Breve profilo storiografico e sulla pittura bizantina in Calabria

Achiropita di Rossano

Negli anni di maggiore attività di uno dei pionieri della storiografia artistica calabrese, Biagio Cappelli, grossomodo i decenni dal 1930 al 1970, la pittura murale medievale in Calabria constava di pochi casi noti (l’Achiropita della cattedrale di Rossano, l’abside della chiesa di Sotterra a Paola), alcuni dei quali emersi nel corso dei primi interventi di restauro condotti dagli enti di tutela dello Stato italiano. Il primo protagonista di questa stagione è Paolo Orsi, che fece parzialmente de-scialbare nel decennio della Grande Guerra le pitture della Cattolica di Stilo e della vicina S. Giovanni Theristis. L’istituzione, poi, della Soprintendenza del Bruzio e della Lucania nel 1924, sotto la guida di Edoardo Galli e con il coinvolgimento di figure come Pietro Lojacono, comportò qualche scoperta che oggi considereremmo di secondo piano, ma che al tempo riscosse un discreto successo, come la larvale Vergine col Bambino di S. Marco e i lacerti della Panaghia, entrambi a Rossano. Testimonianze poi entrate a far parte del meritorio Elenco degli edifici monumentali redatto nel 1938 da Alfonso Frangipane e anche delle prime guide turistiche del tempo. In precedenza, infatti, un certo interesse per la cultura artistica bizantina era stato mostrato soprattutto da studiosi di origine straniera, come Heinrich W. Schulz, Francois Lenormant, Charles Diehl ed Émile Bertaux”.

In questo quadro va detto che a poco servirono nuove e importanti scoperte occorse nel decennio a cavallo della Seconda guerra mondiale: il lacunoso ciclo di santi della già nota chiesa di S. Adriano a San Demetrio Corone, scoperto al di sotto dello scialbo da Armando Dillon nel 1939 – ma di fatto “restaurato” (più che altro una discutibile ridipintura) nel 1955 sotto la guida di Ghisberto Martelli, fu oggetto di sole riflessioni iconografiche sull’eventuale raffigurazione del genius loci, san Nilo. Questo almeno fino agli studi di Nino Lavermicocca del 1981 e del 1983, scaturiti dal suo aggiornamento, di poco precedente, ai capitoli calabresi dell’opus magnum di Bertaux. Altre scoperte restarono sottotraccia nella storiografia calabrese: nel 1950 fu per la prima volta presentata da parte dello stesso Martelli la chiesa dello Spedale di Scalea, allora allo stato di rudere16. Il complesso palinsesto di pitture al suo interno fu solo intuito fino ai contributi di Marina Falla Castelfranchi della seconda metà degli anni Ottanta. Sorte diversa ebbe, anche per la sua monumentale visibilità, l’abside di S. Zaccaria a Caulonia, la cui Dèesis, grazie agli studi di Ottavio Morisani e Angelo Lipinsky del 1962-1963, divenne cartina al tornasole per comprendere anche altre testimonianze artistiche dell’area, come la Vergine col Bambino di S. Giovanni Theristis a Bivongi, già descritta da Orsi e trafugata – e non ancora recuperata – negli anni Settanta.

A partire dalla fine del settimo decennio del XX secolo, intanto, ricognizioni e studi a carattere storico-architettonico condotti da Domenico Minuto (poi in collaborazione con Sebastiano M. Venoso), portarono a registrare testimonianze secondarie o frammentarie, specie nell’area di Reggio Calabria, tra cui quelle dell’abside diroccata dell’Annunziata di Motta Santo Niceto presso Motta San Giovanni.

