Il sacro nella cultura ebraica

Caravaggio “Il sacrificio di Isacco” – Firenze

Trasferita all’esterno e lì mantenuta come minaccia sempre incombente, la violenza agisce da phàrmakon per la comunità che la teme. Phàrmakon è parola greca che significa a un tempo veleno e rimedio. Velenosa quando circola nella comunità degli uomini, la violenza dell’indifferenziato diventa benefica quando è espulsa, attraverso quei riti sacrificali che assomigliano così da vicino alle proibizioni che interdicono.

Un esempio di questa somiglianza o, se preferiamo di questa sotterranea parentela, ce lo offre il racconto biblico di Abramo, il primo patriarca riconosciuto da tutte e tre le religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islamismo.

Abramo un giorno si sente chiedere da Dio, come prova della sua fedeltà, il sacrificio del suo unico figlio. Fedele al comando divino:

Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: “Padre mio!”. Abramo rispose: “Eccomi figlio”. E Isacco: “C’è qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”. Abramo rispose: “Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!”. (Genesi, 22, 6-8)

L’agnello, come tutti sanno, era il figlio che Abramo doveva uccidere per comando di Dio. Dio dunque è al di là del comandamento  “Non uccidere”. Il bene e il male qui si confondono e si mescolano, come sempre avviene nel sacro che mal si concilia con la ragione e la morale dell’uomo.

L’impossibilità di omologare il giudizio di Dio con il giudizio dell’uomo, la con-fusione (syn-bàllein) che regna nel sacro tra il bene e il male e la distinzione (dia-bàllein) tra il bene e il male che gli uomini instaurano per orientare le loro condotte nel mondo trova conferma nel libro di Giobbe. Qui la risposta che Dio da all’uomo “giusto” che chiede ragione delle sue pene sopprime la domanda, come se il solo domandare fosse un atto di empietà che ignora l’incommensurabilità che esiste tra l’uomo che “chiede ragione” e Dio che è “al di là di tutte le ragioni”. A questo proposito la risposta di Dio non lascia dubbi:

Dov’eri tu quando io mettevo le basi alla terra? Dimmelo, se hai tanta scienza. Chi ne fissò le misure, se lo sai, o chi distese il regolo sopra di essa? Su che cosa furono poggiate le sue basi e chi pose la sua pietra angolare, mentre gioivano gli astri del mattino e giubilavano tutti i figli di Dio? Chi rinchiuse con due porte il mare, quando eruppe nascendo dal seno materno? Quando io feci delle nubi le sue vesti e della caligine le sue fasce? Quando gli determinai un confine e gli misi attorno sbarre e porte? […] Sei disceso alle sorgenti del mare, hai visto le porte dell’ombra di morte? Hai compreso la vastità della terra? Dillo, se sai tutto ciò! (Giobbe, 38, 4-18)

Dunque non c’è commensurabilità tra la ragione umana che chiede conto del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, e le disposizioni del sacro che non possono essere interrogate e chiamate a render ragione. Quindi anche l’uomo “giusto”, anche l’uomo che si attiene ai comandamenti, quando entra in collisione con il sacro non ha più orientamento e tantomeno sicurezza.

E questo perché dal luogo dove l’uomo con la sua ragione ha stabilito le differenze per orientarsi nel mondo non è possibile parlare con l‘indifferenziato, e perciò l’uomo patisce la violenza dell’imperscrutabilità del sacro che, con la sua indicibilità, lo abita con una violenza simile a quella patita da Mosè quando “l’Eterno gli parlò faccia a faccia” per dirgli:

Tu non potrai vedere la mia faccia, perché l’uomo non può vedermi e sopravvivere. Ti sdraierai sulla roccia. Quando passerà la mia gloria, io ti metterò in una cavità della roccia e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. E quando io ritirerò la mano, tu mi vedrai da dietro, ma la mia faccia non potrà essere vista. (Esodo, 33, 20-23)

Se il linguaggio è la possibilità del faccia a faccia, con Dio non c’è linguaggio, se non dopo che lui ha voltato le spalle e ha ritirato la mano; allora Mosè lo potrà vedere, ma da dietro, quando Dio se n’è andato, quando il distacco, la differenza, il dia-bàllein è avvenuto. Dia-bàllein qui non significa che l’uno è giorno e l’altro è notte, l’uno luce e l’altro tenebre. Queste distinzioni sono dell’uomo, nel duplice senso del genitivo: costituite dall’uomo e costituenti l’uomo. La notte del sacro è una notte inimmaginabile che non è neppure il contrario del giorno, perché è notte e giorno, luce e tenebre. È una notte senza volto, a cui si potrebbe applicare l’espressione di Jabès: “Tutti i volti sono il Suo, e questa è la ragione per cui Egli non ha volto”.

Benché il nome di Dio venga spesso pronunciato, resta il divieto biblico di nominarlo per impossibilità discorsiva, a meno di non fare del discorso con Dio un discorso in Dio come nella partecipazione mistica, o un discorso su Dio come nella produzione teologica. L’esser noi fatti a somiglianza di Dio non si lascia intendere in termini di conoscenza ma, se mai il linguaggio ci concede ancora una parola, in termini di traccia. Noi siamo nella traccia di Dio, in quella traccia che Dio lascia di sé andandosene. A questo punto, nominare Dio è il modo migliore per cancellarne la traccia, per abolirne la presenza. Di Dio o su Dio non si parla, ma, seguendo la traccia, a Dio si può risalire.

Non certo con gli strumenti della ragione, perché la ragione nasce dall’emancipazione da Dio, là dove ci si congeda dallo sfondo simbolico per entrare in quel regime disgiuntivo che, regolato dal principio di non contraddizione, più non concede a Dio di essere a un tempo il giorno e la notte, la luce e le tenebre, uomo e, per l’appunto, Dio.

Occorre allora congedarsi dalla ragione ed entrare nella storia che, per quanto percorsa dalla ragione, del tutto razionale non è. Qui ciò che si incontra non è Dio, ma l’idea di Dio che, là dove c’è, fa mondo. Ed è questa idea ciò a cui Nietzsche pensa quando, […]proclama la morte di Dio.

 

UMBERTO GALIMBERTI

Da “Cristianesimo”, di U. Galimberti  –  Feltrinelli

Foto: Rete

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