
Sito archeologico di Dodona
A Dodóna – disse – era andato, a sentire
il consiglio di Zeus, dalla quercia alta chioma del dio,
come deve tornare fra il ricco popolo d’Itaca,
da cui manca da tanto, se apertamente o in segreto.
OMERO, Odissea XIV, 327-330
PER un momento mi sembrò di essere la titolare di una rubrica della posta del cuore su un rotocalco: chiedetelo a Donna Letizia.
«Devo assumere la tutela del bambino?»
«È meglio che Onasimo si sposi adesso, o è meglio che lasci perdere?»
«Perché mia moglie Menisca non mi dà figli?»
«Posso sapere qualcosa di più preciso sulla signora N.?»
Ma le lettere e le lagnanze avevano, nell’insieme, duemilacinquecento anni, erano scritte su sottili lastre di piombo, e la gentile signora che me le presentava era la direttrice del museo di Giannina.
Il museo è un modernissimo complesso di edifici, in spiccato contrasto con la piccola città della Grecia settentrionale. […]
La collezione di varie centinaia di tavolette oracolari è certo la più ricca del mondo. Non c’è da meravigliarsi, perché Dodóna, che sorge a ventidue chilometri a sud di Giannina, in una valle montagnosa raggiungibile solo attraverso un erto valico, è l’oracolo più antico del mondo greco.
Si potrebbe pensare che gli oracoli fossero consultati solo da personalità eminenti, su problemi d’interesse mondiale. Quest’idea è sbagliata. Certo si basa sul fatto che gli storici antichi, come Erodoto, Tucidide, Diodoro e Pausania, hanno tramandato soltanto i responsi oracolari più importanti. Ma la maggioranza delle risposte non è citata in nessun libro di storia. Esse si occupano di problemi che ancor oggi ci assillano, preoccupazioni quotidiane, professione e famiglia. Le tavolette di Dodona dimostrano che il nostro mondo è diventato, sì, più vecchio, ma non è cambiato affatto.
Ariston, un uomo d’affari del V secolo, chiede se per lui sia vantaggioso e possibile procrastinare la data del suo viaggio a Siracusa. Un certo Lisia vorrebbe sapere se avrà successo nel commercio marittimo e se deve sottoscrivere delle carature. Gli abitanti di Dodona chiedono con rimprovero perché Zeus ha mandato un inverno così rigido, quando c’è tanta povera gente che ne soffre. Gli abitanti del porto cretese di Fenice vogliono sapere se non sia forse meglio spostare l’ubicazione del tempio di Atena Poliade. E un anonimo avanza il sospetto che Vostrycha, la figlia di Dorcone, abbia rubato il denaro che Dione aveva prestato alla signora Actia. «Non è stato così?»
A ognuna di queste domande l’oracolo di Zeus a Dodona sapeva dare una risposta. Molte erano enigmatiche e misteriose, e i richiedenti ne sapevano quanto prima. Che cosa poteva farsene, l’uomo d’affari, di una risposta come: «Non affidar nulla alla terra!» Ma c’erano anche risposte chiare, che rafforzavano il cliente nella sua azione futura.
Così Timodamo, proprietario di miniere d’argento, il quale chiedeva dove fosse meglio impiegare il suo denaro, in una flotta mercantile o in un negozio. «Resta in città e apri un negozio», fu la risposta dei sacerdoti, scritta direttamente sotto la domanda, sulla tavoletta di piombo. […]
Quando Zeus abitava ancora nella quercia
[…] Il grande Zeus, qui, fra i monti, godeva di una forma di culto sconosciuta nel resto del continente, e perciò tanto più impressionante: Zeus, raccontavano gli abitanti di Dodona, risiedeva in una gigantesca quercia sacra al centro del suo santuario. Le origini di tale culto risalivano certamente alla frequenza dei fulmini attirati in modo particolare dalla quercia. È noto il vecchio proverbio sui temporali: «Guardati dalla quercia…»
II culto dell’albero aveva una notevole importanza nella cultura minoica. Tuttavia non si possono stabilire rapporti fra Dodona e Creta. Il professor Parke ha scoperto un nesso molto più interessante. Egli afferma:
La quercia di Dodona trova il suo parallelo più evidente non tanto in Grecia quanto in Italia, e ancor più in regioni lontanissime dell’Europa del Nord, come la Germania pagana, dove la divinità celeste indoeuropea veniva spesso venerata in una quercia sacra.
