MONDO GRECO – I pasti come una festa

“Tomba del tuffatore”, Paestum

I pasti che rappresentavano occasione di intrattenimento si facevano nell’andron, e in questo caso le donne vi erano ammesse solo nel caso in cui si trattasse di festa familiare, come poteva accadere in un pranzo di nozze. Anche in questi casi, però, donne e ragazzi non dovevano giacere sulle klinai, i letti da convito, ma potevano prender parte alla festa soltanto sedendo su seggiole o sgabelli. In genere, nella vita della Grecia classica, la festa che si celebrava nell’andron, sia per un’occasione speciale sia per stare solo tra amici, non era considerata conveniente per le donne.

Nella vita sociale greca le riunioni festose per mangiare e per bere rappresentavano l’eccezione, mentre la normale vita si svolgeva nell’ambito della famiglia, e a tavola si stava con mogli e figli. È comprensibile che le nostre fonti ci parlino assai più di feste e di banchetti che non della comune vita quotidiana, tuttavia bisogna guardarsi dal supporre, per questo, che gli uomini non facessero che scialare e banchettare, chiudendo le donne nel gineceo. I pasti e le successive riunioni per bere (simposi) erano tuttavia le massime occasioni di vita mondana e di svago.

I banchetti potevano essere su invito (eilapine) o a contributo individuale in denaro o in natura (eranos); erano sempre fatti, nel primo caso, in casa dell’invitante, mentre nel secondo caso la stanza da pranzo poteva venire offerta da un‘etera. Al pranzo di particolare larghezza era ammesso che in qualche caso ci si facesse accompagnare da un amico non invitato, come, trattandosi di feste fra uomini scapoli o ammogliati in cerca di distrazioni illegittime, si intendeva potessero partecipare donne di poca o nulla reputazione, cioè suonatrici o danzatrici, o anche etere.

Esisteva una specie di galateo, per cui si doveva raggiungere il luogo del pranzo con le calzature per non insudiciarsi troppo i piedi, e si doveva avere più cura del solito per la propria persona. Giunti nell’andron della casa, i sandali dovevano essere tolti e uno schiavo lavava i piedi degli ospiti prima che salissero sui letti, sui quali si giaceva appoggiati su un gomito, in modo da avere almeno un braccio, il destro, libero. Esistevano, del resto, letti da pranzo con spalliera, altrimenti i convitati si appoggiavano a grandi cuscini: come s’è già visto, i letti da pranzo erano collocati su una specie di largo scalino che correva tutto attorno alle pareti, e davanti a ogni letto era posto un piccolo tavolino, sul quale venivano collocate le vivande e la tazza (kulix) per bere. I letti potevano essere anche per due persone, le quali si disponevano non parallele né alla stessa altezza, per poter accedere al tavolo delle portate senza darsi reciproco disturbo, ma in modo da essere ambedue alla stessa distanza dal piano del tavolino. I letti erano disposti attorno alle pareti, con la sola interruzione della porta o delle porte. I posti pertanto cominciavano a essere assegnati dalla sinistra della porta, e il posto immediatamente successivo alla porta era quello del padrone di casa, il quale così poteva sorvegliare o assaggiare le portate che venivano dalla cucina. I posti d’onore erano quindi quelli del letto stesso del padrone di casa e quelli del letto successivo al suo; poi tutti gli altri ospiti si disponevano da sinistra a destra, cosicché, il posto meno di riguardo era quello del letto che si trovava a destra dell’ingresso, opposto al letto del padrone di casa.

“Tomba del tuffatore”, Paestum

Entrando nell’andron e prendendo posto sui letti era conveniente distendersi con movimenti agili e sorvegliati, e poi, appena preso posto, era di buon gusto il non precipitarsi subito a mangiare. I servi anzitutto passavano recipienti d’acqua per rinfrescarsi le mani, e poi conveniva attendere guardando la casa e le suppellettili e lodando l’arredo, mentre pietanze, intingoli, pane e focacce venivano distribuiti sulle tavole e si portavano le oinocoe del vino e le idrie dell’acqua calda o fredda, per fare nei crateri la miscela abituale, a proporzioni variabili secondo la qualità dei vini e la temperanza dei convitati. Il vino non era bevanda abituale durante i pasti, neppure miscelato: si preferiva mangiare bevendo acqua, riservando il vino alla fine delle mense. Il pasto finiva, come s’è visto, con panini, qualche piatto di forte sapore come la carne di lepre, formaggio e frutta secca, tutte cose atte a suscitare la sete e preparare al simposio.

Il simposio, più che la cena, era la vera festività, e i cibi, per raffinati, curati e scelti che fossero, in realtà non servivano che a preparare lo stomaco, placando l’appetito e rafforzando l’organismo, alla bevuta, la quale, a sua volta, doveva rendere più aperta e cordiale la mente, più pronta la parola, vincendo la timidezza e incoraggiando la fantasia e l’intelligenza. Il vino, oltre che essere servito caldo o freddo, o essere profumato e aromatizzato sin dalla sua origine, poteva essere mescolato con miele. Il simposio era una festa che aveva le sue regole festose, quando si trattava di una riunione di amici in vena di far chiasso e fors’anche quando era una festa di cerimonia. In questi casi si sceglieva, per lo più a sorte, il re o arconte del simposio, cui spettava il compito di regolare il servizio del vino, fissando la proporzione della miscela nel cratere e la quantità da bersi dai convitati a ogni servizio, soprattutto quando la presenza di donne doveva dare alla riunione un carattere licenzioso fin dalle originarie intenzioni degli organizzatori.

Però si deve tener presente il fatto che il vero scopo del convito e del simposio era quello di dare occasione a una serena e distesa conversazione. Flautista e danzatrice non sempre venivano assoldati per motivi erotici, e anche meno si organizzavano festini presso etere o con la compagnia loro: musica e danza erano intesi come mezzi per creare una maggiore cordialità nell’ambiente, per elevare gli spiriti, per concorrere con il vino alla più facile evasione dalla timidezza o da preoccupazioni contingenti, per dare ali e respiro agli spiriti e quindi alla conversazione. Accanto alle riunioni dei giovani ricchi e goderecci, nelle puritane e conformiste città democratiche vi erano quelle del tipo cui partecipava Socrate: non solo per dare incremento al meretricio, anche se i comitati non sarebbero rientrati a casa che dopo il canto del gallo mattutino. In realtà, da Aristofane, Senofonte e Piatone, sino a Luciano, molto si è scritto attorno ai conviti greci, ma ogni descrizione dell’unica forma di vita e festività mondana ne sottolinea, per necessità di cose, un solo aspetto: appunto perché non si concepivano altre riunioni e occasioni di celebrazioni e di incontri che le cene e simposi relativi, come, del resto doveva essere, pensando che il vino era l’unica bevanda usata da tutti, anche se, per la qualità, non era eguale per tutti.

 

Fonte: “La Storia 2”  –  La Biblioteca di Repubblica

Foto: Rete

 

 

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