MONDO BIZANTINO -L’imperatore in idea

Costantino IX raffigurato in un mosaico della Basilica di Santa Sofia

Dio compose l’universo con ordine ed era Suo desiderio che la vita umana avesse a condursi in modo analogo. Osservando – sia nelle relazioni sociali sia nella sfera del privato – il principio di un ordine divinamente eletto noi veniamo a conformarci all’armonia dell’universo; la vita sulla terra, pur con tutte le imperfezioni che le si accompagnano, viene in qualche modo ad assomigliare alla vita in Cielo.

Come l’universo è governato monarchicamente da Dio, così il genere umano è governato dall’imperatore romano. L’Incarnazione di Cristo […] venne provvidenzialmente al momento opportuno, sì da coincidere con l’affermazione dell’impero romano che pose fine a dissensi e guerre e cioè al disordine causato dalla divisione del potere tra più Stati autonomi (polyarchia). Dio non si limitò a disporre l’esistenza dell’Impero, Egli scelse anche ogni singolo imperatore, e questa è la spiegazione della mancanza di regole umane formulate per la sua elezione. Ciò non significa che l’imperatore sia sempre una brava persona: nella Sua sapienza Iddio può deliberatamente scegliere un cattivo imperatore sì da punire l’umanità per i suoi peccati. Le alternative al legittimo governo imperiale erano l’usurpazione (tyrannis) e l’anarchia. Il tyrannos era una persona che cercava di diventare imperatore in opposizione alla volontà di Dio e necessariamente falliva; ma se riusciva nel suo intento allora Dio era dalla sua parte e quegli pertanto cessava di essere un usurpatore. L’assenza di un’unica autorità ovvero il governo della massa (demokratia) equivaleva alla confusione.

Dio governa l’umanità ispirando timore dell’Inferno e promettendo ricompensa in Cielo; in altri termini, con il bastone e la carota. Del pari l’imperatore governa i suoi sudditi con il terrore: i suoi nemici vengono messi in prigione o al bando, vengono ridotti a mite consiglio dalla frusta, vengono privati della vista o della vita. Anche gli innocenti «lo servono tremando»: possono essere mandati in battaglia o possono avere affidata qualche mansione poco piacevole, ma non v’è chi osi disubbidire. Certo è preferibile per l’imperatore governare su sudditi ben disposti nei suoi confronti; per ottenere ciò egli deve manifestare certe qualità che vengono condivise anche da Dio. Anzitutto deve amare il suo prossimo, essere cioè philanthrópos. Pur restando ‘terribile’ per la sua autorità, deve farsi amare esercitandola beneficenza. Specialmente generosità e clemenza si addicono all’imperatore, ma egli deve anche insistere sulla debita osservanza della legge (eunomia). Quanto a sé, deve essere capace di autocontrollo e di circospezione ma anche risoluto nell’agire e lento nell’adirarsi. La sua speciale posizione viene comunque a definirsi anzitutto per il suo rapporto con Dio, l’unica entità di cui egli ha reale bisogno. Il suo più grande ornamento è pertanto la pietà (eusebeia). Egli è, per definizione, fedele di Cristo (pistos en Christo) e amante di Cristo (philochristos): attributi, questi, espressi nella titolatura, come anche il suo carattere vittorioso (niketes, kallinikos), poiché la vittoria gli era concessa a premio della sua pietà.

Basilio II incoronato dagli angeli e omaggiato dai sudditi, copia di una miniatura del Salterio di Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana

L’imperatore era santo (hagios) e nei ritratti soleva essere rappresentato con l’aureola. Del pari sacro era il suo palazzo, una domus divina, circondata da una zona protettiva che stava a sé (nam imperio magna ab universis secreta debentur). Le sue apparizioni in pubblico erano regolate da un cerimoniale che rifletteva l’armonioso lavorio dell’universo ed era esso stesso sinonimo di ordine (taxis). I suoi sudditi comunicavano con lui per mezzo di acclamazioni che erano ritmiche e ripetitive come nella divina liturgia; quando erano ricevuti in udienza si prostravano al suolo. Ciò che l’imperatore era per i sudditi Iddio era per l’imperatore, e pertanto a partire dal settimo secolo troviamo rappresentazioni dove l’imperatore terrestre compie quel medesimo gesto (adoratio o proskynesis) dinanzi a Cristo in trono.

L’imperatore era anche un sacerdote – un secondo Melchisedec? Bisogna ammettere che all’epoca della conversione di Costantino la sua posizione nei confronti della Chiesa non era stata elaborata chiaramente e che rimase piuttosto ambigua sino alla fine: non si tracciò una precisa linea di demarcazione tra imperium e sacerdotium, fatto che spesso portò a conflitti di competenze. Possiamo comunque affermare che l’imperatore non esercitò mai la funzione sacerdotale dell’offerta del sacrificio eucaristico e che di norma non definì il dogma religioso, ma venne considerato quale responsabile ultimo del compito di mantenere la purezza della fede, di convocare i Concili ecumenici della Chiesa e di procurare la conversione degli eretici. Probabilmente l’enunciazione più enfatica dell’autorità episcopale rispetto a quella dell’imperatore attestata in un documento bizantino ufficiale è da trovarsi nella raccolta legislativa di Basilio I, che si ritiene ispirata dal patriarca Fozio. Il patriarca di Costantinopoli viene qui descritto come «vivente immagine di Cristo», e il suo fine è la salvezza del popolo ortodosso, la conversione degli eretici e finanche l’incitamento agli infedeli perché divengano ‘imitatori’ della vera fede. Tuttavia Leone VI, il successore di Basilio, legiferò su questioni di pura pertinenza ecclesiastica e giunse a rimproverare il suo patriarca perché assumesse un ruolo più attivo nelle vicende che lo riguardavano.

In teoria l’imperatore governava su tutti gli uomini o almeno su tutti i cristiani ortodossi. L’esistenza di sovrani pagani non contravveniva a questo postulato: fintantoché i pagani restavano non convertiti, erano al di fuori della sfera principale della Provvidenza divina; se però abbracciavano il Cristianesimo ortodosso, ipso facto riconoscevano che l’autorità ultima era dell’imperatore. Tutto ciò può essere stato una plausibile approssimazione alla verità nel primo periodo bizantino, quando si elaborò la struttura dell’ideologia imperiale; divenne sempre meno difendibile con il sorgere di altri Stati cristiani indipendenti nel corso del Medioevo. Venne allora messa in circolazione e debitamente promossa dalle prescrizioni del cerimoniale di corte la finzione della ‘famiglia dei principi’, dove l’imperatore bizantino occupava una posizione di primato. A curioso commento dell’incapacità bizantina di ripensare i propri principi valga il fatto che il mito imperiale continuava a essere propugnato alla fine del quattordicesimo secolo, quando l’Impero era limitato al territorio di Costantinopoli.

 

CYRIL MANGO

Da “La civiltà bizantina” – Laterza

Foto: Rete

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