
Soldati lucani – Poseidonia
Le relazioni tra Magna Grecia e Sicilia implicano continui rapporti commerciali e prolungate interazioni sociali bidirezionali, connesse alle dinamiche politiche ed economiche che regolano i rapporti tra le diverse comunità.
Tra i fenomeni di mobilità sociale più significativa dobbiamo collocare, senz’altro, il mercenariato, collegato a motivazioni economiche e socio-politiche, in un complesso sistema di relazioni tra città greche, mondo italico e componente punicocartaginese.
Pratiche di mercenariato si leggono già a partire dall’età arcaica, strettamente collegate al mondo italico e ai processi di formazione degli ethne, quando si costituirono vere e proprie comunità politiche che facevano dell’attività guerriera e militare un presupposto fondante, quasi fosse un’attività sociale, una prassi intrinseca ai processi di strutturazione etnica. Questi elementi emergono chiaramente attraverso l’archeologia funeraria e il corredo che connota il guerriero, con le armi offensive e difensive.
Sulla base di questi indicatori riconosciamo precoci fenomeni di mobilità sociale e geografica, attraverso forme di migrazione rituale, quelle del ver sacrum, collegate alla consacrazione a Marte dei giovani maturi, che abbandonavano le comunità di appartenenza per seguire un animale sacro (toro, picchio, lupo).
Le prove di queste relazioni tra Magna Grecia, Sicilia e mondo italico sono state viste nella presenza, in contesto, di bronzetti databili a partire dagli inizi del V sec. a.C., dedicati a Marte italico, sia in contesto siciliano, ma anche in quello magno-greco e soprattutto nel Bruzio, con l’utilizzo delle armi nei corredi funerari, ma anche il rinvenimento dei bronzetti italici di tradizione sabellica, di tipi come il Marte, l’Ercole e gli offerenti, che hanno suggerito tra l’altro la presenza di artigiani in trasferta (Maestro Crotone, Gruppo Cosenza, Gruppo Tiriolo)”.
Queste pratiche sono strettamente connesse alla sannitizzazione della Magna Grecia, un processo migratorio mercenariale da diverse aree del Sannio, che coinvolse anche Lucani e Brettii nel IV e III sec. a.C.: alla base, oltre a fattori endogeni, vanno considerati la sempre maggiore richiesta di manodopera, militare e no, nel sud della penisola, le vicende politiche che si vivono in Magna Grecia e in Sicilia, soprattutto a partire dall’età dionigiana, in qualche modo collegate all’allentarsi dei sistemi coloniali greci, oltre alla rinnovata aggressività e alle politiche “espansive” del mondo italico, sempre più evoluto e forte. Negli anni finali del V sec. a.C. si collocano numerosi eventi significativi, tra cui l’occupazione sannitica di Capua del 423 a.C. e quella di Cuma del 421 a.C. Si tratta di una sorta di diaspora dei Sanniti, che coinvolse diversi ethne, i Lucani in primis, e dal 356 a.C. anche i Brettii.
Mercenari campani già nel 413 a.C. combatterono nelle fila ateniesi; nel 410 a.C. i Cartaginesi ingaggiarono 800 Campani. Già nel 409 a.C., secondo Diodoro Siculo, Italioti e Italici ingrossarono le fila dell’esercito di Siracusa alla cui guida era Dionisio I. All’epoca della prima spedizione ateniese in Sicilia è attestato il reclutamento di mercenari campani proveniente da Neapolis
Nel 405 a.C. Dionisio i aveva assunto il controllo di Siracusa, utilizzando strutturalmente, come detto, le forze mercenarie, seppure con un dispendioso utilizzo di energie e denari.
Quando Dionisio i si rivolse al resto della Magna Grecia, riorganizzando l’esercito tra 403 e 398 a.C., fece largo uso di mercenari. In questo senso l’esercito di Dionisio I viene definito ξενικον στρατοπεδον; l’insieme variegato di etnie che lo componeva veniva a costituire quello che lo stesso Diodoro definì nel XV libro uno στρατιωτων πανταδαπων πλητος.
