MAGNA GRECIA: i segni del prestigio

METAPONTO – Tempio di Hera (Ricostruzione)

II VI secolo è anche la soglia di visibilità di altre cospicue e talora spettacolari espressioni di coscienza e affermazione comunitaria.

Prima di tutto occorre ricordare l’avvio dei grandi cantieri templari, che a partire circa dall’inizio del secondo quarto del secolo danno ai santuari delle principali divinità l’aspetto grandioso e monumentale destinato a perpetuarsi nell’immaginario culturale e turistico dei moderni. La monumentalizzazione consiste nel riedificare la casa del dio con pregiati e costosi materiali lapidei, facendo ricorso ad architetti professionisti e a maestranze specializzate: anche se è possibile il concorso finanziario di cospicue famiglie dell’aristocrazia, la costruzione di un tempio di maggiori dimensioni rappresenta essenzialmente una voce di spesa pubblica, tramite cui si manifestano nel modo più eclatante la potenza e la capacità economica della polis. In realtà la fase costruttiva che assialmente interessa verso il 580-570 buona parte delle città italiote è solo l’inizio di una lunga vicenda edilizia, che vedrà ancora nello stesso VI secolo e poi nel V (anzitutto nella prima metà) ulteriori ricostruzioni o ammodernamenti. Le divinità onorate sono soprattutto Era, oggetto di un culto particolarmente intenso, Apollo, Atena, Zeus; ma pure Artemide, Eracle, i Dioscuri sono talvolta destinatari di splendidi templi.

Del tutto parallelo è quanto avviene nelle campagne: qui vengono spesso monumentalizzati in pietra non soltanto i santuari a immediato ridosso delle mura (quando esse esistano) o del circuito cittadino, ma soprattutto quelli posti ai margini del territorio più pianeggiante e più facilmente coltivabile, spesso in zone o punti della chora che fungono da luogo di incontro e di snodo della viabilità che collega l’abitato principale al cuore dei terreni arabili o alla periferia collinare e montuosa. Un famoso ancorché mai ritrovato «santuario di Era nella pianura», come recita un’epigrafe iscritta su un’ascia votiva con dedica a Eracle rinvenuta nell’entroterra di Sibari doveva rispondere a tali caratteristiche. Del resto tutta una miriade di piccoli santuari rurali, dalle forme architettoniche rudimentali oppure a cielo aperto, legati spesso al culto degli elementi naturali, specie delle acque termali e delle sorgenti, innerva il paesaggio agrario o boschivo delle chòrai coloniali; e qui, come pure talora nei santuari maggiori, si rende finalmente palese, nelle tracce archeologiche della devozione, la presenza anellenica, che dà a simili sacelli una fondamentale valenza di fattore di interazione e integrazione, almeno sul piano religioso, fra coloni greci e ‘paesani’ indigeni.

Un ruolo di speciale rilievo spetta infine ai santuari cosiddetti «di frontiera», destinati a marcare all’insegna del sacro i confini attuali del territorio (o quelli che erano stati tali nel secolo precedente, sul fronte di attestazione dei primi avanzamenti); molti di questi santuari rimangono di dimensioni e strutture materiali modeste, ma altri si trasformano in superbi edifici e si contano oggi tra i più celebri templi dell’Occidente greco: per Metaponto le Tavole Palatine, tempio di Era sulle rive del Bradano (probabile confine con Taranto), per Poseidonia il tempio di Era alle foci del Sele (sicuro confine con gli Etruschi), per Crotone il tempio di Era al Capo Lacinio, ora Capo Colonna (forse sulla linea confinaria meridionale del più antico insediamento acheo, poi rapidamente sorpassata; comunque in un punto di riferimento chiave per la navigazione).

Un altro aspetto strettamente connesso alla maturazione di una sempre maggiore autocoscienza civica è l’avvio della monetazione in argento, che coinvolge quasi tutte le pòleis italiote a partire dalla metà circa del VI secolo. Va detto che pesanti incertezze gravano sulla cronologia assoluta e relativa delle rispettive emissioni, ragion per cui non è neppure consentito di affermare con sicurezza quale sia stata la prima città a battere moneta: ci si deve limitare a constatare che le colonie achee di prima generazione, Sibari, Crotone e Metaponto, paiono le iniziatrici del processo, con oscillazioni notevoli sulle date proposte per tali esordi, dal 550 al 530, e che Siri scompare prima di aver mai coniato; altre pòleis, come Taranto e ancor più Cuma, tardano parecchio a emettere le loro prime serie (Cuma lo farà solo all’avvento del V secolo); Locri conierà soltanto a partire dal IV secolo. Le monete coniate (probabilmente le più belle di tutto il mondo greco arcaico) sono nella stragrande maggioranza di grosso taglio, corrispondono cioè a valori non spendibili nella quotidianità corrente.

Moneta di fine V sec. a.C.

Ciò ripropone per la Magna Grecia il problema generale già tanto dibattuto per la Grecia metropolitana, circa le origini e le originarie funzioni o scopi dell’invenzione della moneta argentea. La motivazione commerciale sembra esclusa come primo movente, ma poiché il nuovo strumento si propone come misura del valore di beni e prodotti, in quanto tale non può aver tardato a entrare nelle transazioni mercantili di più alto livello e impegno, quanto a merci trattate e soggetti protagonisti. D’altra parte, in quanto emanazione della polis, la moneta deve essere valsa a pagare lavori e servizi resi alla comunità (lavori edilizi, ad esempio, come quelli templari); e, di ritorno, la moneta deve aver funzionato come mezzo per pagare alla comunità medesima tributi, dazi, concessioni, affitti e diritti, insomma le prime embrionali forme di fiscalità.

Ciò che conta agli inizi e nei successivi e decisivi anni di sperimentazione è dunque un doppio aspetto strutturale di cui non può sfuggire l’importanza epocale nella storia del progressivo emergere di una natura e di una concezione pubblica della polis: con la moneta, in primo luogo, questa materializza la propria ricchezza (rendendola tangibile, contabile, divisibile), il che è sintomo chiarissimo dell’avvenuto costituirsi e consolidarsi di un tesoro pubblico, ma è soprattutto il segno di un’accresciuta complessità dello stato, che allarga e diversifica la sua sfera di competenza e di azione, trovando nuovi campi e occasioni di intervento tali da comportare la necessità di pagare ed essere pagato; in secondo luogo la polis mette in circolazione la moneta all’interno della propria stessa compagine civica, inducendovi così irreversibili fenomeni di scambio e reciprocità sociale ed economica, e fornendo altresì ai propri cittadini uno strumento di relazione anche con l’esterno. Nella duplice e reversibile modalità di tesaurizzazione e circolazione la moneta assume così un significato rilevantissimo quale nuovo momento e modo di esplicazione della lunga alternanza e concorrenza di accumulazione e redistribuzione che è alle origini stesse del fenomeno cittadino nell’evo antico.

Da “LA MAGNA GRECIA”, di L. Braccesi e F. Raiola  –  Il Mulino

Foto: Rete

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