L’opera di oggi: PALA DI SAN ZENO

L’autore

Andrea Mantegna (Isola di Carturo, Padova, 1431 – Mantova, 1506), pittore e incisore, si formò presso la bottega di Squarcione (mediocre pittore ma scaltro mercante e imprenditore, grande raccoglitore di “anticaglie” e di disegni tratti da opere classiche o da maestri toscani), nel vivace ambiente padovano, influenzato dalle opere di artisti toscani in Veneto: Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Filippo Lippi e specialmente Donatello.

Nel 1460 si trasferì a Mantova, dove rimase fino alla morte come pittore di corte dei Gonzaga. Fece due viaggi in Toscana (nel ’66 e nel ’67) e un più lungo soggiorno a Roma (1488-90), dove affrescò una cappella, distrutta nel 1780, nei Palazzi vaticani. Le sue incisioni sono oggi considerate capolavori della grafica quattro cinquecentesca e sullo stesso piano dei dipinti

L’opera

La pala, eseguita a tempera su tavola tra il 1457 e 1459, è ancora conservata nella sua sede originale, la chiesa di San Zeno a Verona, e si presenta completa della cornice in legno, intagliata e dipinta, realizzata su disegno dello stesso Mantegna. La pala fu restaurata dal laboratorio di Brera dopo il 1918 e nuovamente pulita nel 1947. I tre riquadri della predella, raffiguranti l’Orazione nell’orto, la Crocifissione e la Resurrezione sono invece copie degli originali che si trovano presso musei francesi a cui le tre tavolette pervennero dopo le spoliazioni napoleoniche del 1797.

Appena prima di partire per Mantova dove era stato chiamato come pittore di corte, Mantegna eseguì a Padova il grande dipinto su committenza di Gregorio Correr, abate di San Zeno, colto e raffinato umanista che aveva soggiornato a Roma presso la corte pontificia e che a Padova frequentava il circolo dei dotti umanisti: era sua intenzione portare a Verona le novità figurative proposte dal vivace ambiente padovano dove dal 1443 al 1455 aveva lavorato anche Donatello. In Mantegna l’abate di San Zeno trovò l’interprete più adatto a esprimere i sottili intendimenti religiosi e culturali suggeriti dall’adesione ai principi dell’umanesimo, pienamente condivisi dall’artista.

Analisi

II soggetto è una Sacra conversazione, con la Vergine in trono al centro della composizione e ai lati i santi: a sinistra Pietro, Paolo, Giovanni Evangelista e Zeno e a destra Benedetto, Lorenzo, Gregorio, protettore del committente, e Giovanni Battista. Su indicazione dì Gregorio Correr compaiono san Zeno e san Benedetto come tributo celebrativo al monastero e gli altri santi che ricordano le chiese più prestigiose e significative di Verona.

La Sacra conversazione è ambientata entro un recinto marmoreo, decorato da fregi e tondi all’antica e si propone come spazio fortemente unitario. L’impianto generale è analogo alla struttura realizzata da Donatello tra il ’46 e il ’50 per l’altare del santo nella basilica di Sant’Antonio a Padova, purtroppo distrutta fin dal XVI secolo: Donatello aveva realizzato una pala d’altare a tutto tondo, inserita in una struttura architettonica che conteneva le statue della Vergine e dei santi, poste su una predella con rilievi scolpiti. Giungeva così in Italia settentrionale la nuovissima concezione fiorentina di Beato Angelico e di Domenico Veneziano del tema della Sacra conversazione Posta entro uno spazio prospettico unitario.

Illusionismo e unità dello spazio

La suddivisione in più scomparti, tipica del polittico medievale, è decisamente superata dall’unità spaziale, che definisce un’aula quadrangolare, le cui membrature frontali sono le vere colonne in legno della cornice, cui corrispondono i pilastri dipinti, che scandiscono lo spazio illusorio del recinto, segnalato dai festoni di fiori e frutti che diventano parte della cornice, creando un effetto di “trompe l’oeil”.

Mantegna lega spazi e tempi diversi: la presenza della Vergine e dei santi nell’aula pagana sottolinea la continuità fra paganesimo e cristianesimo, che si manifesta illusionisticamente nel presente. Lo spazio reale continua nello spazio dipinto, cui Mantegna dà piena credibilità grazie all’eccezionale perizia tecnica.

Coesione profonda venne cercata da Mantegna anche per ciò che riguarda la luce: dirigendo personalmente le fasi della collocazione in loco della pala, fece aprire una finestra sulla destra del coro, in modo che la luce dipinta coincidesse perfettamente con la luce reale dell’ambiente.

Completano questa illusione visiva la figura di san Pietro: “appoggiata” al pilastro di sinistra, i due angioletti musicanti seduti accanto ai pilastri centrali e la figura di san Giovanni Battista, con i piedi che “sporgono” verso l’esterno.

La cornice scandisce in modo uniforme sia i riquadri della predella sia la composizione centrale. L’unità è rintracciabile anche in altri elementi, legati all’alternanza di ritmi narrativi: alla vivacità degli angioletti che circondano il trono della Vergine fa da contrappunto il ritmo solenne e cadenzato dei santi; all’affollamento e alla ricchezza dei decori della scena centrale fa da contrasto il dolore delle scene della predella, ambientate in paesaggi rocciosi e spogli.

Riferimenti a Roma antica

I numerosi rimandi alla cultura antica sono riconoscibili soprattutto nelle architetture auliche e solenni e nei decori, i tondi a bassorilievo, che mostrano come il gusto antiquario del pittore si basasse su una profonda conoscenza dei monumenti romani attraverso le collezioni, i calchi e i disegni di Squarcione: il tondo sulla destra, dietro la Vergine, si riferisce direttamente a uno dei due gruppi collocati in antico sul colle del Quirinale, altri sono derivati dai rilievi della Colonna traiana, altri ancora dalla volta dorata della Domus Aurea.

La predella: narrazione della sofferenza e senso dell’eroico

L’invocazione alla Vergine è ripresa negli episodi della predella, che alludono alla sofferenza umana rappresentata dal sacrificio di Cristo e che diventano momenti dialettici di un unico evento, e non narrazione di episodi separati.

È forse la prima volta che, in età rinascimentale, viene rappresentata una sofferenza così universalmente intesa e che investe uomini, paesaggi e città, rievocando, secondo gli ideali cristiani, la solenne compostezza e il senso dell’eroico della civiltà antica.

La profonda concezione che Mantegna aveva dell’antico traspare da queste immagini di città che diventano «sogno pietrificato di una città di silenzio», dove si ritrovano, nell’immaginario architettonico, sia gli interessi antiquari sia la dimensione eroica e, nel contempo, drammaticamente vera degli uomini.

Il legame con la realtà, affidato anche alla riproduzione raffinata e precisissima dei particolari naturalistici, delle erbe, delle piante, delle rocce, rivela l’attenzione di Mantegna per la pittura nordica e rende più quotidiano l’evento raffigurato.

 

Da “STORIA DELL’ARTE 2” – Electa – Bruno Mondadori

Foto: Rete

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