Perchè l’Italia è così subalterna alla Nato e agli USA?

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Dopo oltre due mesi di guerra alcune cose sono ormai chiare. Una prima è che la Russia ha incontrato una resistenza superiore a quella attesa, e quindi che non possiamo fare affidamento su una loro ipotetica strategia di guerra breve. Una seconda è che gli Stati Uniti puntano a una guerra di lunga durata, «anche dieci anni» secondo Zelenski intervistato dalla CNN, e di conseguenza non vogliono trattative (come ha giustamente osservato fra gli altri Domenico Quirico, certo non sospettabile di simpatie putiniane). Questo del resto era lecito attendersi date le strategie geopolitiche di quel paese e il peso della lobby militare-industriale.  «Questa guerra, a parte chi la soffre, ha molti, troppi, seguaci. Perché tutti – il presidente Biden, la Nato, Putin – proclamano che questa guerra sarà lunga? Intanto perché i fabbricanti di armi ci guadagnano» dice padre Enzo Bianchi intervistato dal Fatto Quotidiano il 20 aprile. «Dal pacchetto di mischia capeggiato dagli Usa sarebbe ora si levassero voci critiche dei governi europei per chiedere di promuovere la fine delle ostilità, anziché la perentoria campagna per la sconfitta totale di Putin, che potrebbe durare anni» dichiara il generale Leonardo Tricarico, ex-capo di stato maggiore dell’aeronautica italiana (Il Fatto Quotidiano, 22 aprile). A quanto pare Biden ha già speso più di 4 miliardi in un anno per inviare armi all’Ucraina (di cui 600 milioni prima dell’inizio della guerra: vedi La Stampa del 22 maggio). 4 miliardi spesi sono 4 miliardi incassati da qualcuno, e più la guerra dura più questo qualcuno ne incasserà. Ci sono almeno 4 miliardi dollari (per ora) che sperano che la guerra non finisca presto. In realtà molti di più: la guerra in Ucraina ha contribuito, e molto, a far crescere le spese militari negli USA di circa 40 miliardi, e i padroni di questi miliardi sicuramente preferiscono che la guerra duri a lungo. Ogni cittadino ucraino ha in media procurato 1000 dollari di ricavi aggiuntivi a costoro: abbastanza per giustificare il sospetto che il nesso di causalità non vada solo dalla necessità di aiutare gli ucraini a una maggiore spesa militare, ma in grande se non in massima parte nel senso opposto. La necessità di aumentare le spese militari ha fatto sì che si propiziasse la massima durata della guerra in Ucraina. «Se il negoziato non c’è, perché gli Usa non lo vogliono, la guerra va a vanti chissà quanto. Ed è una cosa spaventosa» (gen. Marco Bertolini, ex comandante del Vertice interforze e della Brigata Folgore, Il Fatto Quotidiano, 22 aprile). L’evidenza che dimostra come gli USA vogliono una guerra lunga si accumula giorno dopo giorno: il 25 aprile il New York Times scrive che il segretario alla difesa, Lloyd J. Austin III, ha dichiarato: «Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto di non potere fare più le cose che ha fatto invadendo l’Ucraina», cosa che certamente richiede parecchio tempo (oltre che parecchi soldi intascati da qualcuno e molte vittime in più). Infine, sappiamo che la guerra “fino alla vittoria finale” avrà effetti deleteri, forse catastrofici, sull’Europa, e soprattutto sull’Italia (e forse la Germania). «In questi due mesi, Putin ha fatto scelte che non paiono sempre ponderate e ciò lo rende più pericoloso, specie se si sentirà con le spalle al muro» dichiara il generale Antonio Li Gobbi, ex direttore delle operazioni presso lo Stato maggiore della Nato (Il Fatto Quotidiano, 22 maggio). E forse non a caso nessuno dice quale dovrà essere questa vittoria finale. Inizialmente Zelenski aveva proposto neutralità dell’Ucraina e riconoscimento dell’autonomia del Donbass; se lo dicesse oggi metterebbe la NATO in imbarazzo. «Si può e si deve discutere sull’opportunità e sulla moralità per l’Occidente – l’impero americano – di combattere contro i russi fino all’ultimo ucraino. Ma almeno bisogna riconoscere a Kiev il diritto ‒ e il dovere ‒ di stabilire che cosa voglia», scrive Lucio Caracciolo (La Stampa, 23 aprile).

Occorre allora domandarsi perché l’Europa adotti questa politica, sia pure con qualche segno di insofferenza: credo che l’unica risposta possibile sia che il controllo degli USA sul nostro continente è molto maggiore di quanto pensavamo e speravamo. Washington ha ordinato e Bruxelles ha eseguito. Non so quale bastone e quale carota siano stati usati per convincere (per esempio) il primo ministro tedesco Scholz, che aveva cercato di ribellarsi, e forse preferisco non saperlo. Come scrive l’Economist (16 aprile), «quando l’America dice ad altri paesi “fate attenzione”, loro capiscono di cosa sta parlando».

