La Settimana santa, ieri ed oggi

Processione del Venerdì santo

Al centro delle celebrazioni pasquali si pone la grande e santa settimana compresa fra la domenica delle Palme e quella della Resurrezione: la prima prelude alla seconda, vertice del triduo pasquale, e dunque di tutta la vita e la liturgia cristiana.

La Settimana santa è nata a Gerusalemme nei primi secoli per rivivere gli avvenimenti della Passione, e poi si è sviluppata in Occidente con caratteristiche diverse, tant’è vero che oggi l’analogia si riduce alla processione delle Palme e all’adorazione della Croce al venerdì santo. Se vi fu dunque imitazione, questa fu soprattutto nello spirito.

Sulla Settimana santa a Gerusalemme possediamo una descrizione molto particolareggiata di una monaca occidentale, Egeria o Eteria, che si recò in pellegrinaggio in Palestina intorno all’anno 400.

Le celebrazioni cominciavano il sabato, vigilia delle Palme, quando i fedeli si recavano al Lazarium, la chiesa di Betania che ricordava la resurrezione di Lazzaro. La domenica mattina si saliva al Martirium, la chiesa della Passione sul Golgota; e, al pomeriggio, prima al monte degli Ulivi, poi all’Eleona, la grotta dove Gesù ammaestrava i suoi discepoli e, ancora più in alto, all’Imbomon, la chiesa dell’Ascensione, dove veniva letto il passo del Vangelo sull’ingresso del Signore a Gerusalemme. A questo punto, narra la monaca, «il popolo tutto cammina davanti al vescovo al canto di inni e antifone, rispondendo sempre Benedetto Colui che viene nel nome del Signore; tutti recano in mano rami di palma o di ulivo, e così si accompagna il vescovo nel modo in cui il Signore venne scortato quel giorno. Dall’alto della montagna fino alla città, e da lì fino all’Anastasis [la chiesa della Resurrezione], attraversando la città tutti percorrono la lunga strada a piedi». Così è nata la processione delle Palme, che si diffuse prima in Oriente e poi in Europa cominciando dalla Spagna e dalla Gallia, mentre Roma l’avrebbe adottata più tardi.

Il martedì, dopo una riunione nell’Anastasis, il popolo cristiano si recava all’Eleona per ascoltare il vescovo che vi leggeva il passo di Matteo (24,4): «Gesù rispose: “Guardate che nessuno v’inganni; molti verranno nel mio nome dicendo: Io sono il Cristo; e trarranno molti in inganno”».

Il mercoledì il vescovo leggeva nell’Anastasis il passo evangelico del tradimento di Giuda. Il giovedì santo, dopo alcune riunioni e due messe all’Anastasis, al Martirium e alla Croce, ci si ritrovava la sera, dopo cena, all’Eleona e si trascorreva la notte sul monte degli Ulivi commemorando gli ultimi discorsi di Gesù e la sua agonia. Ridiscesi in processione al luogo in cui si ricordava l’arresto del Cristo, i fedeli rientravano infine in città quando stava albeggiando, per poi recarsi alla Croce dove si leggeva il processo di Gesù davanti a Pilato. Era assente qualsiasi rievocazione dell’Ultima Cena né si svolgevano, come a Roma, la riconciliazione dei penitenti e la benedizione degli oli santi.

Il venerdì si trascorreva nell’adorazione della reliquia della Croce, che tutti andavano a baciare sotto la sorveglianza del vescovo e dei diaconi, per poi recarsi nel pomeriggio nell’atrio fra la Croce e l’Anastasis, dove si tenevano lunghissime letture dai vari Vangeli fra pianti e lamentazioni. Infine ci si recava al Martirium e all’Anastasis, dove veniva letto il passo sulla sepoltura del Signore.

Il sabato invece veniva celebrato come in Occidente, sicché la pellegrina si limita a osservare: «Le vigilie pasquali si celebrano come da noi».

La sera della domenica di Resurrezione era prevista una stazione al Cenacolo per ricordare l’apparizione di Gesù agli apostoli; e già si celebrava anche un’ottava con stazioni diverse ogni giorno, riunendosi la domenica successiva nel Cenacolo di Sion per commemorare l’apparizione del giorno ottavo alla presenza dell’incredulo Tommaso.

Processione del Venerdì santo

A Roma la Settimana santa giungerà verso il V secolo con riunioni e messe multiple. L’ottava invece apparirà solo nel VI secolo con stazioni, ovvero celebrazioni solenni in varie basiliche: non era però una vera ottava perché finiva al sabato in albis, quando si festeggiava al Laterano, insieme con i nuovi battezzati vestiti per l’ultima volta con i loro abiti bianchi, l’ottava dell’illuminazione della notte pasquale. Quel sabato chiudeva allora la Pasqua: per questo motivo era detto clausum Paschae. Solo nel VII secolo sarebbe nata la domenica ottava post albas, dopo le vesti bianche.

