CALABRIA – Arriva l’Homo Sapiens

Grotta del Romito – Papasidero

La fine del Musteriano italiano è fissata a 37mila anni fa (anche se in diverse località sono stati segnalati stazionamenti neandertaliani fino a 24mila anni fa). A iniziare da questo momento o da una data di poco successiva, una netta variazione di industrie introduce alle civiltà del Paleolitico superiore, all’inizio del quale non si può assegnare un significato climatico. Tutta la prima parte, infatti, è caratterizzata da fasi di tempo buono mentre la seconda coincide con una fase di massima espansione dei ghiacci, seguita dallo scioglimento dei ghiacci e dall’inizio del Neolitico.

Nell’area nordoccidentale (Praia a Mare, Scalea, Cirella) i luoghi in cui si era sviluppata e diffusa la civiltà musteriana risultano in gran parte disabitati. Non si vuole affermare con questo che tali aree non furono più frequentate, specie in un intervallo caldo come quello che caratterizzò il debutto del Paleolitico superiore, anzi un miglioramento climatico e il relativo insediamento di una fitta vegetazione fin sulla cima dei monti devono essere stati certamente un fattore stimolante l’aumento delle popolazioni di cacciatori. Ma le aree di insediamento precedente erano tutte prossime al mare; l’innalzamento del livello del quale ebbe come conseguenza che molte di esse furono lambite dalle onde (ad esempio la grotta di Torre Nave), altre circondate dal mare (ad esempio lo scoglio di Torre Talao), altre, infine, invase dalle acque che spazzarono via le eventuali tracce di stanziamenti precedenti (ad esempio le grotte di Arcomagno, del Prete e quelle intorno all’Isola di Dino).

Le testimonianze insediative durante il Paleolitico superiore antico sono, invece, frequenti nella Calabria centro-meridionale dove la mancanza di grotte naturali aveva, fin dal Paleolitico inferiore, condotto a diversi stanziamenti a cielo aperto. A questo tipo di insediamenti bisogna attribuire quelli della Piana di Lamezia e, in particolare, Caselle di Maida; essa segna il passaggio probabile dalla cultura del Paleolitico medio a quello del Paleolitico superiore di nuove popolazioni insediatesi in una vasta pianura sufficientemente lontana dal mare ma ricca di acque interne e circondata da una fitta vegetazione. Al periodo immediatamente successivo (circa 30mila anni fa) va attribuita la stazione di Punta Safò, presso Briatico, il cui rinvenimento consente una precisa attribuzione cronologica in base alle industrie ma è piuttosto deficitario per quanto riguarda le caratteristiche ambientali. Tuttavia, dalle analisi dei suoli circostanti il deposito si deducono scarse possibilità che si tratti di un insediamento stabile a causa dell’esistenza di paludi costiere formate aldilà del cordone dunare.

Manca, alla storia del popolamento calabrese, tutto l’arco di tempo compreso fra lo stazionamento di Punta Safò e gli insediamenti notissimi dell’area nordoccidentale di Torre Nave, Torre Talao e San Giovanni a Cirella e Papasidero. Qui, infatti, si è in una fase culturale più tarda, caratterizzata da quella tradizione con piccole punte a dorso ben noto in tutta l’Europa meridionale lungo un arco di tempo della durata di circa 13mìla anni (da 24mila anni a 11mila anni). Questa cultura del microlitismo tradisce ancora una volta un significato ecologico legato a fasi climatiche fredde e alla necessità di esplorare territori di caccia abbastanza vasti. I maschi delle tribù si allontanavano dalle famiglie per periodi di caccia abbastanza lunghi e non potevano portare dotazioni di armi pesanti che avrebbero impedito l’inseguimento delle prede. In altre parole, si tratta di un adattamento all’ambiente di tipo culturale inteso come ottimizzazione dello sfruttamento delle risorse territoriali. Non è un caso, infatti, che il Paleolitico superiore finale si affermi in coincidenza con il centro della glaciazione, quando le cime della regione si ricoprirono di piccoli ghiacciai di circo, mentre l’abbassarsi del limite climatico delle nevi permanenti resero gelati tutti i suoli circostanti. Ciononostante, fra la pianura e le aree glacializzate vi fu una fascia di rifugio pedemontano che fu certamente frequentata e sfruttata se non durante tutto l’anno. In tale quadro climatico va inserita, con molta probabilità, la cultura rinvenuta nel deposito basale della Grotta del Romito.

