IL MERCURION 2 – Il territorio

ORSOMARSO – Monastero di San Nicola di Donnoso

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In questa parte dell’articolo sul “Mercurion” Biagio Cappelli discute sulla sua collocazione geografica.

Studi recenti hanno corretto alcune indicazioni di Cappelli. Per averne contezza è utile il volume di G. Russo: “La valle dei monasteri” – Ferrari

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Le varie agiografie che descrivono la vita che nel secolo decimo santificava il Mercurion, danno al luogo stesso un alone di celebrità e di leggenda che lo pone quasi al di fuori del tempo e dello spazio. Non manca però qualche testo redatto da persona che conosceva direttamente il sito, che delinea la regione con realtà e precisa conoscenza geografica. Così Oreste patriarca di Gerusalemme nelle sue Vite dei SS. Saba, Cristoforo e Macario di Collesano ci descrive il Mercurion come una solitaria provincia monastica incuneata tra i confini di Calabria e Longobardia, al limite cioè dell’impero bizantino e del principato di Salerno al controllo dei quali così sfuggiva, come all’altro del vescovado di Cassano allo Ionio in cui nel secolo decimo rientrava, tutta ammantata di folte ed aspre boscaglie popolate da una moltitudine di anacoreti di ambo i sessi.

Se si confrontano questo ed altri passi di Oreste con il racconto del biografo di S. Leon-Luca di Corleone in cui narrandosi il passaggio dell’eremita dal monte Mula al Mercurion si stabilisce un rapporto di immediata vicinanza tra questi luoghi e gli altri, che conservano gli stessi nomi di Mormanno e di Avena, e con la narrazione della Vita di S. Nilo di Rossano, circa il numeroso gruppo di monasteri presso il distrutto castello di Mercurio di cui si conosce il sito, o il viaggio del beato dal Mercurion al cenobio di S. Nazario presso l’omonima località nel Cilento, nonché con una notizia del geografo arabo Edrisi che indica una connessione topografica tra la foce del Lao, la spiaggia della Scalea ed il castello di Mercurio, stupisce come quanti si sono interessati della zona e l’abbiano tanto variamente ubicata.

Bisogna pur dire che nella ricerca del sito dell’insigne regione monastica, della quale a più riprese mi sono occupato, è assai spesso venuta meno una serena ed esatta valutazione dei fatti e dei dati ed anche una precisa conoscenza storico-geografica della Calabria, se si è creduto poterla porre nei pressi di Tauriana o di Palmi o alle falde del massiccio del Poro. Ed anche quando si è finalmente riconosciuto che il Mercurion andava ricercato nella Calabria settentrionale, l’ubicazione di esso è stata lata ed oscillante tra il territorio di Rossano, quello che si stende tra Cassano allo Jonio e Castrovillari e l’estrema parte nord-occidentale della provincia cosentina. L’origine dell’equivoco, che non si è ancora del tutto dissipato, risale al Gay che se da una parte, con l’appoggio di varie agiografie e della denominazione del fiume Mèrcure, che però non è affluente del Lao, ma tutta una cosa con esso, ha colto la verità circa il sito del Mercurion, dall’altra è stato un po’ vago e malsicuro nella delimitazione della zona. La quale va posta lungo la vallata del Lao, che nel medioevo ed anche attualmente dalla popolazione locale è detto Mèrcure per quasi tutto il suo corso ed ha segnato dall’antichità al secolo decimo ottavo e per un breve tratto ancora lo segna, il confine settentrionale dell’estrema parte della penisola italiana. Questa designazione della regione del Mercurion ha avuto la sua prima ed esatta trattazione topografica convalidata da prove documentarie, dal medico ed umanista Eduardo Pandolfi, perfetto conoscitore dei luoghi, in un libretto rimasto pressoché sconosciuto.