Bisogna attendere gli anni Ottanta per le prime trattazioni sistematiche: a partire dal 1978 fu Maria Pia Di Dario Guida a tentare ricostruzioni culturali ad ampio raggio, tra scultura, pittura e oreficeria, ma sempre nel limitato quadro calabrese, grazie anche al restauro da lei diretto nella Cattolica di Stilo, nel corso del quale emersero nuove pitture oltre a quelle già de-scialbate da Orsi. Il punto della situazione al 1980 venne offerto da Mario Rotili in un volume giustamente noto e citato, non solo per l’esaustività della trattazione, ma anche per la documentata apertura all’Italia meridionale e in particolare alla territorialmente prossima Basilicata. Nel frattempo, le note cursorie di Valentino Pace – nel suo seminale contributo apparso ne I Bizantini in Italia del 1982 – consentirono di meglio precisare le coordinate culturali, nel più vasto contesto italo-mediterraneo, delle testimonianze artistiche più significative (tra le altre, S. Zaccaria a Caulonia, S. Adriano a San Demetrio Corone, S. Giovanni Theristis a Bivongi). La svolta fu però rappresentata dai due articoli di Marina Falla Castelfranchi del 1985 e del 1989, poi fusi assieme – con poche modifiche – nel saggio del 1991, entrambi dedicati solo alla pittura monumentale. Se la maggior parte dello spazio era riservata a un numero ridotto di testimonianze (Achiropita di Rossano, chiesa dello Spedale di Scalea, S. Adriano a San Demetrio Corone), con ragionamenti tanto stilistici quanto iconografici, che permisero di elevarle oltre il territorio regionale e contestualizzarle all’interno dell’ecumene bizantina, spazio residuale era dedicato anche ad episodi “minori”, senza però esiti sistematici.

In questi anni comparvero anche i puntuali e documentati studi di Giorgio Leone, a carattere monografico (Achiropita di Rossano), iconografico (Vergine e san Fantino) e territoriale (diocesi di Gerace-Locri), nonché sulla produzione cronologicamente più tarda. Ma fu soprattutto il bel saggio del 2003 nel Normanni infinibus Calabriae a rappresentare, anche se soltanto per il periodo che va dalla metà dell’XI agli inizi del XIII secolo, un nuovo punto di svolta, purtroppo sottovalutato negli studi successivi per il generale conservatorismo e la progressiva autoreferenzialità che ha contraddistinto parte della storiografia calabrese. Il saggio rappresentava uno dei primi esempi di approccio integrato tra testimonianze pittoriche, fonti testuali e documentarie, risultati degli scavi archeologici e nuove scoperte in sede di restauro (chiesa di Campo a Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, S. Giacomo a Saracena, castello di Santa Severina), con un’approfondita conoscenza della letteratura pregressa e soprattutto del contesto storico-territoriale. Sempre nel 2003 Pace curò il volume Calabria bizantina, con un contributo del medesimo sulla pittura monumentale, caratterizzato da un’ampia apertura al Mediterraneo orientale. Di qualche anno precedente era invece il lungo saggio d’assieme, che riassume due decenni di ricerche, sulla cultura artistica medievale della Calabria firmato da Di Dario Guida (con ampi paragrafi dedicati alla pittura monumentale), apparso in un’opera enciclopedica quale la Storia della Calabria.

Nei primi due decenni del nuovo secolo il quadro non è di molto mutato. A eccezione della scoperta di quello che è, per ora, il monumento-palinsesto meglio conservato della Calabria (in attesa di un auspicabile restauro della chiesa dello Spedale di Scalea), ossia S. Donato al Pantano a San Donato di Ninea, contributi monografici sono stati dedicati a contesti pittorici già noti, come S. Adriano a San Demetrio Corone, la Cattolica di Stilo, la chiesa di Campo a Sant’Andrea Apostolo dello Jonio o l’abside di S. Zaccaria a Caulonia. In quest’ultimo caso qualche dato ulteriore per la storia dell’edificio è emerso grazie agli scavi archeologici, che – insieme alle ricognizioni territoriali – hanno offerto la possibilità di incrementare le testimonianze note con nuove acquisizioni, per quanto ridotte – inevitabilmente – a uno stato molto frammentario (come, ad esempio, la già richiamata abbazia di S. Maria a Sant’Eufemia, oltre agli importanti casi, ma ancora degli anni Novanta, del castello di Santa Severina e S. Giovanni Theristis a Bivongi). Non sono mancati, inoltre, studi d’assieme, consacrati genericamente all’Italia meridionale, in cui le pitture calabresi sono servite per costruire discorsi iconografici sui santi monaci ed eremiti, o di revisione sul fenomeno monastico, mentre il loro uso – anche al rango di fonti dirette o indirette – è stato assai limitato, se non frainteso, pure in ricerche più recenti. […]

 

LORENZO RICCARDI

Da “CORPUS DELLA PITTURA MONUMENTALE BIZANTINA IN ITALIA/ CALABRIA” – Rubbettino

Foto: Rete

 

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