Le coniazioni monetali fra fine V e IV sec. a.C. sembrano suggerire una massiccia infiltrazione di Italici nelle poleis siceliote, in parallelo rispetto a un sostanziale rafforzamento dell’epikrateia punica anche nel territorio sud-occidentale della Sicilia, con un ingente numero di mercenari italici anche nelle file cartaginesi, provenienti dalla Campania e dalla Lucania settentrionale.
In questa fase, al tempo di Cleandrida, Thurii respingeva l’attacco dei Lucani, mentre nel 389 a.C. i Lucani erano già a Laos e mettevano in seria difficoltà i Thurini, salvati soltanto dall’arrivo della flotta di Leptine di Siracusa, fratello di Dionisio I, il quale nel frattempo aveva stipulato un accordo proprio con i Lucani.
Con Dionisio I l’impiego dei mercenari era ormai strutturale; in seguito le città italiote, in primis Taranto, quando ricorsero agli xenikòi strategòi (Archidamo, Alessandro il Molosso, Cleonimo, Pirro), dovettero per forza fare largo uso dei mercenari stranieri.
Le tracce della presenza mercenariale in Sicilia tra fine V e inizi IV sec. a.C. provengono da diversi contesti.
Nel corso del IV sec. a.C. i mercenari erano perfettamente inseriti nelle vicende belliche e avevano un ruolo centrale, anche per questioni economiche e in relazione alla riscossione del mysthòs, una paga che in molti casi risultava molto alta, o anche attraverso l’acquisizione di terreni da lavorare.
Negli eserciti punici, come detto, si possono annoverare numerosi italici arruolati: la prova di ciò è costituita dalla presenza di monete puniche e siracusane nei ripostigli italici di fine IV sec. a.C. e sicuramente sino alla guerra pirrica. L’area di provenienza di questi mercenari, oltre alla Campania, era quella tirrenica centrosettentrionale, soprattutto il golfo di Lamezia, come emerge dai tentativi messi in atto da Alessandro il Molosso e poi da Agatocle di riconquistare alla grecità queste aree.
Alla fine del IV sec. a.C. erano tante le preoccupazioni nell’ambiente greco della Sicilia, non soltanto per la perdita di autonomia, minacciata dai Cartaginesi, ma anche per il rischio di perdere un’identità linguistica e culturale greca, determinato dalla presenza dei misthophòroi barbaroi, tra i quali anche gli Italici.
Proprio in età agatoclea i mercenari si autoriconobbero come i figli di Marte; con questa definizione si faceva riferimento alla diffusione del culto di Marte tra gli Italici, ma anche alla sua influenza sull’onomastica oltre che, soprattutto, ai processi di etnogenesi ed emancipazione attraverso il ver sacrum che gli stessi mettevano in atto in nome del Dio.
Ad Agatocle, che fonderà la sua fortuna anche sull’utilizzo dei mercenari, non solo italici ma anche etruschi, si ascrive la cattura di alcune navi puniche che circolavano lungo la costa tirrenica, forse nell’area di Hipponion, alla ricerca di rinforzi mercenari e/o di materie prime. Si tratta di un intervento messo in atto all’interno di un piano organico di controllo delle coste e degli approdi (294-293 a.C.), in cui si inseriva anche il tentativo di costruire un porto a Hipponion, al fine di contrastare i Cartaginesi, che avevano stabilito strette relazioni commerciali con le città italiote e soprattutto con le popolazioni italiche.
In questa fase in Sicilia i mercenari provenivano da varie aree, ma molti erano Campani. Si trattava essenzialmente di equites, sia nelle truppe agatoclee che in quelle cartaginesi; essi venivano supportati sia con il sìtos, una somma di denaro per il sostentamento, in genere rappresentata da monete in bronzo, sia attraverso una vera e propria paga, il cosiddetto mysthòs, corrisposta in monete di argento o di oro. In alcuni casi si cedeva della terra o addirittura si concedeva la cittadinanza ai mercenari in luogo dei soldi.
