LA SCRITTURA, come e dove è stata inventata?

Scribi rappresentati in questo rilievo assiro del VII secolo a. C.- British Museum Londra

 

Ci sono sostanzialmente tre modi per riprodurre una lingua per iscritto, che differiscono tra di loro in base all’unità linguistica rappresentata dal singolo segno: un suono (fonema), una sillaba, una parola.

L’alfabeto, la più diffusa forma di scrittura del mondo moderno, appartiene al primo tipo: in linea di principio, un alfabeto prevede un segno distinto (una lettera) per ogni fonema, cioè per ogni unità fonetica di base della lingua. In pratica non è così, perché quasi tutti gli alfabeti hanno meno segni di quanti sono i fonemi che devono rappresentare. Le nostre 21 lettere non bastano a trascrivere i più di 30 suoni-base dell’italiano, con il risultato che alcuni di questi devono essere riprodotti con particolari combinazioni di lettere: è il caso ad esempio del suono «sc» della parola «sciare», un suono che altri alfabeti (come il cirillico) riescono invece a denotare con un singolo segno.

Una seconda strategia si serve dei cosiddetti logogrammi, cioè segni che rappresentano intere parole. È quello che accade con quasi tutti i caratteri cinesi e con uno dei due sistemi in uso in Giappone (il kanji). Prima dell’avvento degli alfabeti, questi tipi di scrittura erano assai comuni, e comprendevano i geroglifici egiziani e i caratteri cuneiformi dei sumeri.

La strategia forse meno nota è quella sillabica. Gran parte di questi «pseudo-alfabeti» hanno segni distinti solo per le sillabe formate da una consonante seguita da una vocale (come in «fo-ne-ti-ca») e utilizzano vari trucchi per riprodurre gli altri suoni. I sistemi sillabici erano diffusi nell’antichità, come mostra il caso della lineare B micenea. Oggi sono utilizzati ad esempio nelle due serie dei kana giapponesi.

Ho volutamente parlato di «strategie» e non di «forme», perché nessun sistema di scrittura segue rigidamente una delle tre. Il cinese non usa solo logogrammi, e le lingue occidentali non si limitano agli alfabeti (pensiamo ai numerali, o a simboli di uso comune come «+», « % » e così via, tutti segni che rappresentano un’idea e non un suono). La lineare B era per contro ricca di logogrammi, e gli egiziani usavano molti segni sillabici e addirittura alfabetici.

Inventare un sistema di scrittura dal nulla deve essere stato incomparabilmente più difficile che prenderne in prestito uno dai vicini e adattarlo alle proprie esigenze. I primi scribi dovettero pensare a cose che oggi diamo per scontate: ad esempio, escogitare un modo per suddividere il flusso della lingua in unità di base, fossero queste parole, sillabe o fonemi; individuare una forma «standard» per queste unità che non tenesse conto delle normali variazioni di volume, altezza, velocità, enfasi e idiosincrasie individuali di pronuncia; capire come rappresentare queste unità con un insieme di simboli.

I pionieri della scrittura riuscirono in qualche modo a farcela anche senza avere a disposizione esempi della «cosa» che stavano costruendo. Poiché questo è indubbiamente un compito difficile, non ci stupisce il fatto che l’invenzione autonoma della scrittura sia stata un evento assai raro nella storia dell’umanità. Solo due sono i popoli che ci riuscirono senza ombra di dubbio: i sumeri prima del 3000 a. C. e gli indiani del Mesoamerica prima del 600 a. C.; a questi si possono aggiungere gli egizi attorno al 3000 a. C. e con molta probabilità i cinesi prima del 1300 a. C. (vedi fig. 12.1). Tutti gli altri sistemi di scrittura comparsi nel mondo sono stati quasi certamente copiati, modellati o perlomeno ispirati da quelli di altri popoli.

Testo relativo a un’eredità in una tavoletta con “busta” di fango. XIV-XII secoli a.C.

Lo sviluppo della prima forma di scrittura della storia, quella sumera (fig. 12.2), è noto con buona precisione. Per millenni, i popoli della zona avevano inciso nell’argilla non solidificata alcune semplici forme, utili ad esempio per il conteggio delle pecore o delle quantità di grano. Verso la fine del IV millennio a. C., alcuni progressi nei metodi contabili e la standardizzazione dei segni e delle tecniche portarono rapidamente alla nascita di una vera e propria scrittura. Si utilizzavano allo scopo tavolette di argilla, su cui in un primo tempo i segni erano graffiati con stili appuntiti. Gradualmente, le punte si arrotondarono, fino ad arrivare a lasciare i ben noti cunei. Tra i progressi fondamentali ricordiamo l’adozione di convenzioni oggi universalmente accettate: l’organizzazione dei segni in righe orizzontali o in colonne (in righe nel caso dei sumeri, come per noi); il fissare una direzione costante per il procedere dello scritto (da sinistra a destra, per loro come per noi); e il decidere un ordine di lettura delle righe dall’alto al basso.

Ma lo snodo fondamentale fu la soluzione di un problema di fondo: come inventare un insieme di segni universalmente riconosciuti che rappresentino i suoni pronunciati dai parlanti, e non solo idee generali. I primi tentativi in questo senso sono testimoniati da centinaia di tavolette ritrovate nel sito dove un tempo sorgeva la città di Uruk, sulle rive dell’Eufrate 300 chilometri a sud di Baghdad. I segni più antichi sono immagini riconoscibili degli oggetti rappresentati (ad esempio il disegno di un pesce per indicare il concetto «pesce»), e consistono, com’è ovvio, soprattutto di numerali e di sostantivi concreti. I testi che ne risultano sono elenchi contabili scritti in forma telegrafica, privi di elementi grammaticali. Le forme diventano via via più stilizzate, soprattutto con l’avvento degli stiletti di canna e quindi dei cunei. I vecchi segni vengono combinati per formarne di nuovi, come nel caso dei simboli per «pane» e «testa», che insieme significano «mangiare».

