Le leggi iconoclaste e le conseguenze in Italia

 

La lotta alle sante icone (iconoclastia), fu lunga e complessa. Se con Leone III furono distrutte solo immagini sacre, con il figlio Costantino V Copronimo (741-775) si giunse alla devastazione delle chiese, delle biblioteche ricche di codici, alla chiusura dei monasteri o alla conversione in caserme, nonché alla persecuzione dei monaci molti dei quali fuggirono in Occidente. Una pausa fu imposta dal secondo concilio di Nicea (787, nell’eparchia di Bitinia), voluto dall’imperatrice Irene (vedova di Leone IV) e dal Papa Adriano I.

Oltre alla condanna dell’iconoclastia si ebbero nuovi enunciati estetici: la struttura dell’immagine ricadeva sotto il controllo della Chiesa, al pittore (eius enim sola ars est) spettava unicamente l’ars cioè la tecnica e l’esecuzione. Rifacendosi a un ‘canone’ che non si basava sull’esattezza delle proporzioni e di armonia, tipiche dell’arte classica, il pittore doveva badare allo ‘schema’ iconografico. Ecco perché nell’arte bizantina si ebbe la ripetizione di schemi. La disputa portò alla presa di coscienza della funzione, del significato e del valore delle immagini. Papa Adriano I inviò una copia degli atti del concilio, tradotti in latino nel 794, a Carlo Magno affinché fossero studiati dai teologi di corte e dallo stesso Carlo Magno. Ne trassero origine i Capitulare de imaginibus (Libri Carolini) che essenzialmente non cambiarono quanto proposto dal concilio, ma vennero a costituire «un documento politico e un’affermazione di indipendenza anche sul piano dottrinale, rispetto sia al pontefice sia all’imperatore d’Oriente» (Enciclopedia Treccani).

Tuttavia furono riprese le persecuzioni nell’815 con Leone V l’Armeno con effetti repressivi sui monaci tra cui Teodoro di Studio, che fu esiliato e flagellato.

Iniziarono così i flussi migratori nel Meridione, soprattutto nei luoghi non sottoposti alla legislazione di Bisanzio.

La questione continuò ma l’imperatrice Teodora Armena l’il marzo 843 convocò un nuovo concilio per la definitiva abrogazione della condanna delle immagini; in memoria di ciò la chiesa greca celebra ancora oggi una grande festa la prima domenica di quaresima definita ‘festa dell’ortodossia’.

Nell’870 l’ultima pronunzia imperiale in favore delle immagini fu quella di Basilio I (867-887).

 

Le conseguenze in Italia

 

Tra gli eventi storici che causarono un esodo di monaci orientali dalle terre di origine verso le nostre coste vi fu la lotta contro le immagini sacre (iconoclastia o iconoclasmo), che scosse per un secolo il regno bizantino. Nel 726 l’Imperatore Leone III Isaurico (717-ca741) fece distruggere a Costantinopoli l’immagine di Cristo sulla Chalke, la porta di accesso al palazzo imperiale (Kalke pyle). Questo atto rappresentò solo il prologo perché la distruzione si estese a tutte le rappresentazioni antropomorfe di carattere sacro in base all’Editto del 730. In esso Leone III previde pene corporali fino al martirio per i monaci al fine di combattere l’influenza che esercitavano sul popolo tramite le ‘icone’. Alla base di questa lotta dovuta anche a motivi politici, stava la convinzione che la venerazione delle icone, di alcune portatili ritenute miracolose, sfociasse in idolatria.

Le icone, il cui significato, sia che derivi dal greco bizantino εικονα – éikóna, sia in riferimento al greco classico εικων /ονος (dall’infinito perfetto eikénai) comunque interpretabile in ‘essere simile’, ‘apparire’, ‘immagine’, rappresentarono la quasi totalità dei manufatti essendo più comprensibili di qualsiasi testo scritto.

Assimilabili per tipologia, scelta dei materiali (legno di cedro), cromie, e tecniche esecutive, diventarono uno dei simboli più tangibili della civiltà bizantina.

Nella lunga genesi dell’iconografia cristiana tendenze iconoclastiche erano latenti nelle province orientali ed a corte: il terzo Concilio Costantinopolitano (680) aveva sanzionato la rappresentazione di Cristo in forma umana. Difatti la prima decorazione di Santa Sofia fu aniconica. Poi la produzione e l’influsso delle immagini assunse un rilievo progressivo ed inarrestabile.

Le diocesi meridionali in genere seguirono queste vicende politiche rimanendo incorporate nel patriarcato di Costantinopoli. Le conseguenze di tali lotte furono varie: Liutprando, re dei Longobardi, si valse della contesa iconoclasta per estendere il suo dominio sull’Esarcato (728) i cui abitanti si erano ribellati all’autorità imperiale; Papa Gregorio II (715-731) ed il suo successore Gregorio III (731-741) di origini siriane, proibirono la guerra alle immagini, ma contro quest’ultimo l’imperatore reagì mandandogli contro una flotta che naufragò nell’Adriatico: la questione ormai si era allargata all’Occidente. Per effetto dell’iconoclastia i rapporti tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente, che era legato al pontefice romano si inasprirono segnando a poco a poco la divisione. La presenza a Roma di numerosi monaci e profughi in genere costretti all’esilio scatenò violente reazioni anche da parte del Papa Paolo I (757-767). Molti altri furono arrestati e imprigionati nelle isole Eolie, tra cui Teofane divenuto poi vescovo di Taormina. La presenza bizantina si rafforzò ulteriormente nell’estremo Meridione d’Italia dove i religiosi si rivelarono comunque forza propulsiva e strumento di diffusione della civiltà greco-orientale.

 

WILMA FITTIPALDI

Da “La presenza bizantina nella Lucania e nel Meridione d’Italia” – Zaccara Editore

Foto: Rete

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