
Il martire
L’eroe cristiano era il martire perché, come nella tradizione giudaica, la realizzazione suprema consisteva nel dare la propria vita per Dio o per i propri simili. Il martire è l’esatto opposto dell’eroe pagano quale è rappresentato a esempio nella tradizione greca e germanica, e il cui obiettivo è quello della conquista, della vittoria, della distruzione, della rapina; ai suoi occhi, la piena realizzazione della vita consiste nell’orgoglio, nel potere, nella gloria e nell’abilità dell’uccisore (Sant’Agostino paragonava la storia romana alle vicende di una banda di predoni). Per l’eroe pagano, il valore di un uomo andava ricercato nella capacità di cui dava prova di conquistare e detenere il potere, e l’eroe pagano era ben lieto di morire in battaglia nell’ora della vittoria. L’Iliade omerica è una descrizione, di straordinaria forza poetica, di conquistatori e predoni glorificati. Le caratteristiche del martire sono l’essere, il dare, il condividere; le caratteristiche dell’eroe, l’avere, lo sfruttare, l’opprimere. (Va aggiunto che la formazione dell’eroe pagano si riconnette alla vittoria patriarcale sulla società matricentrica. La dominazione esercitata dagli uomini sulle donne costituisce il primo atto di conquista e il primo uso della forza a fini di sfruttamento; in tutte le società patriarcali dopo la vittoria degli uomini, questi princìpi sono divenuti il fondamento del carattere maschile.)
Quale dei due modelli del nostro sviluppo, tra loro inconciliabilmente opposti, continua ad avere la prevalenza in Europa? Se guardiamo in noi stessi, se consideriamo il comportamento di quasi tutti noi, se osserviamo i nostri leaders politici, non possiamo negare che il nostro modello di ciò che è buono e valido sia l’eroe pagano. La storia europea e del Nordamerica, nonostante la conversione alla Chiesa, è una storia di conquista, di orgoglio, di bramosia; i nostri supremi valori sono: essere più forti di altri, essere vittoriosi, sottomettere altri e sfruttarli, e sono valori che coincidono col nostro ideale di virilità: soltanto colui il quale sa combattere e sottomettere è un uomo; chiunque non sia abile nell’uso della forza è un debole, vale a dire poco virile.
Non è necessario comprovare che la storia dell’Europa è una vicenda di conquista, sfruttamento, uso della forza, soggiogamento. Tutti o quasi i suoi periodi sono stati caratterizzati da questi fattori, e non fanno eccezioni né stirpi né classi sociali; sovente si è giunti sino al genocidio, come nel caso degli indiani d’America, e dal novero non vanno escluse neppure imprese religiose come le crociate.

L’eroe pagano
Forse che questo comportamento era promosso solo esteriormente da ragioni economiche e politiche? Forse che i mercanti di schiavi, i dominatori dell’India, gli sterminatori di pellirosse, gli inglesi che hanno obbligato i cinesi ad aprire il proprio paese all’importazione di oppio, gli istigatori delle due guerre mondiali e coloro che preparano la prossima, erano tutti in cuor loro cristiani? O erano rapaci pagani solo i capi, mentre le grandi masse continuavano a essere cristiane? Se le cose stessero così, potremmo essere più ottimisti; purtroppo, non stanno affatto così. In effetti, i capi sovente si mostravano più rapaci per il semplice motivo che avevano più da guadagnare dei loro seguaci, ma non avrebbero certo potuto attuare i loro piani se il desiderio di conquistare e di riportare la vittoria non fosse stato e non continuasse a essere parte integrante del carattere sociale.
Basta, per convincersene, pensare all’irrefrenabile, folle entusiasmo con cui la gente ha partecipato alle varie guerre dei due ultimi secoli, cioè alla prontezza di cui hanno dato prova milioni di esseri umani a rischiare il suicidio collettivo allo scopo di difendere l’immagine della «potenza più forte» ovvero dell’«onore», oppure i profitti.
Per chi volesse un altro esempio, si faccia caso al frenetico nazionalismo di coloro che assistono ai giochi olimpici attuali, che dovrebbero invece servire la causa della pace. In effetti, la popolarità dei giochi olimpici è di per sé un’espressione simbolica del paganesimo occidentale. Essi sono la celebrazione dell’eroe pagano, cioè del vittorioso, del più forte, di colui che si impone agli altri, mentre passa in secondo piano lo sporco miscuglio di affarismo e pubblicità che caratterizza l’attuale imitazione dei giochi olimpici greci.
In una cultura davvero cristiana, la sacra rappresentazione della Passione prenderebbe il posto dei giochi olimpici; ma l’unica sacra rappresentazione odierna che goda di una certa celebrità, è quella di Oberammergau, la quale però non serve che a richiamare turisti.
Se tutto questo risponde al vero, perché gli europei e gli americani non abbandonano il cristianesimo in quanto non adatto ai tempi nostri? Se non lo fanno, è per vari motivi; a esempio, il fatto che l’ideologia religiosa sia necessaria per impedire alla gente di abbandonare la disciplina, in tal modo mettendo a repentaglio la coesione sociale. Ma c’è un motivo ancor più importante: coloro che fermamente credono nel Cristo come grande eroe dell’amore, come Dio che si è auto sacrificato, possono rovesciare questa credenza, darne una versione alienata, e convincersi che è Gesù ad amare per essi. Il Cristo diviene in tal modo un idolo; la fede in lui diviene il sostituto del proprio atto d’amore, situazione che può essere espressa in questa semplice formula, per lo più inconscia: «II Cristo ama per tutti noi; per quanto ci riguarda, possiamo continuare a far nostro il modello dell’eroe greco, ma siamo salvati perché la “fede” alienata nel Cristo è un surrogato dell’imitazione del Cristo». Va da sé che la fede cristiana costituisce anche un paludamento a buon mercato per la propria cupidigia. Infine, ritengo che negli esseri umani il bisogno di amare sia così profondamente radicato, che comportarsi da lupi induce necessariamente alla coscienza colpevole. La nostra conclamata credenza nell’amore ci anestetizza, entro certi limiti, al dolore del sentimento inconscio di colpa che deriva dal fatto di essere interamente senza amore.
ERICH FROMM
Da “Avere o essere?” – Mondadori
Foto: RETE