Nello stesso periodo, ai mali che imperversavano in terra corrisposero in ciclo segnali enigmatici, inquietanti, a volte terrificanti, che dovevano evidentemente annunciare comunque qualcosa.
Nel 984, il 20 giugno, il duca di Baviera, soprannominato «l’Attaccabrighe», raggiunge a Rohr, un villaggio della Turingia, le imperatrici Adelaide e Teofano, rispettivamente nonna e madre del giovane Ottone III, di cui si è arrogato la custodia. Obiettivo dell’incontro è discutere la restituzione del giovane principe, ma Enrico è piuttosto maldisposto. All’improvviso, in pieno mezzogiorno, brilla in cielo una sorta di cometa bianchissima, che si sposta lentamente. Istantaneamente il problema è risolto: Ottone si getta tra le braccia della madre senza che Enrico osi muovere un dito.
Il 21 ottobre del 990 c’era un’eclissi di sole: il 15 giugno successivo moriva Teofano. Nel febbraio del 998 si scorse in Germania «un corpo celeste, brillante e rosso, vagante nella notte, che esplose improvvisamente e precipitò a terra, mentre la luna si tingeva di un rosso sangue ». In un anno non meglio determinato del regno di Roberto il Pio, prima però della morte di Abbone, abate di Fleury-sur-Loire (quindi tra il 988 e il 1004), una luminosissima cometa illumina il ciclo di notte, scomparendo soltanto «al cantar del gallo», durante i tre mesi autunnali.
« Ogni volta » dice Rodolfo « che gli uomini vedono prodursi nel mondo un prodigio di tal sorta, poco dopo si abbatte clamorosamente su di loro qualcosa di sorprendente e di terribile.»
Infatti, Abbone muore entro breve di morte violenta, un incendio distrugge la chiesa del monte Saint-Michel, e l’Ardre, un fiumiciattolo costiero dei paraggi, straripa. Enrico I, duca di Borgogna, muore nell’ottobre del 1002: nel dicembre, il sabato sera prima di Natale, si scorge nell’aere « la parvenza, o forse il corpo stesso, di un enorme drago, che usciva dalle regioni meridionali e conquistava il Mezzogiorno, scagliando fasci di fulmini». Era un indubbio presagio della lunga guerra che Roberto il Pio avrebbe intrapreso per sottomettere il ducato rimasto privo di erede.
Sembra che nello stesso periodo, all’incirca, Ademaro di Chabannes, all’epoca giovane monaco del monastero di Saint-Martial d’Angouléme, avesse notato «numerose eclissi di sole e di luna ». Una decina di anni dopo, trovandosi a Saint-Cybard d’Angouléme, vede, come tutti, « una cometa dalla forma di spada, poco più larga e più lunga », che compare «verso settentrione durante diverse notti d’estate »; immediatamente, in Gallia e in Italia compaiono incendi, che distruggono la cittadina di Charroux, la chiesa di Sainte-Croix d’Orléans e una quantità di castelli. Il 24 gennaio del 1023 un’eclissi di sole — perfettamente omologata dai moderni astrologhi — è preceduta o seguita, secondo lui, da frequenti turbamenti della luna, che diventa «ora color sangue, ora azzurro cupo» e, a volte, scompare completamente. Per tutto l’autunno precedente o successivo si scontrano nel segno del Ieone due stelle, una grande proveniente dall’Oriente, un’altra piccola che viene dall’altro capo del ciclo, le si precipita contro, ma improvvisamente scappa, respinta dalla «criniera di raggi » dell’avversaria: dopo poco muoiono il papa Bonifacio VIII, l’imperatore d’Oriente Basilio il Giovane, l’arcivescovo di Colonia. Meglio ancora, nel 1024, il neoeletto imperatore tedesco, Corrado di Franconia, cattura e imprigiona il nipote e rivale, Corrado il Giovane. « Sono questi » scrive naturalmente Ademaro « eventi che avevano avuto il loro annuncio negli astri, grazie al segnale della grande e della piccola stella.»
