L’idea di «ordine» può essere presa come centrale per spiegare la visione del mondo di Agostino e quindi anche la sua teologia della guerra. L’ordine cosmico, intellettuale e morale impresso da Dio alla sua creazione è stato sconvolto dal peccato di Adamo. Alla restaurazione dell’armonia divina si può arrivare, nella vita collettiva degli uomini, intrisa dopo la Caduta da una generale libido dominandi, anche attraverso la guerra giusta, cioè la guerra che ha di mira la pace. Onnipresente nell’opera di Agostino è così l’analogia fra il disordine interiore dell’uomo e i mali e le contese interne alla società: attraverso il superamento della battaglia interiore fra istinti e spirito, amore di sé e amore di Dio, l’uomo cerca la strada per ritrovare la pace dell’anima. «L’uomo porta con sé la guerra ovunque fugga … Egli scopre nel suo animo quella guerra di cui parla l’apostolo Paolo.»
Da un punto di vista teologico e metafisico, l’assioma agostiniano della bontà del tutto è fondamentale: la realtà delle cose sovrannaturali e del mondo inferiore è «buona» nel suo insieme in quanto progetto divino, come un bel quadro in cui i colori spenti danno risalto a quelli più luminosi contribuendo così alla bellezza dell’intero. Anche la guerra, con i suoi colori cupi, rientra nel disegno divino, e contribuisce come ogni altra miseria umana alla bontà dell’insieme. Allo stesso modo la pace è un fatto che appartiene al livello storico, al tempus. L’idea stessa di pace richiama soprattutto il concetto di pactum. nella vita terrena dell’uomo essa non è un bene assoluto né un dono, ma il risultato di uno sforzo personale o paradossalmente il frutto positivo di una lotta che tende al ritorno dell’ordine.
Ma quando la guerra fra uomini o fra popoli può essere chiamata «giusta» e quindi giungere a generare la pace?
Agostino riprende qui la riflessione antica e riafferma — anche alla luce degli eventi terribili che vede accadere intorno a sé — che giusta è innanzitutto quella guerra che è inevitabile perché dovuta a un’invasione del nemico, condotta sotto il comando di un’autorità legittima, esente da atti di vendetta personale, crudeltà e saccheggi. La guerra, che in quei tempi appariva inevitabile contro gli invasori dell’impero, doveva essere condotta con queste procedure.
Giusta appariva così la guerra contro i Visigoti di Alarico: un conflitto terribilmente evidente e inevitabile per cristiani come Agostino o Gerolamo, rimasti sgomenti di fronte al saccheggio di Roma del 410. Vent’anni dopo il re dei Vandali Genserico porterà il suo popolo in Africa, assediando proprio Ippona, sede del vecchio vescovo Agostino. «Giusto» era difendersi da queste invasioni.
Nell’ultimo decennio della sua vita, tuttavia, la riflessione di Agostino sembra farsi ancora più radicale ed estrema. Il senso delle parole di pace e d’amore contenute nel Vangelo («porgere l’altra guancia a chi ti colpisce») sembra ormai valido per lui solo a livello spirituale. Oltre alla difesa della città, altre cause sembrano rendere giusta e persino augurabile una guerra:
Cosa c’è da biasimare nella guerra? L’uccidere uomini che un
giorno dovranno morire? Questo è un biasimo non degno di
uomini religiosi … No, male è piuttosto la volontà di fare del
male, la crudeltà della vendetta, il furore e la brama di potere
… Talvolta è necessario che gli uomini buoni intraprendano la
guerra contro gli uomini violenti per comando di Dio o del governo
legittimo quasi costretti dalla situazione al fine di mantenerel’ordine
(CantraFaustum).
«Il soldato che uccide obbedendo al comando del potere legittimo» – arriva a dichiarare Agostino — «non è colpevole di omicidio, ma anzi sarebbe colpevole di disobbedienza se trascurasse l’ordine ricevuto». La pace mette termine a ogni ribellione e resistenza ed è l’augurabile conclusione della guerra, vista come una realtà terribile che nessuno desidera in sé ma che appare a volte purtroppo imprescindibile. La Chiesa, conclude Agostino, «può perseguitare gli empi per amore … costringendoli con la forza ad essere accolti nel suo seno».
Non si può non vedere come la distinzione (o contrapposizione) fra la natura edenica e anteriore alla storia — che implica l’uguaglianza fra gli individui, la fratellanza e quindi la pace — e d’altra parte la natura ribelle alla volontà divina e ormai deviata che vive nel «secolo» abbia avuto enormi conseguenze. Essa conduce infine alla tragica consapevolezza del dovere di ricondurre gli increduli e i dissidenti (gli eretici) alla verità rivelata da Dio e custodita dalla Chiesa stessa. Ciò non può che avvenire attraverso un’altra violenza: la violenza della guerra.
Anche il pontefice Gregorio Magno loderà la conquista dei territori perché in tal modo «il regno di Cristo allarga i suoi confini». Papa Gregorio inviterà i sovrani a «opporsi con l’acutezza della mente e la forza materiale ai nemici suoi e della chiesa». E san Gregorio di Tours inciterà i principi cristiani alla guerra per «ottenere la pace», proprio come aveva insegnato Agostino («Perciò devi essere pacifico in guerra e vincendo il nemico devi portarlo alla pace»).
Più tardi il biografo di Carlo Magno, Eginardo, scriverà che le guerre del suo sovrano contro i Sassoni hanno avuto anche il merito di aver reso più ampio il regno cristiano: «I Sassoni avevano conservato le superstizioni diaboliche e i culti dei loro antenati. Vinti, dopo aver adottato i sacramenti della fede cristiana saranno uniti ai Franchi in un unico popolo». Vinti, ma anche massacrati se rifiutano il battesimo: l’imperatore stesso dichiara, scrivendo al pontefice, che è suo dovere proteggere la Chiesa all’interno e da ogni lato contro le incursioni pagane. «A voi padre spetta innalzando le mani al cielo come Mosè sostenere il mio braccio affinché il popolo cristiano possa trionfare sui suoi nemici.»
MARIATERESA FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI
Da “Cristiani in armi” – Laterza
Foto: Rete