2.

Quanto sopra solleva un’ulteriore questione, ed è di questa che qui mi occupo: perché ci sono in Italia così tanti natofili? Con questo termine definisco coloro che pensano che si debba continuare la guerra fino alla sconfitta di Putin, indipendentemente dalla sua durata, anziché cercare una soluzione di compromesso adesso. La pace comporterà inevitabilmente un compromesso, ed è ovvio che ben difficilmente le migliori condizioni che si otterranno allora compenseranno le vittime che si avranno nel frattempo. È certo anche che più a lungo durerà la guerra, maggiori saranno i danni che l’Italia subirà per quanto riguarda la sua indipendenza energetica e militare, vale a dire la sua indipendenza tout court. È difficile comprendere, perché qualcuno a sinistra possa pensarla così, anche perché ciò va contro quel che predica uno dei leader più amati dalla sinistra, cioè il Papa. «Non abituiamoci alla guerra», aveva esortato nella sua omelia pasquale. Eppure a volersi abituare ad essa  sono in molti anche a sinistra. Come mai? Escludo da ogni considerazione coloro che pensano che gli USA siano intervenuti per motivi ideali, per difesa della libertà come valore occidentale ecc. (più sotto argomenterò che l’ignoranza è spesso comprensibile e scusabile, ma oltre un certo limite l’ignoranza è imperdonabile). Spero, e credo, che siano in pochi a pensarla così. A parte costoro, penso che i natofili rientrino in cinque categorie, con possibili sovrapposizioni.

La prima è quella degli sciocchi (nel senso di persone che affermano cose contraddittorie o accettano assunti non validi), come coloro che dicono che Putin è un pazzo assassino armato di bombe atomiche, e quindi bisogna combattere fino alla vittoria o quelli che dicono che ci sono solo due alternative, essere agli ordini di Putin o a quelli di Biden (ma su ciò tornerò alla fine). Con sollievo constato che questa posizione è poco diffusa, a quanto posso giudicare, fra il popolo; con rammarico constato che è piuttosto comune fra i maitres à ne pas penser che scrivono sui giornaloni. «C’è un innamoramento della guerra, un incanto per la forza così diffuso che ci porta a disconoscere la Costituzione e l’umanità» scrive Enzo Bianchi. Mi pare che Repubblica subisca questo fascino assai più della casalinga di Voghera (almeno per ora: bisogna vedere quanto costei resisterà all’offensiva mediatica).

La seconda categoria è quella di coloro che pensano che una guerra di lunga durata sia condizione necessaria per ottenere la pace migliore possibile. L’idea di chi la pensa così non è confutabile: che dieci anni di guerra portino a una pace migliore per gli ucraini di quella che si potrebbe ottenere adesso se lo si volesse là dove si puote ciò che si vuole non può che essere un oggetto di fede, e pertanto non è confutabile. Se ne riparlerà forse fra dieci anni. Penso che chi la pensi così preferisca una pace giusta a una pace, quali che siano i costi che ciò comporta, per l’Ucraina e per l’Italia (e per altri). Fiat iustitia pereat mundus, se necessario. A me sembra una posizione sbagliata, ma è coerente. In questa categoria, quella delle posizioni errate ma coerenti, rientra anche chi crede in buona fede che bastino ancora poche settimane, ancora un piccolo sforzo, ancora pochi miliardi di dollari, ancora poche migliaia di armi e poche migliaia  di vittime perché l’Ucraina vinca la guerra, e che ne valga la pena. Questa idea era relativamente plausibile fino a qualche settimana fa, ora lo è assai meno. Chi lo pensasse in buona fede dovrà correggersi, mentre chi lo pensava per wishful thinking probabilmente non lo farà e come tale rientra nella prima o nella terza categoria. Infatti  le “poche settimane di guerra” iniziano ogni giorno. Nessuno riporterà in vita i  caduti di ieri. Se e quando (speriamo ovviamente di no) ci sarà stato un milione di morti ci sarà comunque chi penserà che ne bastano solo più diecimila per farla finita (e saranno sempre più numerosi coloro che penseranno che bisogna anche vendicare quel milione di morti, ma chi la pensa così rientra nella categoria di persone con cui è inutile pensare che si possa avere un dibattito sensato).