Con la morte di Agatocle (289 a.C.) si creò una situazione di grande instabilità: nel 285 a.C. i Mamertini, mercenari di Agatocle, presero il potere a Messana, cambiandone in nome in Mamertion. Essi diedero appoggio alla legio campana che tra 282 e 280 a.C. si era impadronita di Reggio e collaborarono con Romani e Cartaginesi contro Pirro tra 278 e 276 a.C. Dopo la caduta di Reggio (269 a.C.) essi furono assaliti e sconfitti da lerone II e nel 264 a.C. offrirono la propria deditio a Roma.
Più o meno negli stessi anni, tra 282 e 269 a.C., abbiamo la più volte richiamata esperienza dei mercenari campani a Reggio, comandati da Decio Vibellio.
A partire dalla fine del IV sec. a.C., a seguito delle guerre sannitiche, molte aree dell’Italia centrale divennero ager publicus populi romani e molti Italici dovettero ricevere una civitas sine suffragio che in qualche modo limitò il flusso migratorio verso altre aree; addirittura molti di loro tra il III e il II sec. a.C. conseguirono la civitas optimo iure, dando un contributo anche alla formazione degli eserciti romani.
Pirro cercò di integrare nel progetto egemonico di conquista della Magna Grecia gli Italici, Lucani e Brettii che fossero, assimilandoli al modello spartano ed ellenico e cercando di offrire loro una discendenza mitica; nel 277 a.C. egli iniziò la guerra contro i Cartaginesi a difesa della grecità di Sicilia, proprio mentre Cartagine aveva acquisito il controllo delle isole Eolie, stanziandovi alcune guarnigioni. La potenza cartaginese era in strette relazioni con alcune poleis della Magna Grecia: in Zonara troviamo attestazioni esplicite dell’arruolamento di mercenari dall’Italia.
La prima attestazione certa della presenza di Brettii nel contingente cartaginese risale proprio al conflitto contro Pirro, quando i Cartaginesi presero coscienza di un imminente attacco alla Sicilia, nonostante i Lucani nel 298 a.C. si fossero già alleati con i Romani. Questo fatto spinge a considerare una mancanza di concordia tra le varie etnie italiche nell’agire e nel conflitto Roma-Pirro-Cartagine.
Alla fine della guerra pirrica, le pesanti confische inflitte dai Romani a Sanniti, Lucani e Brettii, che dovettero cedere, secondo Dionigi di Alicarnasso, metà della Sila dimostrano le pesanti ingerenze nella guerra pirrica degli Italici e il ruolo che essi ebbero anche successivamente, continuando di fatto a detenere, almeno sino alla guerra annibalica e in alcuni settori (quelli della Sila interna, del petelino e del cirotano, ma anche dell’istmo Catanzaro-Lamezia), il controllo delle risorse della Silua.
L’interesse cartaginese per il Bruzio e l’area tirrenica, allo scopo di ingaggiare mercenari italici, emerse anche nei vari tentativi di incursioni puniche nel corso della prima punica, nel 248 a.C. a opera di Cartalone che si muoveva da Drepane e nel 247 a.C. a opera di Amilcare Barca, diretto verso Panormos.
Con il trattato di Lutazio Catulo del 241 a.C. e con le relative clausole restrittive di fatto si mise fine al mercenariato italico in Sicilia, mentre nel corso della guerra numerosi schiavi fuggitivi e disertori italici si schierarono al fianco di Cartagine. Questo trattato, alla fine della prima guerra punica, ci racconta una realtà dove le relazioni tra il mondo italico e quello cartaginese erano fortemente caratterizzate. […]
FABRIZIO MOLLO
Da “Uomini e merci tra Sicilia e Bruzio” – Rubbettino
Foto: Rete