Ma torniamo all’attuale liturgia: la domenica delle Palme e della Passione di Gesù – così chiamata nel nuovo calendario – è il primo gradino della Settimana santa. Ispirandosi al racconto di Giovanni, i primi cristiani vi ricordavano l’ingresso del Cristo in Gerusalemme sulla groppa dell’asina, mentre la folla lo festeggiava agitando rami di palma.

I Greci chiamavano la palma phoìnix, come l’uccello paradisiaco, la fenice, che rinasceva miracolosamente dalle proprie ceneri e si nutriva di perle e incenso: pianta solare per eccellenza con le foglie simili a raggi, era simbolo del divino nel suo splendore e anche emblema della Vittoria che i Romani chiamavano dea Palmaris.  Sicché con i rami agitati festosamente la folla acclamava Gesù messia e re di Israele, giunto a liberare il suo popolo: eppure in quel gesto esprimeva inconsapevolmente il profetico simbolo della vera sua vittoria nella Resurrezione e Ascensione.

Su questo simbolismo dell’albero solare fiorì più tardi una leggenda narrata nel Vangelo dello Pseudo Matteo.

Un giorno, durante la fuga in Egitto, Maria si sentiva affaticata per la calura del deserto. Vedendo una palma disse a Giuseppe: «Vorrei riposare un poco alla sua ombra». Quando si fu seduta sotto l’albero, si accorse che la chioma era carica di datteri. «Giuseppe» esclamò, «vorrei, se fosse possibile, raccogliere quei frutti.» «Mi meraviglio delle tue parole!» rispose il marito. «Non vedi quanto è alta la palma? Come puoi pensare di mangiarne i frutti? Io mi preoccupo invece della penuria d’acqua. Gli otri sono vuoti e non so come fare per dissetare noi e gli asini.»

Allora Gesù Bambino, che stava riposando nel grembo della Madonna, disse: «Piegati, albero, e ristora mia madre con i tuoi frutti». E subito la palma chinò la cima fino ai piedi di Maria che potè coglierne i datteri.

Quando tutti si furono saziati, Gesù le ordinò: «Rialzati e riprendi vigore, e sii compagna dei miei alberi che sono nel paradiso di mio padre. E ora apri dalle tue radici la vena che è nascosta sotto terra e lascia fluire da essa acqua a sazietà». Subito la palma si drizzò, mentre attraverso le radici sgorgavano acque limpide, fresche e straordinariamente dolci.

Il giorno dopo, mentre si accingevano a riprendere il cammino, Gesù disse rivolto alla palma: «Ti concedo questo privilegio: che uno dei tuoi rami venga condotto dai miei angeli e piantato nel paradiso di mio padre. E inoltre ti concederò quest’altra benedizione: che a tutti coloro che avranno vinto in qualche competizione si dica loro: “Siete pervenuti alla palma della vittoria”».

Mentre parlava, apparve un angelo del Signore ritto sulla palma e, colto un ramo, volò al cielo. Vedendo il prodigio, Giuseppe e Maria caddero con il volto a terra restando immobili come morti. Allora Gesù, rivolgendosi loro, disse: «Perché nei vostri cuori si è insediata la paura? Non sapete che questa palma, che ho fatto trasportare in paradiso, sarà a disposizione di tutti i santi, nel luogo di delizie, così come è stata a vostra disposizione in questo deserto?».

Nelle catacombe cristiane vi sono epigrafi sepolcrali, lastre di marmo e affreschi che narrano dei martiri: su di essi è inciso un ramo di palma, spesso unito al monogramma del Cristo per indicare coloro che hanno riportato la vittoria spirituale morendo per la fede: nuove fenici rinate dalle loro ceneri grazie alla comunione con la Fenice, con il Cristo, ovvero rami della Palma celeste.

Nella commemorazione dell’ingresso del Signore a Gerusalemme la palma viene sostituita spesso da rami d’olivo, sebbene essi non siano esplicitamente nominati nel racconto evangelico. Tuttavia la presenza di questa pianta non è illegittima: Matteo e Marco, narrando l’ingresso a Gerusalemme, non accennano, come Giovanni, alle palme, ma narrano che la folla aveva tagliato rami dagli alberi e li aveva stesi sulla via al passaggio del Cristo. Potevano anche essere rami di olivo; il quale fin dall’Antico Testamento aveva alluso alla Pasqua nell’episodio della colomba che aveva portato a Noè il ramo d’olivo dopo il diluvio universale: testimonianza della vita che rinasceva sulla terra, pegno della riconciliazione fra il Signore e gli uomini, e dunque profeticamente simbolo della futura venuta del Cristo.

Già nell’apocrifo Vangelo di Nicodemo, che risale al IV o V secolo, l’olivo è considerato simbolo del Cristo, come Albero della misericordia. Vi si narra che quando i giusti si trovavano ancora all’inferno si levò una luce abbagliante come quella del sole, annunziante la discesa agli inferi del Cristo per resuscitare nella gloria divina Abramo, i patriarchii e coloro che con la loro vita buona avevano meritato la salvezza.