La prima scrittura sumera era dunque formata da logogrammi non fonetici, cioè non basati sui suoni specifici del sumero, che avrebbero potuto esser letti in qualsiasi altra lingua pur conservando lo stesso significato – proprio come accade per il segno «4», che indica sempre il numero 4 anche se viene pronunciato four, cetyre, melia e empat rispettivamente da un inglese, un russo, un finlandese e un indonesiano. Il passo più importante fu poi l’invenzione della scrittura fonetica; in un primo momento questo si ottenne usando il logogramma di un oggetto concreto per rappresentare un concetto astratto (non raffigurabile direttamente) che si pronunciava allo stesso modo. È facile, ad esempio, disegnare una freccia per indicare la parola «freccia», mentre è più complicato raffigurare la parola «vita»; ma in sumero entrambe si pronunciano ti: una freccia stilizzata, quindi, poteva significare sia «freccia» sia «vita». L’ambiguità veniva eliminata aggiungendo un segno speciale detto determinativo, che indicava la categoria a cui l’oggetto in questione apparteneva.

Una volta scoperto il trucco, i sumeri iniziarono ad usarlo in molte altre situazioni, ad esempio per scrivere sillabe o lettere che costituivano particelle grammaticali. Se dovessimo disegnare la desinenza avverbiale «-mente» saremmo in imbarazzo; ma se disegnassimo una «mente» (magari una testa) e avvertissimo che il segno deve essere letto in accezione fonetica avremmo risolto il problema. In questo modo i sumeri scrivevano parole più lunghe spezzandole come nelle sciarade: come se rappresentassimo «rosario» disegnando una rosa e un fiumiciattolo. Utilizzavano poi lo stesso segno per gli omofoni, sciogliendo l’ambiguità con segni specifici.

Alla fine, la scrittura sumera si trovò ad essere un complesso miscuglio di logogrammi usati per rappresentare parole intere, segni fonetici per indicare sillabe, lettere o elementi grammaticali, e segni determinativi che non venivano letti ma aiutavano nella comprensione. Tutto questo, però, non diede mai origine a un vero sillabario o a un alfabeto: alcuni suoni della lingua sumera mancavano di segni specifici, e molti segni potevano essere pronunciati in modi diversi, o letti indifferentemente come parole, sillabe o lettere.

Iscrizione maya a Yaxchilan, risalente al VI secolo d. C.

L’altro luogo dove la scrittura fu inventata con certezza è l’America centrale, probabilmente nel Messico del sud. Poiché non esistono prove convincenti di contatti tra Vecchio e Nuovo Mondo in epoca precristiana, dobbiamo concludere che si trattò di uno sviluppo del tutto indipendente, confortati anche dal fatto che i segni utilizzati in America non hanno nulla a che vedere con quelli eurasiatici. Nell’area sono stati identificati circa una dozzina di sistemi di scrittura, quasi tutti correlati tra loro (ad esempio per quel che riguarda la numerazione e il calendario), e quasi tutti non completamente decifrati. Il più antico è quello degli zapotechi, attestato intorno al 600 a. C., ma il più studiato è senz’altro quello dei maya (fig. 12.3), la cui prima testimonianza è datata 292.d. C.

Nonostante la sua origine indipendente e i suoi segni originali, la scrittura maya è basata su principi simili a quelli visti per i sumeri. Anch’essa usa sia logogrammi che simboli fonetici, e deriva i logogrammi per le parole astratte utilizzando quelli dei sostantivi concreti che si pronunciano allo stesso modo. I segni fonetici denotano soprattutto sillabe formate da una consonante e una vocale (come per i kana giapponesi e per la lineare B); anche qui, si tratta soprattutto di segni derivati da logogrammi la cui pronuncia inizia con quella sillaba: il segno ne, per esempio, assomiglia a una coda, che in maya si dice neh.

Questo parallelo tra i sistemi mediorientali e mesoamericani testimonia come la creatività umana abbia in sé elementi di universalità. La lingua dei sumeri e quella dei maya non hanno particolari relazioni di parentela tra loro, eppure i sistemi di scrittura di entrambe si sono dovuti confrontare con gli stessi problemi: le soluzioni escogitate dai primi nel 3000 a. C. furono riscoperte dai secondi tre millenni più tardi e dalla parte opposta del globo.

Scrittura sumerica ed egizia a confronto

Con la possibile eccezione dell’Egitto, della Cina e dell’Isola di Pasqua, di cui parleremo più oltre, in tutte le altre aree del mondo sono sorti, in tempi diversi, sistemi di scrittura derivati o ispirati dai due che abbiamo appena visto. La scarsità di invenzioni indipendenti si spiega in parte con la difficoltà del compito, e in parte con un principio analogo alla domesticazione preventiva: se esiste già un sistema efficiente, non ha senso inventarne da capo un altro.

Come vedremo, i prerequisiti per la nascita della scrittura sono alcune caratteristiche specifiche dei singoli popoli, che determinano l’utilità o meno della scrittura per quella società e la possibilità della società medesima di mantenere un gruppo di scribi. Molte altre popolazioni – come in India, a Creta e in Etiopia – giunsero ad avere i requisiti necessari, ma dopo i sumeri; con l’invenzione della scrittura da parte di questi ultimi, l’idea si diffuse rapidamente, prevenendo cosi i tentativi indipendenti di altre società che magari, nei secoli successivi, ci sarebbero comunque arrivate.

 

JARED DIAMOND

Da “Armi, acciaio e malattie” – Einaudi

Foto: Rete

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