ORSOMARSO – Chiesa di Mircuro

A parte però quanto si è detto, l’affascinante argomento è stato in generale poco toccato in profondità. Solo qualche accenno nella sintesi sull’Italia bizantina del Caffi, nello studio sui monaci basiliani del Korolewskii e nel volume sulla Calabria del Dito; mentre un vasto capitolo del libro dell’Anitchkof su Gioacchino da Fiore cerca ritrovare precedenti dell’insegnamento del monaco silano nella teoria e nellaprassi monastica mercuriense. Per maggiore aderenza al soggetto sono però da notare una succosa nota di S. G. Mercati ed uno scritto in cui il compianto P. Mattei Cerasoli pubblicava ed illustrava alcuni documenti riguardanti vari monasteri della zona non tutti però, a mio parere, esattamente ubicati. Mentre un po’ prima si era interessato della questione il Binon che in un saggio sul ciclo di S. Mercurio si esprimeva, contro la supposizione dello Schlumberger che vedeva nella denominazione di Mercurion il ricordo di un tempio pagano sacro al dio Mercurio, nel senso che il nome della regione sarebbe derivato dal culto reso dai monaci bizantini al santo martire di Cappadocia.

Ambedue queste asserzioni lasciano un po’ perplessi. Se una sembra un po’ ingenua per il fatto discutibile che un solo sacello pagano avrebbe dato la denominazione a tutta una vasta zona, l’altra pecca nello stesso senso in quanto solo sostituisce al sacello un luogo di culto dedicato a S. Mercurio; al cui riguardo bisogna tenere presente che, pur esistendo effettivamente nella regione un monastero con questo titolo esso però non appare mai nelle fonti più antiche ed inoltre che né la regione intera, né il fiume, né l’abitato scomparso, che tutti deriverebbero il loro nome da quello del martire di Cesarea, portano od hanno portato, come di regola avviene in simili casi, l’appellativo di santo.

Congettura per congettura si potrebbe invece forse supporre che tali denominazioni siano tutte derivate da quella del fiume che ad un certo momento, come è del resto avvenuto al prossimo Sybaris documentato come Coscile almeno dai primissimi tempi della dominazione normanna, perduto il primitivo nome di Lao, mantenutosi soltanto nella tradizione letteraria, avrebbe localmente assunto quello riferentesi ad un aspetto particolare della complessa idea che i Greci ed i Romani si erano formati di Hermes e di Mercurio: a quella funzione cioè che il fiume dall’epoca protostorica a quella magnogreca ed a tutta l’età seguente fino alle medioevali invasioni barbariche, aveva assolto, mettendo in comunicazione tra loro per scopi economici e naturalmente anche culturali, le coste dello Ionio e le regioni interne sull’odierno confine calabro-lucano con le spiagge del Tirreno; funzione che alla psiche popolare locale dovette sembrare ad un certo momento tanto essenziale e connaturata alla vista stessa della zona, da fare apparire quasi il fiume come la personificazione del dio. Così, se non si tratta di una denominazione recente, cosa che mi riesce impossibile stabilire, quella minore divinità romana del commercio rappresentante la moneta di argento veniva anch’essa personificata nel fiume Argentino, che affluisce nel Lao scendendo da quell’intrico di montagne boscose che circonda l’odierna Orsomarso e che producevano e producono grande quantità di ottimo legname da ardere e dacostruzione.

ORSOMARSO – Chiesa di Santo Linardo

A tenere conto del dato di fatto che attualmente il Lao è di norma detto Mèrcure soltanto nel suo alto corso che si svolge tutto in Basilicata, verrebbe da chiedersi se il Mercurion non corrispondesse in effetti a questa zona, la quale presenta nel suo dialetto un’alta percentuale di vocaboli derivati dal greco ed è ricca di toponimi che richiamano la grecita bizantina, specialmente nei dintorni di Viggianello e Rotonda, nel cui attuale perimetro sorgeva il monastero di S. Andrea o S. Sofia menzionato nel Chronicon Carbonense ed esistito almeno fino al 1704.

