MEDIOEVO – La donna come pegno di pace

 

Verso il secolo XI, lo schema tripartito che domina le concezioni della società cristiana non accorda nessun posto specifico alle donne. Gerarchizza «ordini» o «condizioni» — cavalieri, chierici, contadini — ma questa piramide, in cui coloro che pregano e quelli che combattono o amministrano la giustizia gareggiano per la conquista del primo posto, non prevede una «condizione femminile».

Tuttavia gli uomini del Medioevo a lungo hanno concepito «la donna» come una categoria; ma solo tardi hanno fatto intervenire distinzioni sociali e attività professionali per conferire delle sfumature ai modelli di comportamento che le proponevano. Prima di essere contadina, castellana o santa, «la donna» è stata caratterizzata in base al suo corpo, al suo sesso, alle sue relazioni coi gruppi familiari. Che si tratti di spose, di vedove o di vergini, la personalità giuridica e l’etica quotidiana è stata tratteggiata nel rapporto con un uomo o con un gruppo di uomini. […]

Nel Medioevo il rapporto d’alleanza matrimoniale ha, alla sua origine, una «pace».

Al termine di un processo di rivalità, talvolta di guerra aperta, tra famiglie, instaura e sigilla la pace. Dare una donna al lignaggio con cui ci si riconcilia pone la sposa al centro dell’intesa. A questo pegno e strumento di concordia si assegna un ruolo che oltrepassa il suo destino individuale e le sue aspirazioni personali.

Mantenere l’alleanza fra i due gruppi evitando qualunque comportamento reprensibile, operare alla perpetuazione del lignaggio in cui entra procreando per esso, assicurargli fedelmente l’uso del suo corpo e dei beni che gli porta: ecco ciò che si impone a lei con una forza forse maggiore dei doveri verso il marito. Ci vorrà una lenta maturazione della riflessione, nata negli ambienti ecclesiastici, sui fondamenti dell’unione coniugale, ci vorrà anche il sopraggiungere di sconvolgimenti economici e sociali molto profondi perché, in seno a questa rete di costrizioni, compaia l’immagine della coppia e perché, in seno alla coppia, si precisi la figura della «buona moglie ».

Abbondano gli esempi di matrimoni che, utilizzando le donne, instaurano o restaurano dei legami d’amicizia fra due lignaggi. I primi a ricercare simili unioni sono certamente i capi stessi della cristianità: un re di Francia, Enrico I, nel secolo XI, va a cercarsi una sposa nel lontano principato di Kiev, in Russia. G. Duby ha mostrato, a un livello sociale un po’ più basso, tutte le propaggini diplomatiche di una tale concezione della parentela acquisita negli scambi di donne che le dinastie feudali dei secoli XI e XII hanno largamente praticato secondo le loro ambizioni territoriali e le loro preoccupazioni politiche.

A un grado ancora più basso della gerarchia sociale, negli ambienti patrizi cittadini dei secoli XIII-XV, vecchi odi, interminabili vendette, si concludono allo stesso modo con uno scambio spettacolare di donne, mentre, simmetricamente, guerre, private o no, divampano talvolta quando un’unione fallisce. A Firenze, verso il 1300, la parte bianca si coagula attorno all’unione conclusa nel 1288 fra un Cerchi e una Adimari, unione che pone fine a una vecchia inimicizia, mentre il disaccordo del capo dei Neri con la prima moglie, per l’appunto una Cerchi, e poi il suo secondo matrimonio con una cugina, ricca ereditiera presa nel partito opposto, riaccendono le passioni e la guerra civile. Qualche anno dopo, nel 1312, un altro Fiorentino, Ciotto Peruzzi, riporta nel suo Libro segreto la parte con cui ciascun membro del suo lignaggio deve contribuire al pagamento dell’enorme dote che sua figlia porterà agli Adimari, famiglia nemica con cui i Peruzzi hanno da poco concluso una pace solenne, « con asembiamento d’amici del’una parte e del’altra i’ su la piaza de’ priori ». Anche qui, spostata sulla scacchiera di famiglia, la donna garantisce il rispetto dell’accordo; è il simbolo stesso della pace, questa grande aspirazione medievale.

Abbondantemente descritte dalle cronache e dal materiale documentario, le strategie matrimoniali sono di rado materia della formulazione di teorie, al di fuori di una letteratura ispirata da chierici o dovuta alla loro penna. Questa deriva largamente dalle affermazioni di sant’Agostino, che assimila l’obbligo di sposare persone con cui non si hanno legami di parentela, ossia l’ingiunzione di esogamia, alla necessità di garantire il vincolo sociale, di fondare la coesione della società sulla «carità » e l’amore che due persone unite in matrimonio si devono a vicenda; le solidarietà del sangue, al contrario, rischiano di mettere gli uni contro gli altri gruppi familiari troppo chiusi in se stessi.

Questa prospettiva non contrasta con le pratiche familiari che osserviamo quando esse rispondono a una preoccupazione di pace e di equilibrio sociale. La Chiesa tuttavia vi ricorre per giustificare le sue prescrizioni costantemente ribadite tra il secolo VI e l’inizio del XIII, vietando il matrimonio tra persone imparentate. Con questo si fa beffe di uno dei più pressanti obblighi di lignaggio: conservare ai discendenti il patrimonio ricevuto dagli avi. I laici sono pronti a dimenticare i legami di parentela già esistenti per unire in matrimonio i loro figli, se la fortuna familiare lo esige, anche quando gli uomini di chiesa dichiarano incestuosa l’unione progettata.

L’aspirazione alla pace e il suo corollario, l’obbligo di scambiare delle donne, non hanno dunque le stesse implicazioni per gli uomini di chiesa e per la società laica. Per i primi, essi escludono qualunque matrimonio tra parenti troppo vicini, mentre per la seconda possono al contrario rappresentare un incoraggiamento.

Il conflitto tra i due atteggiamenti scoppia a proposito dei matrimoni reali e principeschi, alla fine del secolo XI. Con l’andare del tempo la Chiesa mitigherà le sue esigenze; nel 1215 il IV Concilio Laterano porta il divieto esogatnico dal settimo grado di parentela al quarto: si potrà ormai sposare la discendente di un quadrisavolo comune. In compenso il più umile cristiano non potrà più fingere d’ignorare i suoi rapporti di parentela: la Chiesa mette in opera un mezzo per rafforzare il suo controllo sul carattere lecito dell’unione istituendo le pubblicazioni di matrimonio da farsi in precedenza per esser sicuri che l’«incesto» non aspetti al varco dei fidanzati poco informati.

 

CHRISTIANE KLAPISCH-ZUBER

Da “L’uomo medioevale” a cura di Le Goff – Economica Laterza

Foto: Rete

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