La dura vita del contadino nel Medioevo

 

Volgendo lo sguardo intorno al castello, il proprietario vede le sue terre coltivate dai contadini. Ce ne è forse anche una parte — non sempre — che valorizza lui direttamente. Non, ovviamente, che vi ponga mano personalmente, una mano che è fatta soltanto per tenere la spada o le redini del cavallo, ma nel senso che se ne riserva l’intero prodotto. Si tratta del cosiddetto mansus indominicatus, il «manso» del signore. Il termine, che in origine indicava il tratto di terra necessario al sostentamento di una famiglia, ha ormai un significato ben più elastico. In sostanza, significa «parte». Non c’è alcuna base per poter calcolare le dimensioni del mansus indominicatus, che del resto non è mai grandissimo verso l’anno mille. Né ve ne sono per misurare i mansi occupati dai contadini dipendenti dal signore: nel corso del tempo, accorpamenti o suddivisioni hanno determinato partizioni molto diseguali.

I mansi dei contadini sono tenures (piccole, e medie gestioni contadine), cedute loro per essere coltivate in cambio di alcune prestazioni, tra le quali figura l’obbligo di fare fruttare, sotto la guida di un esperto non sempre tenero, il manso del signore.

I contadini sono forse «servi»? Non necessariamente, specie se il feudo non è in Borgogna, nel Nivernese o nella Champagne. Il servo, lo abbiamo tutti imparato a scuola, è «legato alla gleba»: non ha il diritto di lasciare il terreno che coltiva, né di ammogliarsi al di fuori del possedimento. Non è padrone di se stesso. Il contadino libero — il «villano» — non è in teoria altrettanto legato. In pratica, però, la differenza è minima. Il signore locale la conosce — tutto quel mondo è straordinariamente lucido e preciso in fatto di diritto — ma non è detto che debba tenerne conto, se non per riacciuffare e punire un servo «in fuga».

Servi o villani che siano, il signore li disprezza e li sfrutta. La terra è sua. Il contadino la riceve da lui. Non ha giurato «fedeltà e omaggio», naturalmente: sarebbe inimmaginabile, date le sue condizioni: è costretto a pagare determinati canoni tradizionali, in denaro e soprattutto in natura, a parte il lavoro dovuto per il mansus indominicatus.

Non basta, però: anche un padroncino non è forse sovrano sulla propria terra? Quanto un tempo esigevano i re dai propri sudditi, la «taglia» (che era un’imposta in danaro), la corvée (che era l’obbligo di compiere alcuni lavori, come costruire strade, edifici, trasportare delle cose), è lui ormai che le richiede. I diritti regali che ha a mano a mano usurpato gravano non soltanto sui suoi dipendenti, ma anche su quelli che un tempo erano proprietari a pieno titolo dei rispettivi appezzamenti individuali, di quei piccoli possedimenti che appartenevano a uomini liberi, i cosiddetti «allodi»: eccoli anch’essi dipendere dal signore locale, costretti ad alimentarne le casse e a lavorare per lui. E taglia e corvée, oltretutto, non sono minimamente regolamentate, per cui non hanno limiti definiti, al pari, del resto, dell’importo da pagare per fare uso del mulino o del forno, non essendo possibile macinare o cuocere altrove.

Allora, il servo, il villano, o quelle stesse varietà intermedie di contadini le cui specifiche denominazioni hanno scarsa importanza in questa sede, che razza di visione si può pretendere abbiano del mondo? La propria capanna, i loro campicelli, le loro bestie, il bosco accanto; il castello dove bisognava portare gran parte del frutto delle loro fatiche e dal quale non , veniva mai niente di buono; il mercato del villaggio; la chiesa — e c’è da chiedersi che significato avesse per loro. E, tutt’intorno, soprattutto minacce.

Dal cielo la pioggia, quando ci sarebbe stato bisogno di sole, e il sole, nei momenti in cui si sarebbe voluta la pioggia. All’orizzonte, i guerrieri del signore vicino o le (truppe di un principe in guerra, il cui sistema (comune nei due casi) era quello di saccheggiare a tappeto il paese. Ci si potrà rifugiare nel castello, condurvi dentro le bestie, forse anche ammucchiarci i raccolti; ma delle messi ancora sul campo, delle capanne, rimarranno soltanto le ceneri.

Di questo tipo è l’ambiente che potevano osservare i contadini dell’anno mille. I contadini, cioè perlomeno i nove decimi della popolazione d’Occidente. Ecco la trama della loro vita quotidiana.

Il quadro presenta tinte fosche?

Così, comunque, lo ha visto anche un contemporaneo: Adalberone, vescovo di Laon.[…] Ecco dunque quanto dice: «Questa sfortunata genia, se possiede qualcosa è solo a prezzo della sua fatica. Chi riuscirebbe mai, abaco alla mano, a conteggiare le preoccupazioni che assillano i servi, le loro lunghe marce, i loro lavori? Denaro, alimenti, tutto i servi forniscono a tutti gli altri; non c’è uomo libero che potrebbe sopravvivere senza di loro […]. Il padrone è alimentato dal servo. E il servo non riesce a vedere la fine delle sue lacrime e dei suoi sospiri».

 

EDMOND POGNON

Da “La vita quotidiana nell’anno mille” – Fabbri editore

Foto: Rete

Ti potrebbero interessare:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close