Torre Nave – Tortora

Faune e industrie associate (relativamente ai livelli medio-bassi) hanno rivelato, a una analisi con il C14> una età media di 19mila anni da oggi, in piena glaciazione. La quota a cui la Grotta è ubicata si aggira intorno ai 200-300 m rispetto all’attuale livello del mare (ma durante questa fase glaciale il livello del mare si abbassò fino a -120-140 m); nel primo stadio di frequentazione, quindi, essa si trovò inserita in quella fascia di rifugio pedemontano già menzionata, mentre le cime dei monti vicini e più elevati erano sede di ghiacciai. Le nevi vi stazionavano per periodi più o meno lunghi mentre i suoli, gelati per buona parte dell’anno, non consentivano lo sviluppo di un’adeguata vegetazione arborea, bensì temporanee praterie estive. La fascia di transizione, ricca di boschi o di selvaggina, potrebbe essere stata frequentata per motivi di caccia; con ogni probabilità la Grotta fu utilizzata come riparo temporaneo per più stagioni, in un’area destinata alla caccia e alla ricerca di materiali litici.

La Grotta della Madonna a Praia a Mare rappresenta il residuo di un antico sistema idrografico su calcari mesozoici. […]

Dall’analisi di tutte le componenti (industrie in pietra, resti di vertebrati e invertebrati, carboni ecc.) si possono trarre le seguenti conclusioni:

  • la grotta è stata abitata a partire dal 12.600 +/- 150 anni senza soluzione di continuità, se si eccettua un breve periodo in età imperiale romana;
  • le associazioni faunistiche indicano, per tutta la serie iniziale, la persistenza di un clima freddo. Ne sono conferma, oltre alla presenza di vertebrati tipici, frequenti anche in altri giacimenti, ad esempio, l’uro (Bos primigenius), l’Alca impenne (Alca impennis), uccello dell’Emisfero settentrionale scambiato spesso per un pinguino, ma appartenente alla stessa famiglia degli albatros (l’ultimo esemplare è scomparso nel 1844) e la grande quantità di lische di trota marmorata (Salmo trutta), probabilmente pescata lungo il corso del fiume Noce;
  • la frequenza alta di questa specie riflette particolari condizioni termiche delle acque fra cui una temperatura media annua di 5°- 10° e una quantità di 7-8 cc di ossigeno/litro di acqua. Questa specie è (negli scavi) strettamente associata a gusci (in migliaia di esemplari) di Helix ligata, una chiocciola di acclimatazione difficile in prossimità del mare, perché la salsedine ne brucerebbe l’apparato respiratorio.

Bos Primigenius – Grotta del Romito

Il paesaggio in cui si muoveva questo gruppo umano era, dunque, quello di una relativamente ampia pianura costiera, limitata da torrenti abbastanza freddi e profondi da consentire l’esistenza di una fauna ittica particolare e con a monte una corona di cime sufficientemente elevate da essere glacializzate. Il gruppo non aveva probabilmente vicini immediati e viveva di caccia, pesca, raccolta di molluschi e di vegetali. Infatti, negli scavi del Paleolitico superiore i molluschi marini sono rappresentati in maniera percentualmente esigua rispetto alle Helix e ad altri molluschi terrestri. Le specie presenti indicano operazioni di raccolta lungo la spiaggia di specie lì trascinate dalle onde di tempesta. La raccolta sembra essere stata sempre di tipo intenzionale; le varie specie di patelle presentano, infatti, orli sfrangiati a causa dell’introduzione forzata di utensili che consentissero il distacco dal substrato cui il mollusco aderiva. L’uso è quasi sempre alimentare, ma non mancano esempi di utilizzazione ornamentale (trattamento riservato alle specie meno comuni) come è dimostrato dal foro praticato all’estremità di essi.

La progressiva diminuzione di Helix e l’aumento delle specie francamente marine nei livelli superiori fanno supporre il progressivo miglioramento climatico. La data di 9020 +/- 125 anni (rispetto agli anni Sessanta del secolo scorso), effettuata sui carboni dei tagli 40/50, segna la fine del Paleolitico superiore e l’inizio del Mesolitico. Esso corrisponde, oltre che a una differenziazione di cultura, a mutate condizioni di vita. Un’ulteriore variazione è ancora segnalata negli scavi della grotta; si tratta del Neolitico. Le specie animali variano totalmente e vengono sostituite da animali domestici. È l’inizio della pastorizia e dell’agricoltura e il definitivo fermarsi delle tribù nomadi.

 

GIOACCHINO LENA

Da “Viaggio geoarcheologico attraverso la Calabria” – Rubbettino

Foto: RETE

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