Ma, mentre non è possibile localizzare nella predetta zona alcuna delle fondazioni monastiche note dalle agiografie che ci rimangono dei grandi santi italo-bizantini che vissero al Mercurion, queste stesse ci indicano i limiti della provincia ascetica, con il ricordo del castello di Laino fatto nelle Vite dei SS. Cristoforo e Macario di Collesano e con l’altro del castello di Mercurio che comparisce in quelle di S. Leon-Luca di Corleone, S. Nilo di Rossano e S. Saba di Collesano. Ai quali termini che segnano i due capi della profonda gola chiusa tra montagne precipiti e scoscesi terrazzamenti vallivi, nella quale scorre tumultuoso il Lao nel suo medio corso, bisogna però aggiungerne un altro, cioè l’abitato di Avena sito sull’alto dei terrazzamenti meridionali, nella cui contrada detta di Maltempo sostò S. Leon-Luca di Corleone recandosi al Mercurion dalle impervie solitudini del limitrofo monte Mula che è quindi errato porre, come si è fatto, nei pressi immediati di Cassano allo Ionio.

Questi confini rinserravano il medioevale centro di applicazione e propagazione delle idee ascetiche bizantine in terra calabrese, centro che veniva isolato dal mondo e quasi dal tempo non soltanto dalle asperità del sito, ma anche dalle due fortezze che ne vigilavano gli sbocchi: quella di Laino, succeduta all’abitato indigeno e poi ellenizzato sito alla confluenza del Lao con il Battendieri, al quale si è giustamente congetturato appartenessero gli incusi con la leggenda Λαινοζ che, eretta in posizione formidabile e ricordata dall’epoca longobarda in cui appare anche come gastaldato, proteggeva la regione dalle eventuali offese del retroterra attraversato dalla via Popilia e l’altra, anch’essa ben munita, di Mercurio, di cui restano scarsi avanzi alla confluenza del Lao con l’Argentino. Non potendosi però escludere che in senso lato la regione detta Mercurion si allargasse oltre questi confini verso settentrione.

La regione cui questi fattori naturali e strategici davano un senso di isolamento ricercato ed amato per la pura contemplazione, appare anche oggi appartata e scarsamente abitata. Ma è ricchissima di memorie bizantine, a cominciare dai numerosi toponimi nei pressi di Laino, dove era anche il monastero di S. Janni de Cucza sito nella contrada omonima e sorto, come appare dai rinvenimenti avvenuti nel secolo scorso, sui resti di una villa romana, fino alla medioevale e diruta chiesetta dedicata a santo Lucai vicino Avena. Per poi continuare a ritrovarsi più a valle nella denominazione stessa dell’abitato di Papasidero, presso il quale certamente si trovava in contrada S. Stefano l’omonimo cenobio fondato dai SS. Cristoforo e Macario di Collesano vicino al medio corso del Lao sul quale veniva eretto ad opera degli stessi l’asceterio di S. Michele Arcangelo. Ed infine urgeva intorno agli avanzi del castello di Mercurio, sopra e sotto il quale ferveva la vita monastica con i cenobi ricordati nelle agiografie di S. Nilo e di S. Nicodemo e gli altri ancora in vista dell’asceterio niliano di S. Michele Arcangelo sulla Serra Bonangelo e del monastero di S. Nicola di Trémulo nella località che mantiene inalterato il nome.

Se il sito di quest’ultimo cenobio è veramente delizioso, tutta la regione del Mercurion chiusa tra i monti, ma non lontana dal mare che si presenta con il suo specchiarsi nel cielo, è bellissima e suggestiva, e per ricordi classici e bizantini, pregni questi di una pietà ascetica quasi disumana, che affollano la mente e l’anima, e per il suo aspetto solenne e primitivo datole dai fitti boschi e dalle macchie di elci e carpini stesi sulle ardue pendici delle montagne dirupate, ai cui piedi che rinserrano una breve e fresca valle, battono fragorose e spumose le acque del Lao e dei numerosi affluenti che incidono anch’essi profondamente il terreno.

Ma torno torno la zona così circoscritta vi erano anche altre propaggini ascetiche non propriamente dipendenti, ma più o meno ad essa legate da uguali interessi di edificazione religiosa: quelle cioè di monte Mula, di Latiniano nell’alta valle del Sinni, di Lagonegro e di Aieta, sì che una indagine sul Mercurion deve anche tenere conto di queste altre regioni che hanno con esso vibrato all’unisono. (Continua)

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BIAGIO CAPPELLI

Da “Medioevo bizantino nel Mezzogiorno d’Italia”.

Foto: Rete

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