Allora Seth, il terzo figlio di Adamo, narrò agli altri abitanti degli inferi: «Ascoltate, profeti e patriarchii Una volta mio padre Adamo, il primo creato, caduto in punto di morte, mi mandò a rivolgere una preghiera a Dio proprio sulla porta del paradiso, affinché mi facesse accompagnare da un angelo fino all’Albero della misericordia e io potessi prendervi dell’olio e ungere mio padre perché si riavesse dalla malattia. Così io feci, e dopo la mia preghiera venne un angelo del Signore che mi chiese: “Che cosa desideri, Seth? Desideri l’olio che cura i malati o l’albero che produce tale olio per l’infermità di tuo padre? Questo non si può trovare adesso. Va’ dunque da tuo padre e digli che quando saranno trascorsi dalla creazione del mondo cinquemilacinquecento anni, allora scenderà sulla terra l’unigenito Figlio di Dio fatto uomo, ed egli stesso ungerà con questo olio; ed egli risorgerà, e con l’acqua e con lo Spirito Santo purificherà lui e i suoi discendenti, e allora guarirà da ogni malattia. Ma ora non è possibile che questo avvenga”. Udendo queste parole, i patriarchi e i profeti si rallegrarono grandemente».

Sulla scia del racconto si formò nel corso del Medioevo una leggenda secondo la quale sulla tomba di Adamo era nato un olivo da cui la colomba avrebbe staccato il ramoscello per Noè e più tardi sarebbe stato tagliato il legno per la Croce. Ma la Croce è simbolicamente il

Cristo stesso, sicché l’olivo trasformato nella Croce allude al Salvatore come Albero cosmico, Asse del mondo che collega cielo, terra e inferi. Per questo motivo alla domenica delle Palme si usa portare nelle case un ramo d’olivo benedetto là dove non è possibile procurarsi un ramo di palma. Il simbolo fu adottato dai pittori senesi, come Simone Martini o Taddeo di Bartolo, che nelle loro Annunziazioni raffiguravano l’angelo con un ramo d’olivo invece che con il consueto giglio: quel rametto era l’annunzio della nascita di Cristo-Olivos.

In origine l’ingresso a Gerusalemme veniva ricordato con la benedizione delle palme o dei rami d’olivo in una cappella fuori della città, dove poi si entrava in processione: si portavano solennemente i Vangeli come rappresentazione del Cristo, oppure la Croce ornata o l’eucaristia in una pisside; oppure – specialmente in Spagna – l’immagine del Salvatore sopra un’asina, che era simbolo allo stesso tempo di regalità e di umiliazione, allusione sia al trionfo del Cristo durante il suo ingresso nella città (perché, come si è spiegato, l’animale era considerato in Oriente cavalcatura dei re e dei sommi sacerdoti) sia alla sua suprema umiliazione, la Crocifissione.

Oggi la commemorazione può svolgersi, secondo le circostanze, in due modi. Il primo è la processione: all’ora stabilita, mentre suonano le campane, i fedeli si riuniscono nella chiesa succursale o in altro luogo che si trovi fuori della chiesa verso la quale si dirigerà la processione. Tutti portano in mano rami di palma o d’olivo. A loro volta il celebrante e i ministri con il diacono, preceduti dal turiferario, dal crocifero e dai ceroferari, raggiungono i fedeli. E dopo il canto dell’antifona Osanna al figlio di Davide e una breve esortazione, il sacerdote a mani giunte invita alla preghiera e quindi asperge i rami con l’acqua benedetta che il ministrante gli porge tenendo aperto davanti a lui il messale.

Letto il Vangelo dell’ingresso del Signore, si forma la processione verso la chiesa d’arrivo, dove si celebrerà la messa, durante la quale verrà letto il racconto della Passione di uno dei tre Vangeli sinottici.

Se non è possibile la processione fuori della chiesa, si celebra l’entrata del Signore al suo interno con un ingresso solenne prima della messa principale. Il celebrante, con un ramo di palma o d’olivo in mano, seguito dai ministri e da una rappresentanza dei fedeli, anch’essi possibilmente con rametti di palma o d’olivo, si reca o all’entrata della chiesa o in un luogo al suo interno, fuori del presbiterio. Dopo il canto dell’antifona si benedicono i rami e si proclama il Vangelo dell’ingresso del Signore in Gerusalemme. Quindi il sacerdote con i ministri, seguiti da un gruppetto di fedeli, si reca processionalmente al presbiterio.

Così si inizia la Settimana santa, che prosegue con il lunedì, il martedì, il mercoledì e la prima parte del giovedì santo: ultimo tratto del cammino quaresimale, durante il quale si adora il Santissimo Sacramento e ci si accosta al sacramento della riconciliazione.

ALFREDO CATTABIANI

Da “Calendario” – Mondadori

Ti potrebbero interessare:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close