La terza categoria è quella degli ignoranti (non è vero che gli USA non vogliono trattative, possiamo benissimo fare a meno entro pochi mesi del gas russo ecc.). In questa categoria includo anche coloro, probabilmente piuttosto numerosi, che preferiscono essere ignoranti, per evitare informazioni che li obblighino a cambiare idea. Si tratta di un meccanismo psicologico noto e diffuso, certamente presente anche in questo ambito. Ovviamente la diffusione di questa ignoranza è molto favorita dal sistema dei media italiani (secondo Reporters sans frontières nel 2019 l’Italia era al 41esimo posto nel rango internazionale della libertà di stampa). Un’ignoranza più dignitosa, che caratterizza anche parecchie persone di cui ho molta stima, è quella di chi rifiuta a un certo punto di continuare a pensare. Putin è un imperialista sanguinario, bisogna fare qualcosa contro di lui, per motivi di principio e di fatto. Ma che cosa? Ammettere che è molto difficile trovare dei rimedi che non siano peggiori del male obbligherebbe ad accettare l’idea che probabilmente non esiste una soluzione giusta. E di fronte a un problema senza una soluzione accettabile l’atteggiamento che crea meno problemi è pensare che il problema possa essere ignorato o aggirato. L’idea che siamo condannati a essere sempre più coinvolti in una guerra in Europa che durerà anni, con l’inevitabile aumento del conflitto sociale e della barbarie culturale che sempre accompagna le guerre, e che l’unica soluzione sia un compromesso con un dittatore sanguinario è intollerabile. È meglio illudersi che una soluzione giusta ci sia, e fermarsi prima di doversi domandare quale è. Anche questo è un meccanismo psicologico noto e documentato. Alcuni pensano che tanto vale fare la guerra ora, perché Putin vuole arrivare a conquistare l’Europa, e quindi bisognerà in ogni caso combattere. Ma penso che siano più numerosi coloro che pensano in modo opposto: bisogna in ogni caso combattere, e quindi è giusto pensare che Putin voglia conquistare l’Europa.

Risalendo verso l’alto, abbiamo coloro che hanno da guadagnare dal prolungarsi dello stato di guerra e dalla piaggeria verso gli USA, per motivi politici (a quanto pare Letta vuole diventare segretario della NATO, ma se anche così non è, criticare gli USA gli causerebbe comunque non pochi problemi), o personali (molte carriere richiedono l’assenso di Bruxelles e probabilmente di Washington), o economici (molti affari non si possono fare se Washington è contrario: è di questi giorni la notizia che Stellantis ha sospeso la produzione in Russia, e certamente non per motivi ideali). Questo naturalmente spiega l’atteggiamento sciovinista del giornaloni e dei telegiornaloni.

Ma c’è un’ultima categoria: e cioè quella di coloro che pensano che l’Italia è già una colonia degli USA, e che questo stato di cose non può essere modificato. Se le cose stanno così allora la gara a chi è più servile ha senso: in un’Europa in cui l’esercito americano “proteggerà” le nostre frontiere e l’Europa dovrà comprare gas dagli USA e dall’Arabia Saudita sarà probabilmente conveniente essere i servi più servili, sperando nella bontà del padrone. Siamo obbligati a servirlo in una guerra decennale, quindi facciamo finta di essere lieti di ciò. Sarei molto contento, veramente molto contento, di sbagliarmi, ma temo che costoro abbiano degli argomenti molto validi a sostegno della loro posizione. Più sopra dicevo che chi dice «o saremo servi di Putin o saremo servi di Biden» è uno sciocco perché le alternative sono più di due. Forse in realtà lo è perché sono solo una, e quindi non ci sono alternative. Forse  la grottesca bellicosità di Draghi non dipende dalla sua inettitudine, o non solo da essa, ma in tutto o in parte anche dall’idea che ormai non ci sia più niente da fare. E temo molto, temo veramente molto che abbia ragione. Forse davvero non c’è più niente da fare. E forse coloro che si illudono che la soluzione giusta sia dietro l’angolo hanno ragione: non di pensarlo, ma di illudersi. Se non c’è più niente da fare,  “Meglio menzogna che riscalda il cuore, piuttosto che del vero il gran furore”. La guerra continuerà a lungo. Le principali basi nucleari degli USA in Europa sono in Italia, è difficile pensare che gli USA ci lascino fare quello che vogliamo. Allora è meglio pensare di essere nel giusto o non pensare affatto, almeno si evita lo stress. È un atteggiamento profondamente umano e comprensibile per la Casalinga di Voghera e per suo marito, l’Uomo della Strada. È un atteggiamento disonesto per chi ritiene di essere un intellettuale di sinistra.

GUIDO ORTONA

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Fonte: https://volerelaluna.it/politica/2022/05/03/perche-litalia-e-cosi-subalterna-a-nato-e-stati-uniti/

Foto: Rete

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