In realtà esistono affinità sorprendenti, soprattutto con i leggendari selli, i sacerdoti della regione montuosa di Dodona che conducevano una vita fin troppo ascetica, non potevano mai lavarsi i piedi e dovevano dormire sulla nuda terra, prima d’incontrare il loro dio. Ai tempi della guerra troiana essi erano ancora attivi; infatti nell‘Iliade leggiamo (XVI, 233-238):
Signore Zeus, dodoneo, pelasgico, che vivi lontano,
su Dodona regni dalle male tempeste: e intorno i selli
vivono, interpreti tuoi, che mai lavano i piedi, e dormono in terra;
come ascoltasti una volta la voce del mio pregare,
dandomi gloria, molto punisti l’esercito acheo;
così ora compimi questo voto.
Ancor oggi i selli omerici presentano vari problemi agli storici. Le loro consuetudini non sono meno inesplicabili dell’origine del loro nome. Il fatto che andassero esclusivamente a piedi nudi, invece, non è tanto sorprendente, perché allora Dodona era abitata soltanto d’estate. Anche la loro attività divinatoria è ben nota: i selli ascoltavano il mormorio della quercia sacra e credevano di udirvi delle voci. Una domanda lanciata ad alta voce nel vento, trovava risposta nel mormorio e nel fruscio delle foglie di quercia. Ancor oggi questo riesce comprensibile a chi visiti Dodona. Un gelido soffio di vento spira quasi di continuo per la silenziosa vallata.
Ma, accanto ai selli, nell’antica Dodona svolgevano la loro attività anche delle profetesse. Erodoto, Pindaro e altri scrittori dell’antichità riferiscono che erano in tre. Sembra che le affinità con le usanze germaniche e indiane siano una pura coincidenza.
Herbert W. Parke afferma:
Questi paralleli italici, nordeuropei e indiani con Dodona non riguardano tanto l’oracolo, quanto il culto di divinità maschili. La somiglianza si può spiegare soprattutto con il fatto che hanno tutti un carattere primitivo e la loro origine risale ai culti più antichi di queste diverse regioni, in cui si sono diffusi gli indoeuropei.
Tracce che portano a nord e a sud
Un’altra versione sull’origine dell’oracolo è offerta da Erodoto. Egli definisce Dodona il più antico oracolo della Grecia, e molte prove suffragano la sua affermazione. Le sacerdotesse dell’oracolo di Dodona, Promenìa, Timarete e Nicandre, ai tempi di Erodoto raccontavano volentieri questa storia: a Tebe d’Egitto due colombe nere erano volate via, e dopo molti giorni di volo erano giunte in Libia e in Grecia. Ogni colomba parlava con voce umana. La colomba arrivata in Libia ordinò di fondare un oracolo di Ammone, e così avvenne. Quella capitata in Grecia si era posata su una quercia presso Dodona e aveva ordinato «che doveva lì sorgere un oracolo di Zeus» (n, 55).
È un esempio interessante della mitizzazione di un avvenimento storico, i cui dati di fatto erano divenuti inafferrabili. A ogni modo Erodoto afferma (n, 57) che gli oracoli e l’arte della profezia erano stati introdotti dall’Egitto in Grecia. Nel tempio di Ammone a Tebe, Erodoto apprese in seguito la «vera» storia: i fenici avevano rapito due sacerdotesse degli oracoli di Tebe, e le avevano vendute come schiave, una in Libia e l’altra in Grecia. Le due veggenti attrassero l’attenzione dei nuovi padroni sulle loro facoltà, e fondarono entrambe un oracolo.
