, insieme con l’oneirohrìtes («interprete dei sogni») e il theològos (colui che conosce/elabora il discorso sugli dei), dalla documentazione, soprattutto epigrafica, dell’epoca. Egualmente significativa è la qualità di tali interpreti: il sacerdote egiziano Manetone e l’esegeta Timoteo, della famiglia degli Eumolpidi, ossia di quel genos eleusino che deteneva la somma carica del culto misterico e pertanto era depositario delle più sacre tradizioni mitico-rituali del popolo greco.

Serapide

Le radici egizie del dio

Gli attributi del dio (cerbero tricipite e serpente) inducono a identificare in lui Plutone che peraltro riceve un nome egiziano, Serapide. Le radici egizie del personaggio sono del tutto preminenti nella complessa discussione plutarchea relativa all’origine del nome (da soros, «urna» di Apis ovvero dalla fusione dei nomi di Osiride e Apis, il sacro bue di Menfi) e nell’affermazione tacitiana secondo cui, già prima della costruzione del grande Serapeo alessandrino elevato da Tolomeo I nel quartiere di Racotis, colà esisteva «un tempietto da antico tempo consacrato a Serapide e a Iside». Un ultimo elemento del quadro è fornito da Plutarco quando, proponendo un’ulteriore etimologia secondo l’uso antico di cercare negli etimi il significato delle corrispondenti realtà, dichiara che il nome di Serapide deriva dai verbi greci che significano «spingere» (soèo), «lanciare» (sèuesthai). Il dio infatti è colui che dà impulso al moto universale.

La convergenza con alcune divinità greche

«Creazione» alessandrina di ispirazione regale, con i caratteri di culto pubblico e dinastico e con forte componente oracolare che il resto della documentazione mostra connotata in senso medicale, privo di miti fuori di quello di fondazione, frutto della convergenza di tradizioni greche ed egiziane, la figura di Serapide è insieme nuova ed antica. I caratteri inferi e le connessioni con la sfera agraria, espresse nell’attributo del modio [copricapo, o corona, a forma di cilindro] che lo caratterizza, ne rivelano la profonda continuità con l’Ade/Plutone greco ma soprattutto con l’Osiride egiziano di cui, di fatto, in tutto il corso della storia religiosa ellenistico-romana occupa il ruolo quale Paredro di Iside. Tuttavia, identificato anche con Zeus/Iuppiter e con Helios/Sol, Serapide ha la dimensione di dio cosmico, sovrano reggitore dell’universo, anch’egli signore del destino, capace di esprimere e soddisfare le tensioni religiose di una società cosmopolita in cui l’individuo, mentre cerca garanzie di salvezza nei casi minuti della vita quotidiana, si sente parte di un progetto universale di cui il suo dio, soccorrevole e «manifesto» (epiphanès), pronto ad apparirgli in sogno e a guarire ogni malattia, detiene le fila e regola lo svolgimento.

Tempio di Serapide a Pozzuoli

Un culto radicato nella società

Un’iscrizione votiva del Serapeo C di Belo, datata intorno alla metà del III secolo a.C., documenta con vivida immediatezza questo scenario, mostrando che anche i semplici fedeli erano pienamente consapevoli delle valenze cosmosofiche di esso. Lungi dall’essere esclusivo patrimonio di cerchie ristrette di individui colti, proclivi alle speculazioni, la nozione del «dio cosmico» era pervasiva di larghi strati della società ellenistica. Aristodice figlio di Demarato e Artemone figlio di Pitio «per ordine di Osiride», verisimilmente come negli innumerevoli casi in cui ricorre questa formula, ricevuta in sogno, pongono la loro dedica «a Zeus che tutto domina e alla Gran Madre di tutte le cose». In questa coppia divina, evocata in termini tipicamente ellenici, è da riconoscere quella degli dei titolari del tempio, appunto Serapide e Iside, di cui si esalta la potenza cosmica, universale.

L’introduzione a Delo del culto di Serapide e degli dei della cerchia egiziana, Iside, Osiride, Anubi e Horo/Arpocrate, è esemplare di quello che possiamo ritenere il costume più usuale nella diffusione dei culti orientali fuori dai rispettivi territori nazionali. L’iscrizione di Apollonio, sacerdote di Serapide nel cosiddetto Serapeo A anteriore all’occupazione ateniese dell’isola (166 a.C.), narra come il nonno, sacerdote egiziano di Menfi, recato con sé il proprio dio insieme con gli oggetti sacri, continuò a praticare il culto in forme private nella propria dimora, affidandone poi la cura al figlio. Dopo la morte di questo Apollonio, ricevuto in sogno dal dio l’ordine di costruirgli un tempio, con il prodigioso intervento divino supera l’opposizione dei nemici e innalza un sacello in cui Serapide e le divinità che lo accompagnano ricevono gli omaggi di fedeli sempre più numerosi la cui devozione, attestata da numerose epigrafi, porterà alla costruzione di altri due templi e infine al riconoscimento ufficiale del culto medesimo da parte dei pubblici poteri. Greci, orientali di ogni nazione, italici e romani costituenti la popolazione cosmopolita di Delo nei due ultimi secoli dell’ellenismo frequenteranno i Serapei e si faranno portavoce e propagatori del culto delle divinità soccorrevoli, a livello individuale e cosmico, che hanno appreso a conoscere per l’iniziativa devota dell’antico sacerdote menfita.

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Da “Storia delle religioni” – La Biblioteca di Repubblica”

Foto: Rete

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