ESIODO – La creazione della donna

PANDORA, di J.W. Waterhouse

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Il poema di Esiodo “Le opere e i giorni” narra che Zeus si infuriò contro Prometeo per il furto del fuoco. Il Titano aveva forgiato il primo uomo impastandolo con la terra e la pioggia, gli aveva infuso astuzia e timidezza, forza, fierezza e ambizione e l’aveva poi animato col fuoco divino. Ma il fuoco divino sarebbe dovuto restare privilegio degli dei e non essere offerto a creature terrene. Per questo Zeus era in collera. Riservò a Prometeo un castigo atroce: incatenato sul Caucaso, avrebbe visto un’aquila divorargli il fegato, che sarebbe ricresciuto ogni notte per perpetuare il dolore; agli uomini inviò un dono infido e alla prima donna fu affidato il compito di portare con sé, nel mondo, infinite sofferenze. Ordinò ad Efesto di forgiare la fanciulla, Pandora. A lei ogni dio offrì un dono divino: bellezza, virtù, abilità, grazia, astuzia, ingegno. […]

Pandora recava con sé un vaso regalatole da Zeus, il quale però le aveva ordinato di lasciarlo sempre chiuso. Tuttavia, spinta dalla curiosità, Pandora disobbedì: aprì il vaso e da esso uscirono tutti i mali, che si avventarono furiosi sul mondo: la vecchiaia, la gelosia, la malattia, il dolore, la pazzia ed il vizio si abbatterono sull’umanità. Sul fondo del vaso rimase solo la speranza, che non fece in tempo ad allontanarsi perché il vaso fu chiuso nuovamente. (wikipedia.org)

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Zeus altitonante si adirò nell’animo suo, quando vide tra gli uomini la scintilla del fuoco che splende da lungi. E senza indugio egli in cambio del fuoco apprestò un malanno per gli uomini; difatti l’inclito Ambidestro (Efesto) plasmò con la terra un essere simile ad una vereconda fanciulla, per volontà del Cronide; la dea Atena dagli occhi lucenti le dette il suo cinto e la ornò di una candida veste, e dal capo le fece scendere con l’arte delle sue mani un velo riccamente lavorato, meraviglia a vedersi; quindi attorno alla testa Pallade Alena le pose amabili corone fatte di freschi fiori di prato, e intorno al capo le cinse una corona di oro, che lo stesso inclito Ambidestro aveva fatto, modellandola con le sue mani, per far cosa grata al padre Zeus. In essa egli aveva cesellato molle figure, meraviglia a vedersi, di strani animali, terribili, quanti nutre la terra ed il mare: ne aveva inciso un gran numero – e su tutte spirava la grazia -, fonte di meraviglia, tali e quali ad esseri vivi.

Quando dunque egli ebbe plasmato, invece di un bene, questo splendido malanno, la condusse là dove stavano gli altri dei e gli uomini, superba dell’ornamento donatole dalla dea dagli occhi splendenti, figlia del valoroso padre. E meraviglia prese gli dei immortali e gli uomini mortali, quando videro l’arduo inganno, senza rimedio per gli uomini. Da lei infatti proviene la stirpe delle donne delicate [da essa infatti proviene la stirpe funesta e la razza delle donne], sciagura grande per i mortali, le quali abitano insieme con gli uomini, assidue seguaci non della esiziale Povertà, ma della Sazietà. Ed invero come quando le api nelle chiuse arnie alimentano i fuchi, esperti solo di cattive opere – mentre alcune di esse per l’intero giorno fino al calare del sole, un giorno dopo l’altro, si affrettano a deporre la bianca cera, i fuchi invece restando dentro i coperti alveari raccolgono per il loro ventre il frutto della fatica altrui -, allo stesso modo Zeus altitonante ha fatto per gli uomini mortali le donne come malanno, esperte solo di opere malvage, e vi ha aggiunto un altro malanno ancora, al posto di un bene.

Quegli invero che fuggendo le nozze e le opere moleste delle donne non ha volontà di sposarsi, giunge alla molesta vecchiaia, con la mancanza di uno che l’assista nella età tarda; egli vive non certo bisognoso del vitto, ma quando muore la sua ricchezza se la dividono i suoi lontani parenti. Al contrario, colui che ha avuto il destino delle nozze, ed ha preso una buona moglie, saggia nell’animo suo, in tutta la sua vita egli compensa il male col bene; quando invece va a sbattere su una donna di stirpe malefica, egli vive avendo nel petto un’angoscia costante, nell’animo e nel cuore, e senza rimedio è il suo male. Così non è dato frodare il pensiero di Zeus, né trasgredirlo. Nemmeno infatti il figlio di Giapeto, il benefattore Prometeo, riuscì ad evitare il grande sdegno di lui; ma soggiacendo al destino, pur essendo molto saggio, una grave catena lo stringe.

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 ESIODO – “Le opere e i giorni” (vv. 570- 612)

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