Erodoto dice letteralmente (n, 56, 57):
Se realmente i fenici rapirono le donne consacrate al dio e ne vendettero una in Libia e l’altra in Grecia, io ritengo che nell’attuale Grecia, in quella stessa regione che era prima chiamata Pelasgia, quella donna sia stata venduta nel paese dei tesprozi; e che poi, vivendo là come schiava, innalzasse un tempio di Zeus sotto un faggio cresciuto spontaneamente, poiché era naturale che essa, che era stata in Tebe ministra nel tempio di Zeus, si ricordasse di lui là dov’era giunta. In seguito fondò un oracolo, dopo che ebbe appresa la lingua greca. E ritengo che sia stata essa a narrare che sua sorella era stata venduta in Libia dagli stessi fenici dai quali lei stessa era stata venduta.
«Colombe» poi io credo siano state chiamate dai dodonei le donne per questo, perché erano barbare, e sembrava loro che emettessero voci simili a quelle degli uccelli… Dicendo poi che la colomba era nera indicano che la donna era egiziana.
Resta a vedersi se Erodoto, con la sua predilezione per la cultura e la religione egiziane, narri davvero con precisione l’origine del santuario di Dodona. Le tesi sostenute da Sotiris Dakaris sono magari meno ricche di fantasia, ma coincidono molto di più con le conoscenze acquisite dalla storia comparata delle religioni riguardo ad analoghi culti.
Sotiris Dakaris, cui si debbono gli scavi di Dodona, si rifa’ ai ritrovamenti di ceramiche preistoriche, datando gli inizi del culto tra il tardo Elladico primitivo e il primo Elladico medio, cioè al 2000 a.C. circa. Egli rimanda così allo stretto rapporto della colomba con la religione cretese-micenea, dove la colomba è venerata come simbolo divino e animale sacro. Zeus prese stabile dimora a Dodona solo nel XIII secolo. La quercia, in greco drys, dal punto di vista linguistico ha una radice indogermanica, e il culto della quercia fu importato probabilmente dai tesprozi migrati dal nord.
Dakaris ha rinvenuto a Dodona tre diversi sostrati culturali: all’inizio VI fu il culto della quercia sacra, seguì il culto della dea della terra, Gea, e infine, nel XIII secolo, il culto della quercia sacra si unì a quello di Zeus. Lo storico dublinese Herbert W. Parke è di avviso contrario, quando afferma:
Non dobbiamo presumere, come hanno fatto alcuni studiosi, che a Dodona, nell’età più antica, sia esistito un culto della Madre Terra. Infatti non vi sono prove della precedente esistenza di una divinità femminile, com’era probabilmente il caso di Olimpia. In età classica Zeus, nell’Epiro, aveva una compagna, Dione, ma tutto lascia pensare che sia esistita in modo indipendente da lui.
L’origine e il nome degli dèi di Dodona erano già contestati ai tempi di Erodoto. Lo storico-viaggiatore del V secolo a.C. racconta che le divinità venerate a Dodona all’inizio non avevano neppure un nome, e si era dovuto perfino interrogare l’oracolo per sapere quale fosse il nome delle divinità lì presenti, e queste erano divinità dell’Egitto. Erodoto scrive:
«Quando dunque i pelasgi chiesero all’oracolo di Dodona se dovessero adottare i nomi che provenivano dai barbari, l’oracolo rispose di usarli » (n, 52).
Erodoto sostiene d’aver saputo anche dalle sacerdotesse di Dodona che Omero ed Esiodo furono i primi a dare nomi greci agli dèi.
La discussione su questo culto in realtà è solo una prova della sua origine preistorica, che non ha lasciato nessuna fonte letteraria.
E Sotiris Dakaris afferma:
Lo studio del santuario di Dodona è di così particolare interesse perché qui si è ricondotti alle radici dell’elemento greco originario, prima che fosse influenzato dalla cultura venuta dal sud.
Può essere che il culto della dea ctonia Gea, ipotizzato dal professor Dakaris, non sia dimostrabile, che un arcaico santuario arboreo sia stato occupato più tardi da una divinità superiore: si tratta pur sempre di un processo del quale la storia delle religioni offre numerosi esempi paralleli. Ciò che avvenne a Dodona nell’età più antica costituisce però un caso unico in tutto il mondo antico anche per un’altra ragione; in nessun altro luogo, infatti, l’orecchio acquistò tanta importanza in rapporto a un oracolo.
PHILIPP VANDENBERG
Da “Oracoli” – Longanesi
Foto: Rete