II 2 marzo del 1031 una cometa annuncia ai monaci di Saint-Benoìt-sur-Loire le devastazioni delle cavallette e le disastrose intemperie di cui abbiamo detto. All’eclissi di luna dello stesso anno ricollegano invece la morte di Roberto il Pio. Due anni dopo — quindi in quel 1033 che vede placarsi la furia degli elementi — l’eclissi solare del venerdì 29 giugno si limita solo a spaventare la gente. Rodolfo, a Cluny, l’ha osservata e trovata « davvero terribile ». Il sole diventa di un azzurro color zaffiro e « reca nella parte superiore l’immagine della luna al suo primo quarto »; un « vapore color zafferano » inonda ogni cosa. Il nostro monaco, che scrive a una quindicina di anni di distanza, vi scorge il presagio della rivolta dei romani contro il pontefice Benedetto IX: confonde l’eclissi del 1033 con quella del 22 novembre del 1044, anno in cui avvenne quella tragedia pontificia. Egli osserverà, del resto, quel recente fenomeno celeste e un altro segno più inquietante che gli riferirà quasi nello stesso periodo Guido, arcivescovo di Reims: la gente della sua cerchia aveva scorto una sera « la stella Bosforo, detta anche Lucifero, oscillare dall’alto in basso, per minacciare gli abitanti della terra ». Subito dopo il vino aveva cominciato a scarseggiare, al pari di altre derrate. Ma Rodolfo non ha dimenticato neanche l’eclissi solare del 22 agosto del 1039, seguita a distanza ravvicinata dalla morte dell’imperatore Corrado e, poco dopo, checché egli ne dica, da quella di Guglielmo VI, conte di Poitiers. L’ultimo fenomeno astronomico da lui riferito è l’eclissi lunare dell’8 novembre del 1046. Essa — dice — fece « tremare parecchio la gente ». L’astro fu quasi interamente ricoperto « da un sinistro velo di sangue ». Lo stesso mese, un aerolito precipitò sulla città fortificata di Saint-Florentin, ai confini dell’Armancon: i raccolti delle prime seminagioni del mese d’agosto, che normalmente avvengono in ottobre, maturarono solamente allora, il che sbalordì tutti.
Una forma di parossismo
La cosa che va notata non è la frequenza di tutti questi fenomeni celesti; evidentemente allora non si sono verificate più eclissi solari o lunari di qualsiasi altro periodo e altrettanto, probabilmente, vale per le comete e gli aeroliti. La cosa notevole è l’attenzione pavida e il significato attribuiti loro dalla gente. È anche l’immaginazione a esagerarne le dimensioni, a scorgervi talvolta oggetti riconoscibili — spada, drago — e sempre, naturalmente, terrificanti: effetti della paura in cui le sciagure dell’epoca facevano vivere la gente, in fondo incapace di accettare al riguardo spiegazioni di ordine razionale.
Le scienze[…] erano ancora ben lungi dal riuscire a fornire una spiegazione dei fenomeni naturali. Non sospettando l’esistenza di regole economiche, non ci si accorgeva che le disgrazie alimentari e di altro genere derivavano in larga misura dalle debolezze — peraltro insormontabili — del livello di organizzazione sociale e dalla povertà delle acquisizioni tecniche. Alcuni — di gran lunga i più numerosi — ancora in preda a superstizioni primitive, subivano senza capire quanto ritenevano capriccio di forze misteriose. Altri — i chierici — inclini per professione a ricondurre ogni cosa alla volontà divina, presupponevano l’esistenza di una qualche logica: Dio puniva gli uomini per i loro peccati.
Sono stati — come sostiene Rodolfo dopo avere condannato in parecchie delle sue pagine i « prelati che si arricchiscono con mezzi vergognosi » — « il raffreddarsi della carità», « il ridondare dell’iniquità nel cuore degli uomini smisuratamente pieni di sé, a provocare l’inconsueta frequenza delle disgrazie », intorno all’anno mille e dopo, «in ogni parte del mondo». La grande carestia degli anni 1030-1032 è da lui definita «una sterilità vindice». Se gli sforzi delle persone di buona volontà per venire in soccorso alle vittime sortiscono risultati soltanto irrisori, il fatto è che «troppi sono i crimini che restano da vendicare». E via a indignarsi per il fatto che « sotto tanti misteriosi flagelli della vendetta divina» non si sia trovato nessuno, o quasi, che riconoscesse le proprie colpe e chiamasse in soccorso Dio. Diventava di attualità la predizione di Isaia: « II popolo non si è rivolto verso colui che lo colpiva ». Osservazione — si badi — del tutto incompatibile con l’idea che ci si fa solitamente delle « paure dell’anno mille ».
Facendo la somma di tutte le calamità e i fantasmi da esse suscitati nelle immaginazioni della gente non si può evitare la sensazione che le tre o quattro generazioni che debbono avere conosciuto l’anno mille siano vissute in un clima di parossismo. Né prima né dopo — perlomeno fino alla grande peste nera del XIV secolo e alle sciagure della guerra dei Cento Anni — si ritrova una concentrazione analoga di miserie e spaventi.
Ma per quanto frequenti fossero, disastri e prodigi spaventosi non erano ininterrotti. Basta averli enumerati per rendersene conto. I decenni che inquadrano il millennio hanno conosciuto periodi relativamente clementi, durante i quali si conduceva una normale vita quotidiana. […]
EDMOND POGNON
Da “La vita quotidiana nell’anno mille” – di E. Pognon – Fabbri Editore
Foto: Rete